lunedì 14 gennaio 2013

Gabriele Lavia: "Arte, sesso e teatro, nessuno te li può insegnare"

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Un uomo che vive il disagio della civiltà, ma che a questo disagio oppone l’unico rimedio che conosce: il teatro. Un artista dall’aria eternamente ragazzina che ha avuto subito il successo (chi c’era ricorda le risse al botteghino al Teatro Eliseo negli anni Ottanta) e che negli anni ha continuato a trafficare tra le cose che amava, sempre le stesse. Gabriele Lavia, 70 anni, direttore del Teatro di Roma, parla qui di sé con pudore ma anche con ardore. Con quelle pause che siamo abituati ormai riconoscere. La voce, quella voce, che va a rovistare nelle trame di un desiderio oscuro: sparire, obliarsi, dimenticarsi. Mentre alla Fenice di Venice debutta la sua versione dei Masnadieri di Verdi (dal 18 gennaio), all’Argentina di Roma arrivano due opere di Pirandello da lui dirette e interpretate, la ripresa di Tutto per bene (dal 16 gennaio) e la prima de La Trappola (dal 9 marzo). Partire dalle ragioni di questa autentica venerazione (”Pirandello è il più grande autore di tutti i tempi, più grande di Sofocle, di Eschilo”) ci aiuta ad entrare nelle segrete di una grande casa siciliana là dove un bambino di tre anni spiava una compagnia di attori fare le prove dei loro spettacoli dentro il salotto blu di nonna Carmela ….


Come è avvenuto il suo apprendistato teatrale? Come “Willhelm Meister” costruiva il suo teatrino di marionette per un pubblico familiare?

Quando ero bambino a Catania, avevo una nonna che si chiamava Carmela ed era d’origine spagnola. Il nonno era Francisco Martinez De La Rosa, grande poeta drammaturgo filosofo e rivoluzionario ... La stessa nonna Carmela era un personaggio leggendario: aveva scritto racconti, teatro, sceneggiature per il cinema muto. Mi ricordo che subito dopo la guerra (io avrò avuto tre anni), nel salotto blu della nostra grande, si spostavano tutti i mobili per accogliere una compagnia semi-dilettante e semi-professionale che faceva da noi le prove dei suoi spettacoli. Era il nucleo originario di quella che molti anni più tardi sarebbe diventa la compagnia del Teatro Stabile di Catania.  Io mi ricordo che  (avrò avuto tre anni), me ne stavo in un angolino a guardare questi attori che provavano. Non pensavo ancora che avrei fatto teatro. Non pensavo niente. Guardavo ammirato e basta.

Nasce da lì anche il suo transfert con Pirandello?

Mia nonna però aveva una collezione dell’opera integrale di Pirandello che poi mi ha regalato e che oggi è in possesso di mio figlio Lorenzo. Da lì mi è venuto questo rispetto verso Pirandello. Poi da grande ho letto tutto Pirandello più e più volte. Soprattutto le novelle, che preferisco al teatro. Per me Pirandello è il più grande autore di tutti i tempi. Più grande di Sofocle, Eschilo, Euripide, più grande di tutti. Perché non c’è nessuno al mondo e non ci sarà mai più nessuno che farà entrare dal fondo della platea dei signori che avranno con altri signori sul palcoscenico questo tipo di dialogo.  “Signori, che cosa vanno cercando?”. “Cerchiamo un autore, uno qualunque”. “Ma chi siete?”. “Siamo dei poveri personaggi”. Ecco, questa piccola scena qui chiude le porte al teatro. Dopo questo, che cosa scrivi? Sono state scritte altre opere teatrali, anche belle, anche bellissime, ma sono sempre di un passo indietro rispetto a questa scena dei Sei personaggi in cerca d’autore.

Mi viene in mente un fossile levigato sopravvissuto a un maremoto e lanciato verso il futuro come il monolite di Kubrick….Una cosa così?

Si, una cosa così. Comunque Pirandello deve ancora essere scoperto. Sono stato quest’anno in America e ho visto il lavoro di una compagnia che si avvicinava alla sua filosofia del buio come se si trattasse, giustamente, di una scoperta, di una iniziazione. In fondo, cosa racconta Pirandello? Pirandello racconta una storia semplice: ne La trappola si dice a chiare lettere cos’è la trappola. Per un verso è il sesso femminile, per l’altro è la vita. La vita al buio. L’uomo rimane intrappolato nel buio. Ma la verità si dà solo al buio. Ora, il mito fondante della civiltà occidentale che è il mito platonico della caverna, racconta come dentro la caverna si veda l’ombra del reale, di un “certo” reale, mentre la verità del reale si manifesta fuori dalla caverna, alla luce del sole. Pirandello ribalta questo concetto e abbraccia la poetica della conoscenza nel buio. In “Tutto per bene” la scoperta della verità accade al buio.

Nella “Trappola” si dice che “ogni genitore è il boia della creatura che genera”. Come vive lei il rapporto con i suoi figli, e come è stato lei da figlio rispetto al padre?

Ai miei tempi i rapporti con i genitori erano molto diversi…Mi rendo conto che parlo come se fossi decrepito….

Decrepito?

Beh, forse non sono così decrepito, ha ragione. Forse parlo così perché questo è uno di quei giorni che mi prende la malinconia.

Soffre spesso di “malinconia”?

Ogni mattina. Mio padre pensava che fossi gay perché ero sempre triste.

Ecco, il padre….

Il rapporto con mio padre era molto diverso da quello che posso avere io adesso con mio figlio (che ha 40 anni) e con le mie figlie, che hanno poco più di vent’anni. C’è un abisso. I miei genitori non sapevano nulla di me. Io so tutto dei miei figli. Perché i miei figli me lo dicono.

E’ un sapere troppo?

Non lo so. Mio padre non sapeva niente e lui non voleva sapere niente. Era bello vivere il sesso come un’iniziazione, e non come una cultura. Come l’arte. Come il teatro. Mi vuoi spiegare perché da quando c’è la Facoltà di Architettura, l’architettura è così brutta? Mi vuoi spiegare perché da quando ci sono così tante scuole di recitazione, gli attori sono tutti cani?

Che poi le scuole di recitazione eccedono il numero degli attori, che sono già tantissimi…

Appunto. Ci sono alcune cose che non possono essere insegnate. Quando Socrate diceva “Io so di non sapere”, insegnava soltanto il non sapere.

E una volta imparate le cose, forse vanno dimenticate....

L’oblio è fondamentale. L’essere è rammemorazione, e quindi nasce tutto dalla dimenticanza.

Però i suoi discorsi sono pieni di citazioni colte….

Il sogno della mia vita: andare a scuola….

A scuola?

Si, proprio a scuola.

Per studiare bisogna andare a scuola?

Sono vecchio purtroppo, sennò come mi piacerebbe tornare a scuola, e studiare su quei quaderni, su quei libri! Poi io ho una così bella scrittura…

Scrive a mano?

Non ho mai usato né la macchina da scrivere né il computer.

E se volessi mandarle una email?

Può farlo, ma prima mi deve telefonare e dire: ho mandato una email….

Perché è così sospettoso nei confronti della tecnologia?

Mi aiuta forse a imparare la parte a memoria? No. Mi insegna a fare la parte? No. Mi insegna a fare la regia? No. Mi insegna a spiegare agli attori come devono recitare? A che mi serve? A perdere tempo.


Chi sono per lei “I Masnadieri” ?

Questo edizione dei Masnadieri di Verdi è molto lontana dalla prima edizione che ne feci nel’86, mentre si avvicina alla messa in scena che ho fatto dell’opera di Schiller.  I masnadieri sono dei ragazzi che vivono il disagio della civiltà contemporanea. Lo vivono, questo disagio, come privazione della libertà. Ma hanno una idea sbagliata della libertà. Non si rendono conto che la libertà è limitatezza, è confine. La libertà è rispetto delle regole che si dà chi è libero.

Quando nel ’63 entrò all’Accademia d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico” per fare l’attore, che idea aveva della libertà?

La mia idea della libertà non è mai cambiata. Io non so per quale ragione, forse per una questione di carattere familiare, di educazione ricevuta, non ho mai considerato la libertà come arbitrio. Una rana è libera di essere una rana, ma non può essere il bue come insegna Fedro nella sua favola sulla rana che vuole essere il bue. Il varcare il limite nell’Antica Grecia veniva detto yubris. Bisogna accettare i propri limiti, accettare di essere rana o essere bue. Per quanto riguarda me, mi sarebbe piaciuto essere alto come Gregory Peck, essere bello come Alain Delon, ma non è andata così. Tuto sommato non ho mai avuto la tentazione di essere diverso dalla ranocchia che sono.


Nei primi giorni del suo incarico come direttore del Teatro di Roma, mi ricordo che abitava quella stanza con un certo divertito smarrimento….

Infatti in quella stanza non ci sto tanto. Un direttore non è il padrone del teatro. Questo mi è molto chiaro. Io sono provvisorio, specialmente in una città come Roma dove la filosofia è quella di cambiare direttori in continuazione. Non che io approvi questa cosa. L’arte non è democratica, l’arte è umana e complessa. In tre anni, cosa mai vuoi fare?  

Intanto ha lasciato le chiave a diciotto compagnie di ricerca che si sono incontrate  e perdute nell’isola del Teatro India (il progetto “Perdutamente” che si è acceso a dicembre).

L’unica cosa che si può fare è di fare gesti di cui poi non ci si può dimenticare. È stato un primo gesto a cui spero seguirà qualcosa di più importante l’anno prossimo..

Ma iniziano i lavori al Teatro India…

Non dobbiamo costruire l’abazia di Westminster. Se dipendesse da me, in tre mesi i lavori sarebbero anche conclusi.

In “Art you lost” (dentro “Perdutamente”, la mega-installazione  firmata da Santasangre, Muta Imago e Matteo Angius), il pubblico era invitato a lasciare un oggetto, privandosene per sempre. Lei che cosa avrebbe lasciato?

Avrei lasciato me. Non chiedo che di smarrirmi.

Sarebbe finito dentro uno scatolone e qualcuno avrebbe buttato via le chiavi.

Sono pronto a rimanere lì abbandonato per sempre. Chissà poi magari qualcuno mi avrebbe ritrovato un giorno.

E’ per via di questo suo desiderio di perdersi che ha voluto intitolare l’evento “Perdutamente”?

Tutto nasce dalla privazione o dalla perdita. Ho preferito la parola “perdita” a “privazione”. Se lei dovesse recitare deve Silvia Gala, dovrebbe privarsi di se stessa, ma la privazione di se stessa non vuol dire non c’è più lei come persona, anzi vuol dire che dovrò tenerne ancora più conto. Voglio dire: senza perdita, non c’è possibilità di trovarsi, e senza ritrovarsi non c’è la possibilità di conquistare faticosamente quella strana cosa che è l’”ipseità”, l’essere se stessi. E’ paradossale ma è così. Bisogna perdersi ad ogni istante, e ritrovarsi ogni sitante.

Cosa può il teatro in questo momento di crisi e caduta?

Il teatro ha una grande fortuna: quella di essere obliato, dimenticato. E la dimenticanza conserva. Il teatro non è morto. E’ morta la televisione. E’ morto il cinema.

E’ morto il cinema?

Si, ai miei tempi c’era il cinema.

L’ha anche fatto, il cinema: ce lo ricordiamo tutti il protagonista di “Profondo rosso” di Dario Argento…

Ma si, il cinema mi piace molto.  Però è come la letteratura. Sono arti limitate rispetto al teatro. Il teatro è l’unica arte che non si coniuga al passato. Il teatro accade al tempo presente. Per questo non morirà mai.

Che rapporto ha con il potere?

Io, a differenza di quello che alcuni possono pensare, non ho alcun rapporto con il potere.

Cosa è per lei il successo?

C’è stato un periodo nella mia vita (avevo circa 40 anni) in cui facevo il tutto esaurito e facevamo più incassi di Gassman. Oggi i ragazzi mi dicono: ai tuoi tempi era più facile. Ma non è così. Ai miei tempi c’era la Compagnia dei Giovani, c’erano Albertazzi e la Proclemer, c’era Gassman, c’era Tino Carraro, un finimondo.  Io ho combattuto in questo campo di battaglia, con i giganti.

In che modo si combatte?

Bisogna studiare.

E se si è troppo timidi per non soccombere?

Anche io sono timido, sono stato timido. C’è una sola cosa che conta: studiare. Tutto il resto sono stronzate.

Cosa avrebbe voluto fare se non avesse fatto teatro?

Avrei voluto disegnare cartoni animati. Oppure fare il pittore. Dipingo benissimo.
(pubblicato su Gli Altri)


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