Vai a capire da quale finestra del passato esce fuori
l’immagine di un uomo che con forza disperante lava i panni dentro un paesaggio
biblico. Oggettivamente, era una fotografia, ma aveva in sé la potenza di un
quadro di Caravaggio. Come fosse senza cornice. Invadeva lo spazio, tanto che
potevi sentire la gigantesca fatica dell’uomo, il suo volto scuro che sembrava
fatto di pietra, e che l’acqua non riusciva a levigare. Un urlo. Quella figura
quasi mitologica che lavava un’infinità di panni bianchi, colta in chissà quale momento del tempo e
chissà dove, è riapparsa alla memoria all’improvviso, mentre guardavamo al
cinema il documentario di Wim Wenders dedicato a Sebastiao Salgado. “Il sale
della terra”. A ricostruire, quello scatto faceva parte sicuramente del
reportage “La mano dell’uomo”. In genere di queste faccende “umanitarie” non
importa niente a nessuno, se non in senso retorico, esibizionista. E invece
questa volta è importato a tantissima gente quello che aveva da dire Salgado.
170.000 spettatori e oltre un milione di euro d’incasso per un documentario è
un fatto eclatante. Eppure non c’è niente di confezionato ad arte, di
edulcorato. Scegliamo una immagine per tutte: un padre che deposita il corpo
del figlio su un mucchio di altri scheletri e riprende a camminare con il suo
amico, in Rwanda. La morte come fatto
ordinario.Wenders si è messo al servizio delle immagini drammatiche di Salgado,
che è presente anche come volto e voce fuori campo, assieme al figlio Juliano
Ribeiro Salgado. “Il sale della terra” è la storia di un uomo che rinuncia ad
una carriera di economista per attraversare carestie, pestilenze, guerre,
migrazioni di massa, viaggi che sono durati anni e che hanno trovato il loro
nutrimento nella visione tenace di una donna, la moglie Lèlia che diventerà la
curatrice delle sue opere. Dopo aver fatto esperienza della malvagità in tutte
le sue forme, Salgado si è messo a fotografare la natura, fino a voler ricreare
egli stesso una natura buona, piantando letteralmente alberi in Brasile,
rimboscando quel lembo di terra in cui è nato. Non un happy end, ma il racconto
di cosa è veramente capace un uomo. Perché, se una astratta politica di guerra
riduce la morte a un fatto ordinario, la lotta di un solo uomo può fare della
vita stessa un’opera straordinaria.
(Pubblicato sul "Garantista")
(Pubblicato sul "Garantista")
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