sabato 23 maggio 2015

Eduardo De Filippo, uomo della ricostruzione

 

Nel corso di una intervista televisiva, Eduardo disse che avrebbe potuto fare solo quello che ha fatto, cioè l’attore. Ma tra la domanda («Che cos’altro avrebbe potuto fare, maestro, nella vita?») e la risposta, c’è una lunga pausa. Eduardo cerca dentro di sé e non trova altro che l’immagine dell’attore. Un altro uomo, nella sua posizione, magari avrebbe detto (e se non l’avesse detto l’avrebbe sicuramente pensato): ma io non sono solo questo, io sono un drammaturgo, uno scrittore,un intellettuale, un pedagogo, un professore, un senatore, che vi credete… E invece no. De Filippo ci pensò pure ma alla fine disse: io avrei potuto fare solo l’attore. Guardando in anteprima il documentario dedicato ad Eduardo, Eduardo e il 900 firmato da Antonella Ottai e Paola Quarenghi, regia di Marco Odetti, che andrà in onda domenica 24 maggio alle 22 su Rai5 – un omaggio molto ben documentato e ricco di materiali inediti al grande artista nato nel 1900 e morto nel 1984 – emergono in primo piano i tanti volti di Eduardo, in particolare quelli allacciati alla vocazione sociale e politica. Che Pasolini abbia fatto da coscienza critica di questo Paese è cosa ormai riconosciuta, ma pochi pensano a De Filippo come intellettuale. Il merito di quest’opera storica che percorre il Novecento sta allora proprio nel mostrare il lavoro paziente, rigoroso, utopistico, che De Filippo fece per questo Paese, non solo attraverso l’impegno drammaturgico e scenico, ma anche fuori dal teatro. Eduardo fu, da Napoli milionaria fino agli ultimi anni della sua vita (quando rese più che sensata la sua carica di senatore, o nel momento in cui accettò in vecchiaia il ruolo didattico al Centro Teatro Ateneo di Roma), un uomo della ricostruzione. Perché l’Italia, non solo alla fine della seconda guerramondiale,  ma continuamente, ha avuto bisogno di essere costruita e ricostruita: parliamo di un Paese che nella sua democrazia imperfetta ha sempre lasciato indietro qualcuno. Ed era proprio questo qualcuno o qualcosa  rimasto fuori dalla storia che interessava a De Filippo, come dimostrano molti suoi gesti: dalla ricostruzione del Teatro San Ferdinando ridotto a macerie al lavoro per i ragazzi del carcere minorile di Nisida. Tutto partiva dal fatto che aveva imparato il mestiere interpretandolo come un lavoro duro, quasi sacro: il padre Scarpetta lo inchiodava alla sedia e gli faceva ricopiare per ore dialoghi delle sue commedie e testi di altri scrittori. Eduardo non si percepiva proprio come intellettuale, ma lo era profondamente: perché che cos’altro dovrebbe fare un intellettuale se non stare vicino alla strada, a chi non ha nulla o l’ha perso? Lui aveva quasi soggezione del mondo accademico. Lo si vede dalla reazione emozionata e tenera che ebbe al conferimento della laura honoris causa in tarda età, o dal modo quasi timido con cui raccontava del suo incontro con Pirandello, lo scrittore premio Nobel. Ma di Pasolini, invece, diceva: «Era adorabile, indifeso». Ecco, alla fine della visione di questo bel documentario, dopo essere stati a lungo con il suo volto antico e aver ascoltato i pieni e i vuoti di un discorso teatrale lungo un secolo, dopo aver scrutato il modo in cui ha consegnato l’eredità artistica all’amatissimo figlio Luca, ci viene da dire un po’ la stessa cosa: «Eduardo era adorabile, indifeso».
(pubblicato sul Garantista) 

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