domenica 3 febbraio 2013

Digerseltz: mangiare o essere mangiati?

-->  
Un corpo esile che oscilla, attraversato dalle correnti interne e dagli strattoni che arrivano dal mondo. Apre la bocca. La chiude. La riapre. Parla, mangia, divora, rifiuta il cibo, è masticata viva. Per resistere, gioca. Bambole, piccoli frigoriferi, parrucche, borsette, le statuine del presepe. Con gli oggetti, crea un perimetro di umane cose. Ricorda, col corpo. Senza rabbia, ricorda. Con dolcezza. E si offre in pasto. Con una grazia tutta sua, senza intimidire. Lei sì, è intimidita. Ma anche coraggiosa, nonostante quella sua fisicità aerea. Non si farà male? La vedi indifesa, magra, con quei tacchi altissimi, spaesata di fronte al pubblico, ma anche accogliente, e ti chiedi se si farà male. No, non si far male, ma è molto probabile che ci farà male. Perché quello che dice non è indifferente. Non è una cosa qualunque. Elvira Frosini, autrice regista e interprete di Digerseltz,  va a toccare la soglia fisica che delimita il punto di straripamento del dentro nel fuori e la violazione da fuori dello spazio interno. Come il personaggio di Bocca in Non Io di Samuel Beckett (a cui non fa volontario riferimento), la figura inventata e agita da Frosini è una “piccola minuscola bambina” imprigionata in “questa dannazione di buco”. Ma in questo caso non vediamo solo il dettaglio della bocca (come voleva Beckett), ma la bambina/donna tutta intera, presa dentro questo tormento del dire: dire il discorso che ci parla, esprimere il desiderio ondivago, nominare l’eccedenza, quello spreco batailliano che ci permette l’invasione del comico dentro la tragedia del vivere così come si è: gettati in un corpo che sarà sempre troppo piccolo per contenere tutto questo traffico di pulsioni e ombre che aprono e chiudono porte. La bocca come apertura verso gli inferi e soglia attraverso cui ci si mostra al mondo. La bocca come varco potente di sessualità. La bocca che parla e dovrebbe dire solo quello che vorrebbero che noi dicessimo, ma poi l’inconscio regala un bel lapsus e tutto va in frantumi. La bocca che prende quel cibo che finirà col renderci non attrattivi. Il cibo che ci ammala. La società che ci giudica. Noi che ci giudichiamo. Noi che diventiamo anoressici e bulimici in una carneficina privata. Nella performance di Elvira Frosini, c’è un mondo. E vale la pena andarlo a v

Nessun commento: