domenica 3 maggio 2015

Le favole sono vere: uno scrittore di 40 anni alla guida del Piccolo Teatro di Milano


 ll drammaturgo Stefano Massini è stato nominato nuovo consulente artistico del Piccolo Teatro di Milano, ereditando così il ruolo che fu di Ronconi, e prima ancora di Strehler. Il primo pensiero è: sarà un refuso, un lapsus? Scartata questa possibilità, ci viene in mente una seconda idea: il genere "romance" può tornare di moda. La notizia è rilevante. Innanzitutto, in contrasto con una ferrea tradizione che vuole registi o organizzatori alla guida degli stabili italiani, questa volta la scelta è caduta su uno scrittore, anzi su un drammaturgo, che di questi tempi i drammaturghi non solo non vanno in tv ma a malapena sono tollerati, perché sembra difficile spiegare che cosa facciano nella vita. Nel caso particolare, Massini non vive neanche in una metropoli, non va alle cene importanti, non vede gente che potrebbe servirgli per il suo lavoro. Lui vive nella campagna toscana con la sua fidanzata e il cane Brownie, in un posto in cui la linea telefonica va e viene e dove d’inverno fa un freddo becco. E’ da quasi vent’anni che scrive opere per il teatro, ha avuto numerosi premi per le sue idee, ma il successo-successo è arrivato inaspettatamente, grazie alla "Lehman Trilogy", architettonica opera sulla fine di un’epoca che ha per protagonisti gli uomini della banca Lehman, ascesa e caduta di una dinastia di ebrei tedeschi trapiantati in America. Pubblicata da Einaudi, tradotta e messa in scena in varie parti d’Europa, la trilogia era stata amata da Luca Ronconi, per il quale Massini aveva fatto quello che si chiama il lavoro di dramaturg. Il grande regista è morto (ndr.il 21 febbraio) mentre lo spettacolo era ancora in scena al Piccolo. E ci piace immaginare che in quei mesi febbrili di lavoro comune le qualità umane e intellettuali di Massini siano state talmente chiare che, al momento di scegliere il successore di Ronconi, il direttore Escobar e il cda del Piccolo abbiano seriamente pensato ad una successione di tipo “sentimentale”, che non c’entrasse niente ma proprio niente con la politica. Del maestro ottantenne, Massini (che di anni ne ha 40) ci aveva detto: «E’ il più giovane sperimentatore della scena che io abbia mai conosciuto». 
Sarebbe oggi quasi un po’ conformista dire che la città di Firenze non si è accorta del talento che aveva in casa. Questo semmai è un corollario, un incidente. La storia di Stefano Massini al Piccolo è, piuttosto, una piccola favola che dà speranza non tanto a chi lavora nel settore (l’antipatico e un po’ repellente “lavoro culturale” dal quale ci metteva in guardia Luciano Bianciardi), quanto a chi crede fortemente in una idea di mondo che non sia cinico, spietato e accondiscendente, a chi coltiva la propria arte per il gusto dell’arte stessa e non per farne vanto in giro. Nella nostra lunga conversazione/intervista pubblicata su questo stesso giornale (il 25 gennaio), Massini ci diceva: «Io non sopporto la bassezza, l’ipocrisia, tutto ciò che è piccola manovra, soprattutto quando vedo queste caratteristiche nelle persone che si occupano di arte. Ma siccome il 99, 9 per cento delle persone che fanno arte alla fine si rivelano bestie capaci di qualunque meschinità, allora io preferisco una meravigliosa dorata solitudine». Sono passati solo tre mesi. Allo scrittore che viveva in solitudine è arrivata all’improvviso una telefonata: «Scusi, Massini, dirigerebbe il Piccolo?». Sembra uno scherzo. Invece è l’inizio di un romanzo che vale la pena leggere. Naturalmente l’impegno a cui è chiamato è gigantesco, ed è molto diverso dal mestiere del drammaturgo: non saranno tutti fiori. Ma se dobbiamo leggere le cose dal prologo, quest’inizio ci sembra indicare un sintomo rivelatorio di una vena più libera che esce fuori dal tessuto molle di questa nostra epoca. Magari qualcosa sarà sfuggito all’ingranaggio, forse qualcuno si era distratto, impegnato a trafficare, lamentarsi e inveire contro “il sistema”. Ma su quel treno Firenze-Milano Massini ci è salito veramente. Non sappiamo con esattezza tutto quello che ha messo in valigia. Di sicuro è riuscito a farci entrare quanti più libri poteva. (articolo pubblicato sul Garantista)

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