mercoledì 28 novembre 2012

Martinelli su Pantani: ecco come in Italia si costruisce la macchina del fango

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L’ascesa e la caduta di Marco Pantani. Una veglia funebre che tiene fuori scena il corpo insepolto di un campione morto per calunnia. Un padre e una madre che chiedono verità. Le voci di amici, ciclisti e nemici. Un bandito che dice la verità e un ministro che dice la più grande menzogna. Sono le dramatis personae di Pantani, il nuovo spettacolo di Marco Martinelli, regista della Compagnia delle Albe, che dopo aver portato in tutta Italia la sua Eresia della felicità (affidando ad un coro di adolescenti la messa in corpo della rabbia e della legittima aspirazione al desiderio), si fa giornalista/drammaturgo e si mette così ad indagare tra le pieghe di un mistero italiano. Partendo da quel fatidico 14 febbraio 2004, il giorno in cui Marco Pantani viene ritrovato senza vita in un residence di Rimini. Un affresco epico di una storia epica: debutto nazionale al Teatro Rasi di Ravenna.

Martinelli, chi era Marco Pantani?
Marco Pantani è stato dipinto come un uomo scorbutico, egocentrico, uno che voleva sempre vincere. Invece i colleghi, i gregari, quelli che hanno corso con lui, me l’hanno raccontato come un uomo di profonda umanità. Marco Pantani considerava la “famiglia del ciclismo” non soltanto i sodali ma che gli avversari. Pantani parlava come Majakovskij. Aveva un linguaggio potente che procedeva per lampi poetici. Quando Gianni Mura gli chiese «come fai ad andare così forte in salita?», lui rispose: «per abbreviare la mia agonia».
I personaggi di Tonina e di Paola, i genitori di Marco, sono le figure centrali della sua “sacra rappresentazione” che comincia con la veglia funebre attorno al corpo insepolto di Marco. Come è nata quest’immagine?
C’è una suggestione greca, antica, che mi ha guidato nella scrittura del testo e nella messa in scena. Marco Pantani è come Polinice: è sepolto fuori dalle mura con questa damnatio memoria: “era un bugiardo, un dopato”…. Il rito della memoria si compie attorno alle figure di Tonina e Paolo (interpretati da Ermanna Montanari e Luigi Dadina), che non si rassegnano a questa damnatio memoria e vogliono dare la giusta dignità al loro amato. La storia si svolge in presa diretta. Tonina e Paolo vogliono sapere, qui, ora. Le vicende storiche sono in flashback.
L’Italia è andata avanti su grandi menzogne e soprattutto su grandi sacrifici. Ciclicamente, bisogna sacrificarne uno perché la menzogna possa propagarsi indisturbata.
E’ proprio così. Quella di Marco è una vicenda esemplare di capro espiatorio. E in questo caso, il fatto che sia una storia sportiva, non vuol dire che sia una storia laterale. Anzi. Un intero sistema ha creduto di ripulirsi sacrificando un uomo che in quel momento era il campione per eccellenza.
A chi serviva questo sacrificio umano?
Le stesse istituzioni che l’hanno scarificato dovevano consegnare al Paese un’immagine pulita. La data fatidica è il 5 giugno del ’99, Madonna di Campiglio, che segna l’inizio della fine per Marco.  Prima di quella data, il Coni era nell’occhio del ciclone, perché c’erano stati vari scandali e il loro presidente era stato costretto a dimettersi. Per riacquistare credibilità, hanno pensato di prendere di mira gli atleti. E’ una storia complessa. Io ho voluto intitolare così lo spettacolo, Pantani, perché allude contemporaneamente a Marco Pantani e ai pantani della repubblica, ai fanghi e alle paludi in cui siamo sempre immersi, e da cui ci illudiamo di uscire con un rogo.
C’è un disegno preciso che sta dietro la scelta di tenere il personaggio principale fuori scena?
Il testo, e lo spettacolo, sono divisi in 34 capitoli come 34 sono gli anni della vita di Marco. Dura tre ore e mezza. Ha una durata epica come epiche erano le tappe di Pantani. Nella prima parte si racconta l’ascesa fino alla vittoria del tour nel ’98, e nella seconda l’agonia, la via crucis degli ultimi cinque anni di vita. Dopo i trionfi al Giro d'Italia e al Tour de France, le accuse di doping a Madonna di Campiglio, rivelatesi poi infondate, comincia il suo crollo. In scena ci sono 20 personaggi (i familiari, gli amici, i ciclisti che hanno corso con lui)  ma non c’è Marco, se non nei filmati d’archivio.
 Nella sua ricostruzione della vicenda, che ruolo ha giocato allora Gasparri?
In uno dei flashback, rivediamo Gasparri che due giorni dopo la morte di Marco rilascia delle dichiarazioni menzognere. Dice, in poche parole: è morto un uomo che non era un simbolo dello sport, uno che ha avuto squalifiche per doping…Cosa mai avvenuta. Perché anche quella di Madonna di Campiglio non era una squalifica per doping, ma serviva farla passare in questo modo. Tra l’altro, allora, nel 2004, Gasparri era il ministro delle Telecomunicazioni, e come tale stava dando una comunicazione sbagliata su cui inchiodare una memoria.
Vallanzasca invece che cosa c’entra?
Attorno a quella squalifica di Pantani, alla sospensione del famoso 5 giugno, c’era tutto un giro di scommesse clandestine. In carcere i compagni camorristi scommettevano proprio sulla sconfitta di Pantani, nonostante l’evidenza dicesse il contrario. Vallanzasca chiedeva: ma che cosa dite, non lo vedete che sta vincendo tutte le tappe? E gli altri gli rispondevano: non ti preoccupare, tanto quello lì a Milano non ci arriva…Tutto questo viene ricostruito da Vallanzasca nel suo libro autobiografico che uscì tre mesi dopo la morte di Pantani, ma i magistrati non la considerarono una testimonianza significativa perché era la parola di una bandito contro la parola di persone perbene, rappresentanti delle istituzioni.
Chi è l’Inquieto? Da quali mondi arriva e verso dove ci porta?
Accanto alle figure di Tonina a Paola Pantani, c’è anche una figura importante che è quella dell’Inquieto: un giornalista francese che si ispira alla figura di Philippe Brunel che con il suo libro Gli ultimi giorni di Marco Pantani (Rizzoli) ha riaperto il caso, sostenendo che dietro la morte di Marco a Rimini e attorno all’intera vicenda ci sono lato oscuri. L’Ignoto è anche una mia controfigura, ma anche la controfigura di tutti quelli che non si accontentano delle chiacchiere da bar.
Difficile cancellare l’immagine di un ragazzo di 34 anni che muore in quel modo in un residence di Rimini: un campione divenuto uno scarto umano…
E’ un’immagine che noi diamo all’inizio dello spettacolo. Per ritornare al residence di Rimini, dove un vagabondo ferito fu costretto ad isolarsi e a morire da solo. Ma noi volevamo raccontare anche il vincitore: Marco è uno che ha sempre vinto. Da quando si è messo in bicicletta a tredici anni, non è mai stato battuto da nessuno.
(Pubblicato su "Gli Altri")

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