Aldo Moro apre la porta del covo di via Montalcini. Non è
neanche una evasione. E’ un uscire fuori. E’ un vivere. E’ libero e soprattutto
è vivo. Cammina nella luce. La storia si disancora dal tragico e ci consegna
una immagine fantasmata di Moro, che
ha il volto di Roberto Herlitzka, la sua voce, il corpo magro, quella capacità
di essere. Il finale di Buongiorno notte di Bellocchio è
qualcosa che ci ha “spostato”. E molto si deve alla forza spirituale del suo
interprete. Oggi Roberto Herlitzka è lo spirito di Pasolini, a teatro, in Una giovinezza enormemente giovane di
Gianni Borgna, per la regia di Calenda (al Teatro Argentina di Roma fino a
domenica 9 novembre, e poi dall'11 al 16 al
Bellini di Napoli, e dal 18 al 23 a Trieste), dà corpo ai suoi pensieri,
dopo che è stato ammazzato all’Idroscalo di Ostia. Nel mezzo ci sono state
tante altre presenze che l’attore di lontana origine boema – nato a Torino nel 1937,
romano d’adozione - ha mosso sul palcoscenico e al cinema: Casanova, Amleto,
Arlecchino...Prendendo appunti sui materiali eccedenti di una esistenza che
conduce fuori dal coro (Herlitzka scrive anche, soprattutto trascrive i suoi
sogni). Abbiamo raggiunto l’attore nella sua casa romana. In ascensore una
signora ci chiede: <Va dagli Herlitzka?>. Già, gli Herlitzka. Perché
Roberto non è solo, c’è anche Chiara (Cajoli). Marito e moglie sono insieme dal 1968. Inseparabili.
Dove c’è lui, c’è lei. Chiara ci viene ad aprire. E’ molto bella, alta con gli occhi chiari.
Ora sediamo nello studio dell’attore, tra i chiaroscuri di una pittura
involontaria che pare quella di Cezanne, con i mobili in legno e le poltrone chiare
e dei verdini. Parte il racconto. La voce non confondibile di Roberto Herlitzka
si appoggia a un pensiero in movimento lento. Notiamo una certa timidezza che
in fondo speravamo di trovare.
Vivete in questa casa
da molto tempo?
Quindici anni o qualcosa del genere.
Dove ha conosciuto
Chiara?
All’Accademia d’Arte Drammatica.
Un’unione di questo
tipo è rara.
Non c’è dubbio su questo. Condividiamo tutto, soprattutto la
passione per il teatro, per la recitazione, per la poesia. Però lei ha smesso
quasi subito perché non si piaceva come attrice. Chiara ha un istinto ferocemente
critico che he esercitato prima di tutto su se stessa. E però questo non le ha
tolto la passione…
Entra Chiara.
R.H. Stavo parlando di te.
C.C.: Di me?
R.H.: Sì, stavo dicendo che avevi cominciato come attrice ma
poi hai smesso.
Chiara sorride,
dritta, nella sua figura alta, elegante. Con una voce sottile, dice:
<La mia passione è la recitazione, ma quello che mi
usciva di bocca non mi convinceva>.
R.H.. Chiara, da quanti anni stiamo in questa casa?
C.C. Diciotto.
R.H. Ecco, vede, senza di lei sono perso.
Chiara esce, dopo aver
portato caffè, acqua, cioccolatini.
Che ricordo ha di
Gianni Borgna?
Ricordo una persona molto affabile, viva...Era riuscito a
venire alla prima a Trieste (dove fra poco torneremo) e sembrava molto felice. Devo
dire che è stato un dolore sapere della sua morte…. Con questo testo, Borgna ha
voluto raccontare Pasolini di cui è stato ammiratore e amico tutta la vita.
Quindi un Pasolini non criticato, anche se tutt’altro che risparmiato. Borgna si
è immaginato quello che Pasolini può aver pensato, sentito, proprio nelle
ultime ore della sua vita e subito dopo. Ci sono pensieri post-mortem. Sono
sensazioni, riflessioni, rapide. Una conferma di una sua fondamentale
innocenza, e anche di una sua ribellione contro tutto quello che è stato immaginato
e addirittura sancito sulla sua fine.
Quali sono i suoi
pensieri da morto?
Il suo è uno spirito che si ribella, che protesta. E si
chiede con dubbio tormentoso se sia stato Pelosi a guidare gli altri fino ad
Ostia o sia stato solo messo in mezzo per una eventuale rapina. Non può sapere
se il ragazzo c’entrasse o no e guardandosi morto dice: questo dubbio mi
tormenta ancora. E poi dice: come si può immaginare che io abbia esercitato
violenza contro qualcuno, io che sono incapace di violenza? E’ commovente
questo andare a cercare cose che nessuno può aver detto.
Ha visto il film di
Abel Ferrara, che racconta l’ultimo giorno di vita del poeta, tutto ciò che
accadde il 2 novembre del 1975?
Non ci andrò, mi secca vedere un altro Pasolini, devo
immaginare il mio. Magari ci vado dopo.
Chi era Pier Paolo
Pasolini per lei?
Un grande poeta. Quando erano usciti i suoi romanzi, Ragazzi di vita, Una vita violenta, ero rimasto molto colpito da questo nuovo modo
di scrivere, di inventare, ma a toccarmi maggiormente è stata la sua poesia.
Alcune cose dei suoi film sono all’altezza della poesia: La Ricotta, Accattone,
certe scene del Decameron…Lui
certamente lo stile non lo ha cercato, ma lo ha avuto in sorte.
“Una giovinezza
enormemente giovane” è un verso di Pasolini.
Che cosa contiene la sua, di giovinezza?
Io non ho avuto una giovinezza particolarmente felice, mentre
l’infanzia è stata più luminosa. Io forse la giovinezza l’ho saltata, perché mi
ha dato sofferenza. Mi reputo un bambino rimasto vecchio, cioè sono nato
vecchio, e non sono più cresciuto. Non sono un vecchio rimasto bambino, sono un
bambino rimasto vecchio.
Cosa significa invece
essere vecchi?
La vecchiaia è meglio non sapere neanche cosa sia, tanto si
fa riconoscere da sola. La vecchiaia secondo me può essere soltanto l’indurirsi
di un modo di trattare gli altri, di volersi far considerare dagli altri.
Quando uno dice <alla mia età io posso questo, io ho questo>…ecco, quello
è per me essere vecchi. Se uno non invecchia dentro, continua a considerarsi
come si è sempre considerato. Questo può significare avere in sé una giovinezza
enormemente giovane, non pensare di avere delle medaglie, dei gradi, di aver
salito la scala. Se mi danno dei premi sono felice, è una cosa che mi
entusiasma, ma non è che mi sento arrivato chissà dove. Mi sento sempre lì con
dei premi.
Herlitzka è un cognome
è d’origine cecoslovacca…
Mio nonno paterno è nato a Trieste, ma era originario della
città di Brno (dove ora fanno il premio di formula uno). La sua famiglia era
dovuta emigrare a causa delle persecuzioni contro razziali gli ebrei…Poi mio
nonno da Trieste si è trasferito a Torino, dove è nato mio padre, che ha
sposato una donna torinese. Ed eccomi qui.
C’è mai andato a
Brno?
Pensi che non sono neanche andato a Praga, che credo sia
molto più bella di Brno. E a questo punto credo che non lo farò più.
Chi sono gli autori
che va spesso a visitare?
Nel campo della poesia, parto dai trecentisti e arrivo fino
all’oggi. Mi piacciono i poeti grandi e anche quelli meno grandi. Devo dire che
i miei preferiti sono Dante e Petrarca, ma non che disprezzi Leopardi. Come
scrittori, certamente Proust e Kafka.
Quando si è trovato a
trovare a interpretare “Il Soccombente”, è entrato quasi in transfert con la
scrittura di Thomas Bernhard, come se Bernhard non aspettasse che lei per
essere messo in scena.
E già, dimenticavo Bernhard.
Per quanto cammini sul filo dell’assurdo, è comunque l’assurdo che
viviamo. Con lui non c’è bisogno di metaforizzare nulla. Per la loro condotta
umana, quotidiana, trovo nelle sue figure, anche le più negative, i ritratti di
persone che ho conosciuto, persino di me stesso.
Se potesse riportare qualcuno
in vita, chi farebbe tornare dall’aldilà?
Ogni tanto mi dico: chissà Dante che si è veramente immaginato
il cielo, il sopra-cielo, il sole e tutte l’altre
stelle, che cosa penserebbe trovandosi di fronte immagini fantascientifiche
come quelle che si vedono oggi al cinema? Non potrebbe non sentire l’enorme
distanza tra quello che lui ha immaginato e ciò che potrebbe sembrargli una
realtà (non sapendo che non è una realtà ma pura tecnologia). Forse penserebbe: ma sono questi quegli astri
che io ho immaginato? Dante ha avuto una
visione talmente profonda e completa dell’essere umano che secondo me si
sentirebbe un po’ spaesato. Ma vedere la sua reazione, quello sì, mi
piacerebbe.
Che rapporto ha con
la politica?
Io non ho un rapporto con la politica. Voto ovviamente, ho le mie idee, Ma ne ne sono
sempre tenuto fuori. E’ un campo di battaglia in cui non sento di avere armi di
nessun genere. Non potrei sostenere nessuna discussione contro qualcuno, anche
sapendo di aver ragione. Vedere questi talk-show in cui tu non riesci nemmeno a
sentire la metà della frase del parlante (di qualunque parte politica esso
sia), ecco, è una cosa che mi fa veramente desiderare di parlare mai di questi
argomenti. Non si capisce nulla. Se non si è interrotti da un nemico, ti interrompe
il conduttore.
Eduardo De Filippo
divenne senatore tre anni prima di morire, da vecchio. Un recente documentario
ha ripescato tutto quel capitolo politico, civile, della sua carriera. E
abbiamo rivisto quel volto che esprimeva tutta l’impotenza di fronte
all’assurdo della politica. Lo facevano parlare, usavano il suo prestigio
morale e intellettuale, ma in modo inconcludente che poteva risultare persino
ironico. Troppo inconciliabili i due mondi. Forse oggi non lo farebbero neanche
senatore.
O forse lo farebbero, ma lo insulterebbero. Come è successo
a Rita Levi Montalcini.
Si sente torinese?
Sono venuto a Roma a 18 anni e ci sono rimasto. La città in cui sei
cresciuto ti rimane dentro sempre come modo di fare e ti rende un po’ estranee le
abitudini diverse che vai scoprendo nella città che ti accoglie. Io non sono
mai diventato un romano vero. Torino, più vado avanti negli anni e più mi
ritorna: mi ritorna l’atmosfera di quella città dove sono stato ragazzo. Ma non ci tornerei mai a vivere.
E Roma che luogo è
per lei?
Roma è la più bella città del mondo. Su questo non ho dubbi.
Anzi quando i parigini dicono <è bella come Parigi>, io rispondo : <no,
scusate, non è bella come Parigi, è bella come Roma>. Allora, quando c’è
questa bellezza, alla fine non vedi altro, anche se ci sarebbe anche tanto
altro da vedere che non è così bello. Però non la cambierei con nessun’altra
città. Perché è bella. Checché ne dicesse Flaiano, non è neanche così
provinciale, ma è anche provinciale. E naturalmente rispetto alla società
torinese che è chiusa e diffidente, la società romana è molto più aperta. Non posso dirle di volerle bene, posso dire
di amarla. Provo verso Roma un
sentimento quasi di possesso, sì un desiderio di possesso…ogni volta che rivedo
quei luoghi meravigliosi, ritorna questa specie di amore, il colpo di
fulmine che provai la prima volta.
Questo colpo di
fulmine di cui lei parla è molto forte nei racconti di chi non ci è nato ma ci
è arrivato. E’ la febbre di chi si sente
straniero, e sa che Roma non è sua, appunto.
In fondo, Fellini e Pasolini hanno messo in campo anche quel loro primo
stupore.
Sicuramente è così. E’ fatale che sia così. Tante volte
viene da invidiare gli stranieri che vengono a Roma per la prima volta.
Vorrei sapere
qualcosa della scena tagliata che riguardava il cardinale che lei interpretava
ne “La Grande Bellezza” di Sorrentino.
Come fa a saperlo?
Mi sono documentata.
Beh, sono contento che qualcuno lo sappia. Quella scena
avrebbe aggiunto al mio personaggio una dimensione surreale. Deluso dai suoi
seguaci mondani, che portava a vedere “il luogo delle puzzole”, il mio
cardinale rimaneva solo in un bosco dove vedeva una donna vestita di veli che cantava
una canzone d’amore e rimaneva rapito ad ascoltare come se sentisse un angelo o
il rimpianto di un amore che non c’era mai stato…Avrebbe dato senso a un
personaggio che invece è sembrato terra-terra.
In quale tipo di
“stanza” entra quando lavora con Bellocchio?
Bellocchio è l’artista da cui ho avuto di più. In realtà
doveva essere una presenza molto vaga quella di Moro, poi lavorando si è fissato
di più sulla mia presenza, e questo mi ha entusiasmato. Sentire la machina da
presa di Bellocchio che non se ne va dal tuo volto, è fantastico. Bellocchio ha
un modo timido, estremamente educato di dire le cose, ma te le fa arrivare
dentro.
A differenza di altri
attori, sembra sempre che tra lei e i suoi personaggi non passi aria superflua.
Lei è lì, con loro, accanto a loro. Non si scompone. Non esagera.
Forse succede perché io non mi immedesimo. Io li riferisco
come li vedo e quindi riferisco me stesso. Il mio modo di vedermi.
Si potrebbe dire che
lei non è narcisista, ma non può non esserlo. Fa l’attore.
Io sono talmente narcisista che non riesco neanche ad
immaginare di fare qualcosa per ottenerla, che non sia fare al meglio quello
che faccio. Non riesco a creare rapporti prima e fuori l’opera. Ho una specie
di folle <desio d’onore>, come lo chiamava Foscolo. Io vorrei che la mia
fama dipendesse esclusivamente dal fatto che io piaccio in tutto quello che
faccio.
Così è.
Appunto, ma vorrei che fosse molto di più.
Con Giorgio Pasotti,
è Arlecchino. Curioso.
Già, tutto avrei pensato nella vita tranne che di fare
Arlecchino. Io accetto qualsiasi cosa che sia pericolosa…Nel film di Pasotti
sono l’Arlecchino morente che passa il testimone al figlio che fa l’Arlecchino
nuovo. (“Io, Arlecchino” è stato presentato al Festival del Film di Roma.
Uscirà a carnevale nelle sale).
Ritornerà anche a
fare “Casanova” di Ruggero Cappuccio (al teatro Arcobaleno di Roma a gennaio),
portandoci in una zona ancora più ambigua, e temeraria.
Casanova riscritto da Cappuccio è assediato da fantasmi in
carne in ossa, cinque attrici che vengono a trovarlo nella sua ultima
residenza, quando era nominalmente ospite ma in realtà prigioniero nel castello
di Dux in Boemia, dove poi è anche morto e dove ha scritto le sue memorie. In
questa sua solitudine, arrivano i ricordi di alcune donne che vorrebbero
condannarlo, e lui si difende. In questo è molto diverso da Don Giovanni, che
ha una grandezza tragica assoluta, però è un dannato. Don Giovanni è un distruttore, è una tigre che mangia le
prede. Invece Casanova era un vero amante delle donne.
Si racconta anche la
leggendaria evasione di Casanova dai Piombi, l’antica prigione di Venezia.
Casanova era uno che si dava da fare, faceva lo spiritoso,
si agitava, e l’hanno messo nella più terribile prigione che ci sia, i Piombi,
senza neanche sapere perché né per quanto tempo. Una cosa disumana. Lo avevano
accusato di fare l’eretico, in realtà era nemico e disprezzatore di Carlo
Gozzi, il rivale di Goldoni. Si era creato dei nemici. Ha avuto questa
terribile condanna e ha avuto questa incredibile forza di evadere.
Ad un certo punto,
con Amleto, ha fatto la sua prima e unica regia. E’ uno spettacolo che replica da
17 anni…
Da quando era ragazzino facevo Amleto allo specchio. Ad un
certo punto è arrivato Walter Pagliaro che aveva allora il teatrino della Villa
a Roma e voleva fare degli incontri settimanali su Amleto. Così ho pensato di recitare di fila tutte
le battute del personaggio di Amleto senza che apparissero gli altri
personaggi. Ho pensato: così almeno
una volta nella mia vita le avrò dette! E così ho fatto.
Perché l’ha voluto
intitolare “Ex-Amleto”?
Perché non avevo più l’età per fare Amleto.
Avrebbe potuto fare
solo l’attore nella sua vita?
Io avrei potuto e voluto fare lo scrittore. Ho scritto tutti
i miei sogni, per esempio. Li ho anche pubblicati. Il libro si intitola Ipnogrammi.
Devo avere quel
libro!
Da qualche parte ce l’ho, lo devo trovare. E glielo farò
avere….A ripensarci, c’è un’altra cosa che avrei potuto fare ancora meglio, ed
è il pianista. Ho studiato pianoforte da ragazzo e ho continuato anche da adulto
a suonare le sonate di Mozart. Magari un po’ stonandole, ma non sono difficili.
Solo prima di
andarcene notiamo che nello studio di Herlitzka c’è anche un pianoforte: sembra
essere stato evocato dal racconto, ma non è difficile credere che invece sia
stato lì tutto il tempo.
(pubblicato sul Garantista)
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