Della sua vita privata sappiamo poco, e non ama parlarne.
Nel passato, le cronache hanno restituito il suo lungo menage con Mario
Martone, e poi fine delle trasmissioni. Quando la incontri a teatro, sembra
quasi austera. A lei, d’altro canto, come confessa in questa intervista, non è
mai piaciuta questa cosa di “baci e bacetti” alle prime. Ma fuori dalla scena è
sorridente, gentile, generosa, con una chiara capacità di rimettere
continuamente radici in se stessa. Un’antidiva, Anna Bonaiuto, attrice di
percorsi sempre autoriali, che al teatro e al cinema, ogni volta, porta una
sfumatura nuova, che va a pescare in un baule nascosto della memoria emotiva
sempre vigilato dall’intelligenza. In tournèe con La
belle joyeuse di Gianfranco Fiore (anche regista), personaggio di un
anticonformismo quasi romanzesco che fece in una sola vita quello che gli
uomini fanno in sette otto vite. E’ un capogiro ascoltare le sue gesta, a
partire però da lei, da Anna, che ora è seduta in un caffè di Trastevere e
parla di tutto: la fuga da un padre padrone, la stordente Roma degli anni
Settanta, la Roma che non riconosce, la politica, il papa, quello che resta,
quello che si è e che ovviamente non si può dire mai del tutto.
Che idea si è fatta
di Cristina di Belgioioso?
Dopo averla interpretata in Noi credevamo, il film di
Mario Martone, sono rimasta
affascinata dal personaggio, così mi sono messa a leggere tutto su di lei, e mi
sono chiesta: come mai questa donna meravigliosa non viene ricordata? Perché si
ricorda sempre e soltanto Anita Garibaldi? Perché Anita Garibaldi era moglie.
Invece Cristina di Belgioioso era una donna completamente fuori dalle regole.
Una donna trasgressiva, gran fumatrice d’oppio, una che ha lottato con dei
terroristi, una che ha scritto lettere al papa al quale pretendeva di insegnare
il vero senso della religione cattolica, una che chiamava Mazzini “Quel
minchione!”
Da dove veniva questa
sua irregolarità?
Nasce da una famiglia anti-austriaca, libertaria,
cospiratrice, e ricchissima (l’humus culturale milanese illuminista
rappresentato da Cesare Beccaria). Si innamora del principe di Belgioioso, un
uomo spiantato ma bellissimo e patriota. Lo sposa. Va in giro con la pistola
nelle giarrettiere. Finché il marito che era un libertino le regala la sifilide
a vent’anni…Da lì comincia una vita ferita nell’anima e nel corpo e queste
ferite la portano ad un’azione esasperata per cui comincia a fare la carbonara…Gli
austriaci le confiscano i beni. Lei scappa in Francia e va a vivere in un
sottotetto. Gioca la carta della povera principessa e Parigi a quel punto è a
suoi piedi.
Parigi capitale del
XIX secolo, come la definì Walter Benjamin….
Già, la Parigi dei poeti, dei rivoltosi e delle donne
seducenti come Cristina che a Parigi accoglie i clandestini, dà i soldi ai
terroristi, viene ammirata da tutti… Heine, Delacroixe, tutti impazziscono per
Cristina di Belgioioso. Truccata di bianco, con gli occhi neri, coraggiosa e
libera: è la prima femme fatale della storia moderna…Poi spunta una figlia con
la quale torna nelle sue terre. E lì comincia a guardare i contadini che non
aveva mai guardato. E si preoccupa soprattutto dei loro figli. Mette in atto le
idee di Proudhon e Saint Simon. Crea i falansteri, le nursery, si inventa
operazioni (non realizzate) di microcredito per i figli dei contadini…Organizza
una spedizione di volontari napoletani che imbarca su una nave e li porta a
Milano a sparare nelle cinque giornate di Milano. A Roma mette su dodici
ospedali. Goffredo Mameli muore tra le sue braccia mentre lei gli canta
“Fratelli d’Italia” nell’orecchio…Vive in Anatolia sette anni. Un suo servo
l’accoltella. Lei si cuce da sola le ferite…
Come muore una donna
così? Non mi dica di vecchiaia.
E invece sì. Muore nel 1871 a 63 anni di lento spegnimento.
Nessuno che l’abbia
ricordata nei festeggiamemti dell’unità d’Italia. Perché?
Con queste caratteristiche, non poteva diventare un
simbolo…Era il contrario della mamma moglie ricamatrice fedele…E pensare che
lei aveva terrore non della morte ma
dell’oblio. Temeva che sarebbe stata ricordata al massimo come una principessa
epilettica, drogata femme fatale, e non come la gran donna che è stata. Diceva: spero che le donne un giorno si
accorgano di quello che ho fatto per loro e che possano vivere quella felicità
che io ho solo sognato…
Come attrice appassiona
ad una figura di donna plateale, teatralissima. Ma lei, Anna, sembra tutto il
contrario: defilata, molto poco eccentrica persino nel vestire, per alcuni
persino scontrosa…
Diciamo che io tendo proprio a sparire. E’ carattere. Ma è
anche una scelta precisa rispetto all’essere attore. Che cosa dovrebbe
raccontare un attore se non qualcosa che lo tormenta al fondo di sé? Tutto il
resto si chiama esibizione. L’essere attore è essere più vicini a Dio di tante
altre cose.
Lei è d’origine
friuliana.
Si ma di padre napoletano, che mi picchiava (non perché
fosse napoletano).
Suo padre la
picchiava?
Mi frustava. Non potevo dire neanche la parola attrice,
figuriamoci farla. Mi ha cacciato di casa e sono venuta a fare tre anni la fame
a Roma. Campavo con le 60.000 lire della borsa di studio che mi dava
l’Accademia d’Arte Drammatica. Mi ero proibito tutto: non potevo tornare a
casa, non potevo vedere le mie sorelle…
Adesso come ricorda
quegli anni?
Esci da una famiglia con quattro sorelle a tavola, il
caminetto, il paese, la protezione, e ti ritrovi a Roma che non sai neanche
come si fa a prendere il tram, non conosci nessuno…Sono gli anni del dolore perché
ti chiedi cosa stai facendo di male. Ma sono anche gli anni belli della
ribellione, della conoscenza, gli anni in cui non vivi più con un padre che ti
obbliga a tornare a casa prima di cena. Sono i meravigliosi anni Settanta in
cui una sera vedevi Carmelo Bene una sera Eduardo un’altra sera Gassman. Mondo
sparito.
E quando conobbe
Mario Martone?
Molti anni dopo. Siamo stati insieme dieci anni. E devo dire
che è stata una grande storia d’amore. Morte
di un matematico napoletano, L’amore
molesto e Teatri di guerra non
perché c’ero io, ma sono convinta che rimangono le cose più belle che ha fatto.
Tra di noi c’era uno scambio intellettuale ed emotivo gigantesco, quindi un po’
mi sento anche autrice di queste sue opere.
Lei è tra le poche
grandi attrici di teatro ad aver avuto una presenza stabile anche al cinema,
dalla Cavani e Sorrentino…
Prima di aver conosciuto Mario, avevo già vinto una coppa
Volpi con la Cavani e una Grolla d’Oro con Pupi Avati. Poi, è chiaro,
l’incontro con Martone ha definito i contorni con più ricchezza.
Come si sente su un
set? Non ha qualcosa di alienante?
Si, ce l’ha. In palcoscenico sei completamente responsabile
dell’evento. O ci sei o non ci sei. Se sbagli, sbagli tu. Invece al cinema sei
nelle mani di un altro. Puoi anche pensare di fare una pausa di recitazione, ma
il novanta per cento delle volte quella paura verrà tagliata..Però un attore è
un attore e il suo ruolo è sempre lo stesso: partire dalla realtà e
modificarla, far capire cosa ti passa per la pancia, per il cuore. Ma per fare
teatro oggi, bisogna essere un po’ eroi. Anche il pubblico è disorientato,
perché vede l’attore di fiction fare Strindberg…
Cosa rappresenta Roma
per lei?
Io ho potuto vivere la fine della bellezza: le cene in
trattoria e parlare d’arte fino a notte, donne meravigliose che camminavano
scalze a piazza Navona, i sogni, l’allegria. Dopo gli anni Settanta è
cominciata la barbarie, ma non solo a Roma, in tutto il Paese. E’ diventata una città molto diversa.
Vivrebbe mai fuori
dalla città?
Non credo, la città mi inebria. Però i desideri cambiano con
le età della vita. Saresti ridicolo a fare a quarant’anni le stesse cose che
facevi a trenta, e a sessanta quello che facevi a quaranta…
Le donne comunque
rimangono più ragazze degli uomini, non è così?
Su questo non c’è dubbio. Alcuni uomini della mia età sono
certi mortaccini..
E’ vero che è una
lettrice accanita?
Mi piace molto leggere. Però l’ultimo libro che ho letto
l’ho trovato veramente irritante. Limonov
di Carrère.
Perché?
Diciamola tutta: se avessi questo tra le mani, lo
strangolerei. E’ un erede da quattro soldi dei Demoni di Dostoevskij.
Limonov o Carrère?
Limonov. Un nazista
stalinista, che mette insieme l’orrore. Non si può collegare al nichilismo
russo, non c’è niente di quel misticismo.
E l’autore?
L’autore è un furbacchione. Non posso dire però che il libro
non sia interessante. Parla della Russia, della sua storia sbilenca, del fatto
che non c’è mai stata una democrazia.
Cosa voterà?
Vendola. Da una parte
abbiamo un banchiere, dall’altra di un personaggio a cui non so più che nome
dare che si inventa questa oscenità dell’Imu, poi c’è Grillo che sta aumentando
in maniera preoccupante…Beh, di fronte a queste minacce io voto Vendola. Bisogna far vincere per forza
la sinistra in questo momento.
E di Rivoluzione
civile cosa pensa?
Non nego che Ingroia sia una persona perbene ma dare il voto
a lui adesso mi sembrerebbe una dispersione.
Come ha letto il
ritiro di Ratzinger?
L’impressione è che non volesse fare la stessa fine di
Woytila, che è stato vittima della Curia fino all’ultimo momento. In quel caso
hanno voluto tenere in piedi un cadavere con un accanimento disumano, e
politico. Ratzinger si è sottratto a tutto questo. E poi non ha retto all’idea
di fronteggiare i problemi giganteschi che deve affrontare la Chiesa in questo
momento: problemi di secolarizzazione, di scandali sessuali, di banche, di Ior…E
con tutto questo continuano a dire: non mettete il preservativo altrimenti non
vi diamo la comunione! …Sono fuori dalla Storia! Sono destinati a finire.
Quindi io credo alla sua debolezza umana, però ci sono pure delle storiacce
dietro. Comunque, quando mai la Chiesa ha avuto una storia pulita? Non ci
dimentichiamo che noi avevamo la banda della Magliana dentro la chiesa (la
chiesa di oggi, non quella di Bonifacio
VIII).
Per la regia di
Valeria Patera, lei sta interpretando una Rita Levi Montalcini più segreta. Cosa
la affascina della sua figura?
Rita Levi Montalcini aveva una forza e una passione fuori
dal comune. D’altro canto, le cose si ottengono solo con la costanza della
passione. E poi in lei c’era la bellezza del voler trasmettere le sue
conoscenze. In questo era anche molto femminile.
Si, era femminile.
Aveva una grazia tutta sua: quegli occhi chiari sorridenti,
quel suo modo gentile di essere ironica…
Sempre a Radio 3,
aveva letto qualche tempo prima delle pagine di Elsa Morante…
Il diario è la cosa meno nota di lei. Io sono pazza di Elsa
Morante, ho letto tutto. Penso che Menzogna
e sortilegio sia tra le cose più belle che siano mai state scritte… Una ragazzetta
che scrive un romanzo dell’Ottocento, con lo stesso respiro di un romanzo
sparito! Certo poteva sembrare anche irritante, antipatica. Ma non bisogna essere
per forza simpatiche no?
Lei però, Anna, è
simpatica, anche se non vorrebbe farlo vedere.
Posso sembrare scostante. Questo è troppo un mondo di baci
bacetti….Ci sono delle volte che semplicemente non voglio salutare….Poi sono
permalosa.. Però, sì, non penso di essere antipatica.
(Pubblicato su "Gli Altri")
(Pubblicato su "Gli Altri")
3 commenti:
Un'attrice favolosa. Grande tecnica, passione e cuore. Grazie per l'intervista.
A mio modesto avviso, è bravissima. Poco valutata per personaggi di spessore teatrale in tv.
Inoltre aggiungo, e so che qui caleranno le critiche, ci vedo affinità artistiche con la bravissima Mariangela Melato, scomparsa troppo presto. Buona fortuna, Anna!
sono rimasta sconvolta. Stessa età, a Roma dal Nord nello stesso periodo. Stessa passione per Elsa Morante di cui Menzogna e Sortilegio è stato il libro rivelatore. Due vite parallele per un po'. Ho visto da poco IERI OGGI E DOMANI con Servillo. Bellissimo. Sono sempre in ritardo,anche in questo messaggio, ma sono felice che ci sei stata.
Elena
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