L’ascesa e la caduta di Marco Pantani. Una veglia
funebre che tiene fuori scena il corpo insepolto di un campione morto per
calunnia. Un padre e una madre che chiedono verità. Le voci di amici, ciclisti
e nemici. Un bandito che dice la verità e un ministro che dice la più grande
menzogna. Sono le dramatis personae di Pantani,
il nuovo spettacolo di Marco Martinelli, regista della Compagnia delle Albe,
che dopo aver portato in tutta Italia la sua Eresia della felicità (affidando ad un coro di adolescenti la messa
in corpo della rabbia e della legittima aspirazione al desiderio), si fa
giornalista/drammaturgo e si mette così ad indagare tra le pieghe di un mistero
italiano. Partendo da quel fatidico 14 febbraio 2004, il giorno in cui Marco
Pantani viene ritrovato senza vita in un residence di Rimini. Un affresco epico
di una storia epica: debutto nazionale al Teatro Rasi di Ravenna.
Martinelli, chi era Marco
Pantani?
Marco
Pantani è stato dipinto come un uomo scorbutico, egocentrico, uno che voleva
sempre vincere. Invece i colleghi, i gregari, quelli che hanno corso con lui,
me l’hanno raccontato come un uomo di profonda umanità. Marco Pantani
considerava la “famiglia del ciclismo” non soltanto i sodali ma che gli
avversari. Pantani parlava come Majakovskij. Aveva un linguaggio potente che procedeva
per lampi poetici. Quando Gianni Mura gli chiese «come fai ad andare così forte
in salita?», lui rispose: «per abbreviare la mia agonia».
I personaggi di Tonina e
di Paola, i genitori di Marco, sono le figure centrali della sua “sacra
rappresentazione” che comincia con la veglia funebre attorno al corpo insepolto
di Marco. Come è nata quest’immagine?
C’è
una suggestione greca, antica, che mi ha guidato nella scrittura del testo e
nella messa in scena. Marco Pantani è come Polinice: è sepolto fuori dalle mura
con questa damnatio memoria: “era un bugiardo, un dopato”…. Il rito della
memoria si compie attorno alle figure di Tonina e Paolo (interpretati da
Ermanna Montanari e Luigi Dadina), che non si rassegnano a questa damnatio
memoria e vogliono dare la giusta dignità al loro amato. La storia si svolge in
presa diretta. Tonina e Paolo vogliono sapere, qui, ora. Le vicende storiche
sono in flashback.
L’Italia è andata avanti
su grandi menzogne e soprattutto su grandi sacrifici. Ciclicamente, bisogna
sacrificarne uno perché la menzogna possa propagarsi indisturbata.
E’
proprio così. Quella di Marco è una vicenda esemplare di capro espiatorio. E in
questo caso, il fatto che sia una storia sportiva, non vuol dire che sia una
storia laterale. Anzi. Un intero sistema ha creduto di ripulirsi sacrificando
un uomo che in quel momento era il campione
per eccellenza.
A chi serviva questo
sacrificio umano?
Le
stesse istituzioni che l’hanno scarificato dovevano consegnare al Paese
un’immagine pulita. La data fatidica è il 5 giugno del ’99, Madonna di
Campiglio, che segna l’inizio della fine per Marco. Prima di quella data, il Coni era nell’occhio
del ciclone, perché c’erano stati vari scandali e il loro presidente era stato
costretto a dimettersi. Per riacquistare credibilità, hanno pensato di prendere
di mira gli atleti. E’ una storia complessa. Io ho voluto intitolare così lo
spettacolo, Pantani, perché allude
contemporaneamente a Marco Pantani e ai pantani della repubblica, ai fanghi e
alle paludi in cui siamo sempre immersi, e da cui ci illudiamo di uscire con un
rogo.
C’è un disegno preciso che
sta dietro la scelta di tenere il personaggio principale fuori scena?
Il
testo, e lo spettacolo, sono divisi in 34 capitoli come 34 sono gli anni della
vita di Marco. Dura tre ore e mezza. Ha una durata epica come epiche erano le
tappe di Pantani. Nella prima parte si racconta l’ascesa fino alla vittoria del
tour nel ’98, e nella seconda l’agonia, la via crucis degli ultimi cinque anni
di vita. Dopo i trionfi al Giro d'Italia e al Tour de
France, le accuse di doping a Madonna di Campiglio, rivelatesi poi infondate, comincia
il suo crollo. In scena ci sono 20 personaggi (i familiari, gli amici, i ciclisti che hanno corso
con lui) ma non c’è Marco, se non nei
filmati d’archivio.
Nella sua ricostruzione
della vicenda, che ruolo ha giocato allora Gasparri?
In
uno dei flashback, rivediamo Gasparri che due giorni dopo la morte di Marco
rilascia delle dichiarazioni menzognere. Dice, in poche parole: è morto un uomo
che non era un simbolo dello sport, uno che ha avuto squalifiche per
doping…Cosa mai avvenuta. Perché anche quella di Madonna di Campiglio non era
una squalifica per doping, ma serviva farla passare in questo modo. Tra
l’altro, allora, nel 2004, Gasparri era il ministro delle Telecomunicazioni, e
come tale stava dando una comunicazione sbagliata su cui inchiodare una
memoria.
Vallanzasca invece che
cosa c’entra?
Attorno
a quella squalifica di Pantani, alla sospensione del famoso 5 giugno, c’era
tutto un giro di scommesse clandestine. In carcere i compagni camorristi
scommettevano proprio sulla sconfitta di Pantani, nonostante l’evidenza dicesse
il contrario. Vallanzasca chiedeva: ma che cosa dite, non lo vedete che sta
vincendo tutte le tappe? E gli altri gli rispondevano: non ti preoccupare,
tanto quello lì a Milano non ci arriva…Tutto questo viene ricostruito da
Vallanzasca nel suo libro autobiografico che uscì tre mesi dopo la morte di
Pantani, ma i magistrati non la considerarono una testimonianza significativa
perché era la parola di una bandito contro la parola di persone perbene,
rappresentanti delle istituzioni.
Chi è l’Inquieto? Da quali
mondi arriva e verso dove ci porta?
Accanto
alle figure di Tonina a Paola Pantani, c’è anche una figura importante che è
quella dell’Inquieto: un giornalista francese che si ispira alla figura di
Philippe Brunel che con il suo libro Gli
ultimi giorni di Marco Pantani (Rizzoli) ha riaperto il caso, sostenendo
che dietro la morte di Marco a Rimini e attorno all’intera vicenda ci sono lato
oscuri. L’Ignoto è anche una mia controfigura, ma anche la controfigura di
tutti quelli che non si accontentano delle chiacchiere da bar.
Difficile cancellare
l’immagine di un ragazzo di 34 anni che muore in quel modo in un residence di
Rimini: un campione divenuto uno scarto umano…
E’
un’immagine che noi diamo all’inizio dello spettacolo. Per ritornare al
residence di Rimini, dove un vagabondo ferito fu costretto ad isolarsi e a
morire da solo. Ma noi volevamo raccontare anche il vincitore: Marco è uno che
ha sempre vinto. Da quando si è messo in bicicletta a tredici anni, non è mai
stato battuto da nessuno.
(Pubblicato su "Gli Altri")
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