Torno al blog dopo un anno. A un anno esatto da questa intervista. A pochi giorni dalla scomparsa di uno dei grandi protagonisti del teatro italiano. Spero di fare la cosa giusta.
Ha un occhio accesso su
un viso ancora magro. Il carattere sembra più mite di un tempo. Diciamo che è mite
e sanguigno insieme. Con una delicatezza tutta sua che però, lui dice, è il
frutto di un lavoro: «La cura della forma me la insegnò tanti anni fa Visconti».
Giorgio Albertazzi ha 92 anni. Non solo recita ancora, ma si prepara a fare
anche un programma su Rai1, Vita, morte e miracoli: «Se ne sentirà parlare, ci
può giurare». In questi giorni, è tenuto
sotto sequestro dai fan, donne soprattutto: «Esagerano, veramente, non sono un
mito, non mi sono mai sentito così, mi imbarazza». L’altra sera una signora gli
ha detto: «Vede, maestro, io adesso vorrei spogliarmi qui nuda per lei». Era
presente anche la direttrice del Teatro Ghione di Roma (Roberta Blasi) . E lui,
per tutta risposta: «Grazie». E subito dopo: «Vedremo». Forse è persino un poco
timido, anche se ha giocato tutta la vita sulla fama di seduttore, però più
Casanova (che le donne le ama) che Don
Giovanni (il quale invece non le ama per niente). Con se stesso è spietato. Lo si
doveva capire già quando mandò alle stampe un’autobiografia dal titolo: Un perdente
di successo. «Io mi percepisco come inadeguato.
La gente mi vede colto e profondo. Magari ogni tanto riesco ad essere anche
profondo, ma io sono un superficiale». Sorride, ma non in quel modo con cui
sorridono sempre i divi dopo che l’hanno sparata grossa, come a dire: «Hai
visto cosa ho detto?». Lui, semplicemente, dice. Così come recita. Anche quando
recita, dice, e gli attori giovani accanto a lui ancora si stupiscono come
diavolo faccia a pronunciare: «Esigo la mia libbra di carne» in questo modo
cosìdrammaticamente semplice. In scena, Albertazzi, è l’ebreo Shylock nel Mercante
di Venezia (il ruolo di Antonio lo interpreta Franco Castellano: lo spettacolo,
per la regia di GiancarloMarinelli, è in
scena al Ghione fino all’8 febbraio, e negli ultimi giorni sono previste
repliche per non udenti e non vedenti con interpreti che traducono da un
linguaggio all’altro). Ci parliamo nel foyer del teatro. Albertazzi ha chiesto
un bicchiere di vino rosso: «Strano, non bevo mai il rosso, non mi piace
neanche troppo il vino, semmai lo champagne. Chissà come mi è venuto in mente
oggi di chiedere il rosso». Così anch’io chiedo un bicchiere di vino rosso. In
fondo, fuori ci sono zero gradi.
Albertazzi, lei ritorna a Shakespeare, da cui non si
è mai veramente separato: debuttò in teatro nel 1949 con “Troilo e Cressida”,
regia di Visconti. E qualche anno dopo lei è stato premiato al Royal National Theatre
come unico attore shakespeariano di lingua non inglese. Cosa cerca attraverso di lui?
Non sono solo io
ossessionato da Sha-kespeare. E’ l’autore più rappresentato al mondo, non per
caso. Passando il tempo, scopri molte cose nuove, alcune di queste fanno parte
del clima culturale dell’epoca, per esempio tutta la favolistica che c’è dentro
certi testi di Shakespeare: nel Sogno di una notte di mezza estate, ma anche
nel Mercante di Venezia, ad un certo punto spunta fuori la favola, appaiono le
fate, le principesse. Sono figure che escono fuori dalla novellistica
greco-latina a cui si è ispirato. E mi affascina anche questa questione
dell’identità ambigua di Shakespeare, si è scritto molto della sua presunta
italianità. In effetti l’Italia è molto presente nelle sue opere: Il mercante
di Venezia, I due gentiluomini di Verona, Romeo e Giulietta…
Nel suo libro autobiografico, ”Il mio ricordo
degli eterni”, il fisolofo Emanuele Severino compone un trattato sulla memoria.
Convinto che ricordare sia ”errare”, nel doppio senso di perdersi e di
sbagliare. Perché ciò che ricordiamo è impreciso, oscuro. Quali sono i luoghi
in cui la sua mente torna più volentieri?
A proposito di questo,
adesso sto preparando un programma per la Rai, si intitolerà Vita, morte e
miracoli. Se ne accorgerà quando si farà. Già l’anno scorso, quando ho
partecipato a Ballando con le stelle, ho buttato una specie di bomba. E stavolta
sarà una bomba moltiplicata per dieci. E così sono costretto a lavorare sulla
memoria, che nel mio caso è buona, ma sì, ha ragione Severino, degli eventi
ricordiamo cose particolari, non quadri interi.La memoria è importante. Mi
fanno molta tenerezza le persone senza memoria, sono così smarrite, fragili, è
come se avessero perso se stesse. Vivono in un non tempo. Capisci come la
memoria sia una invenzione nostra però scandisce il rapporto tra il giorno e la
notte, rende significanti gli anni, la temperatura del mondo. Quello che
ricordiamo è presente, si fa presente. Ma se c’è un popolo che è volto più al
passato che al presente, questo è il popolo italiano. Non lo dico solo io.
Come se lo spiega?
Me lo spiego con la
classicità. La nascita della cultura è qui, è nel Mediterraneo, è in Grecia.
La Grecia sembra di nuovo al centro del mondo. Tsipras
sta terremotando la vecchia Europa.
Tsipras mi piace, ma non
sono sicuro che ce la farà. Bisogna vedere quanti nemici ha dentro il suo
stesso partito. Il problema storico della sinistra è la suddivisione in tante
anime diverse che si fanno la guerra tra di loro.
Ma lui si è alleato con un partito di estrema
destra.
Ha fatto bene. Come ha
fatto bene Renzi a scompaginare le carte.
Bertinotti sostiene che il conflitto oggi non è
certo tra sinistra e destra, ma tra alto e basso.
Penso sia vero. Comunque
in Italia lasinistra e la destra non sono piùquelle di un tempo. Bisogne-rebbe
chiamarle diversa-mente.
Lei è considerato un uomo di destra.
Sì, ma a torto, perché io non sono un uomo di
destra. Indubbiamente ho un passato militare di destra, che adesso non
rivendico. Avevo 19 anni quando sono entrato nella Repubblica di Salò.
Comunque, anche allora ero più anarchico che fascista: andavo alle adunate, mi
mettevo il maglione bianco anziché nero…
Quanto le è costata quella scelta?
Se non fossi stato forte artisticamente, ci sarei
finito dentro per sempre. Nella cultura, è impossibile essere di destra. Quando
nel dopoguerra si sono divisi i poteri in Italia, quello economico se l’è preso
la Dc, e quello culturale è andato alla sinistra. E lì è stata dura, non solo
per me. Anche uno come Zeffirelli l’ha pagata cara. Ha incontrato moltissimi
ostacoli, anche se è internazionalmente noto, e la cosa non si è placata
neanche adesso. Questo è terribile. Perché sono comportamenti che si basavo sul
sentimento di vendetta, su una specie di rancoroso pensare nei confronti di chi
non la pensa come te o addirittura si suppone che non la pensi come te. E
siccome la storia la scrivono i vinti, cioè voglio dire i vincitori...
Un bel
lapsus, per uno che la sua autobiografia l’ha voluta intitolare “Un perdente di
successo”.
Spesso la storia è superficiale. E le ragioni dei
vinti sono molto più importanti. A me interessano in fondo solo quelle, le
ragioni di chi ha perso. Per quanto riguarda me, io sono abituato a questa onda
di opposizioni feroci e di entusiasmi altrettanto sconsiderati nei miei
confronti. Adesso per esempio ritengo che si dicano cose su di me anche eccessive,
nel bene. Troppo, veramente troppo. Non si possono dire cose come: lei mi ha
cambiato la vita, lei è un mito… A volte mi imbarazzano.
Lei da
ragazzo ce l’aveva un mito?
Non mi pare.
Neanche
Luchino Visconti?
Luchino è stato più indirettamente maestro. I suoi
spettacoli sono stati per me un grande insegnamento. Ma la nostra
relazionepersonale era talmente amichevole che non posso dire che fosse per me
un mito. E’ stato semmai un maestro di vita… Da Luchino imparavo delle cose che
non sospettavo e che cerco ora di trasmettere anche io agli altri: “l’etichetta”,
un certo modo di stare a tavola. Non che io fossi maleducato, però un po’
selvaggio si, e da lui ho imparato che i calzini corti non si devono portare.
E’ vera
la storia del bacio? Come accadde?
Come accadono queste cose tra una donna e un uomo?
Non si sa. E così è accaduto che una volta io e Luchino ci baciammo. E siccome
io tendo a dire tutto, ho raccontato anche quello. Ma fu un episodio isolato.
Diciamo che lui era un tipo possessivo, tendeva ad entrare nella mia vita. Quando
ho lasciato Bianca (Toccafondi), mi telefonò per dirmi: «Come ti sei permesso
di lasciare Bianchina?». E’ come Antonio nel Mercante di Venezia. Ama questo
ragazzo, Bassanio, però quando il ragazzo si innamora di Porzia lui gli procura
i soldi per realizzare il suo sogno. C’è un modo di amare che significa
occuparsi della vita degli altri. E’ una forma non di frociaggine, ma di
esisetnza direi wildiana. E’ una forma d’amore piena di umorismo, di
generosità.
E’ vero
che a un certo punto un po’ di fan volevano candidarla come presidente dela
Repubblica?
Sì, mi aveva telefonato un signore che era rappresentante
di un gruppo di trecento persone per darmi quest’annunncio e io ho risposto:
«Non vi permettete! Non ci pensate nemmeno!». Per fortuna sono stati buoni.
Mattarella
le piace?
Volevo un giurista, e Mattarella mi sembra una buona scelta. Mi piace come figura istituzionale. Un
presidente deve avere a che fare con la magistratura, con la giustizia, deve
avere un forte senso dello Stato. E lui
sembra avere tutte queste cose. A me piaceva anche Amato, ma era troppo
scavezzacollo.
E come
ha vissuto i nove anni di Giorgio Napolitano, che è anche un suo coetaneo?
Veramente è più “giovane” di due anni! Lo conosco
anche personalmente. E’ un uomo in gamba. Bisogna distinguere tra presidenti
interventisti e avventurosi come Pertini, che ha avuto un forte impatto col
popolo italiano, e presidenti come Napolitano che hanno fatto delle
trasformazioni: lui è passato da un comunismo radicale a una coscienza meno
partitica.
Quali
giornali legge la mattina?
Il Corriere della Sera, La Repubblica e Il Foglio,
che considero il più bel giornale italiano, e un giornale locale della città in
cui mi trovo (se sono a Napoli Il Mattino, se mi trovo a Firenze La Nazione, a
Torino La Stampa)… Ma prima di tutti leggo La Gazzettadello Sport.
Tifoso
sempre della Fiorentina?
Certo! Ma sono tifoso del calcio in generale. Ci
capisco parecchio sa?
Lei sì è
sposato solo nel 2006, con Pia de’Tolomei (che ha 36 anni meno di lei).
Pia è un angelo, anche se di sé pensa tutto il
contrario. E comunque mi sono sposato perché lei me l’ha chiesto.
Le altre
non gliel’avevano chiesto?
Come no? Tutte.
E la sua
Anna? Ha voluto accompagnarla fino alla fine (ndr: Anna Proclemer è morta il 25
aprile 2013), anche se non stavate insieme da molti anni.
Anna è stata un grandissimo amore. C’era l’eros,
c’era il sentimento, ma c’era qualcosa di più: una grande affinità elettiva. Insieme
creavamo un mondo. Abbiamo fatto anche una strada professionale molto forte. Eravamo
imbattibili insieme sulla scena. E poi la villa insieme, gli animali, i gruppi
esoterici, c’era un sacco di roba che ci legava.
Casanova
più di Don Giovanni?
Certo. Riconosco il fatto che Don Giovanni sia un
grande personaggio, ma è astratto. La sfida di Don Giovanni è Dio. La scena saliente
è quella con il povero che gli chiede l’elemosina e lui dice: ti do i soldi ma
devi bestemmiare!... Io l’ho fatto in televisione, non in teatro. Ma lo vivo
con distacco. Casanova, invece ama le donne, vuole essere amato, è sconfitto
spesso, fa cilecca. Ed è un grande scrittore, uno dei più grandi epistolaristi.
E’ scappato dai Piombi, basta dire questo…
Il suo
camerino, Albertazzi, è sempre pieno di signore.
Le signore mi vogliono baciare. E io spesso chiedo:
ma perché mi volete baciare? L’altra sera una bellissima donna che non avrà avuto
più di 60 anni è venuta qui e mi ha detto: «Io vorrei spogliarmi nuda davanti a
lei». Di fronte a questa curiosa
dichiarazione, io ho dato due risposte
una più stupida dell’altra. La prima è stata: «Grazie». E la seconda:
«Vedremo!».
L’ho sentita
prima parlare bene di alcuni suoi colleghi, Orsini, Mauri. In teatro, non lo fa
nessuno.
Non ho forme di gelosia professionale, forse
perché non ho avuto mai tante difficoltà ad essere riconosciuto nel mio lavoro.
Non sono competitivo. E tendo a conservare buoni rapporti con tutti. Anche con
le mie ex donne. Stasera verranno a vedermi a teatro sia Mariangela D’Abbraccio che Elisabetta Pozzi.
Una
volta ha detto che la morte l’affascina.
Della morte mi affascina l’umorismo.
Cosa c’è
di umoristico nel morire?
Se la morte non fosse accompagnata troppo spesso
dal dolore fisico, dalla sofferenza, sarebbe sopportabile. Io la trova assurda,
e quindi umoristica.
Anna le
chiese di aiutarla a morire?
Sì. Mi diceva: «Giorgio, aiutami a morire». Io
tentavo di fare lo spiritoso e dicevo: «Anna, aspetta, facciamo insieme». Lei
non ha sopportato proprio la sua decadenza fisica, anche se questa sua
decadenza era molto relativa. Conservava la bellezza nel viso. Però certo non
camminava come prima, aveva sempre sonno, non poteva più recitare. Avevo
tentato di coinvolgerla negli ultimi anni, ma lei non se la sentiva. In questo
non la riconoscevo. Nei tanti anni di vita insieme, non si era mai sottratta a
nessuno spettacolo. Ma poi è subentrata la paura. Ho delle fotografie di Anna
in cui è di una bellezza incredibile! Lo ripeto, è stata una bellissima storia.
Anche se penso di averla fatta più soffrire che altro. E’ una cosa che penso
sempre di me.
E’ così
che si vede?
Io penso di essere sempre stato inadeguato, nella
vita privata. Se va a domandare a loro, alle donne, negano. Nessuna ha mai detto:
«Maledetto il giorno che ti ho incontrato». Invece, hanno sempre detto:
«Benedetto il giorno che ti ho incontrato». Questo per quel che riguarda le donne,
ma in generale, io non so come mai gli altri mi vedano come un uomo profondo.
Io sarò anche profondo in certe circostanze, ma mi riconosco una grande
superficialità di fondo. Io non vado mai per dritto, vado per orizzontale, passo
da una cosa all’altra senza neanche accorgermene. Con le donne, faccio come il
principe Myskin di Dostoevskij, che apprezza la bellezza di tutte. L’uomo, gli
altri uomini, non sono così. Io sono così.
Ne è
sicuro?
No, non ne sono sicuro.