Franca Leosini sa cosa intendevano i latini per pìetas. Se non lo sapesse così bene, non potrebbe
entrare in forme scardinanti dentro la complessa
vicenda umana che c’è dietro un
fatto di
sangue. A proposito della nuova serie di ”Storie maledette" (in onda su rai3), trasmissione che nel 2014 festeggia i suoi vent’anni
di vita,
la celebre giornalista d’inchiesta racconta il suo modo di lavorare sul
noir. E mentre parla, pensiamo
che la sua singolare voce (un impasto di elementi caldi e
freddi) c’entri molto con il
suo
non tramontabile successo. C’entra l’eleganza, la cura del
lessico. Ma c’entra soprattutto il rigore, che è di tipo filologico. Notti passate
dietro le
carte
processuali, dove quello che appare tra le righe deve avere un peso
altrettanto importante rispetto a
ciò che l’inchiostro registra. Lo stesso rigore che porta poi quando, una volta iniziata la ”seduta”, si trova a
tu per tu
con la persona che deve intervistare, qualcuno che la comunità si è premurata già di espellere e punire, ma che con le ”Storie maledette” ritorna a farci visita, perché ha un’ultima ”cosa” da
dirci: il suo segreto. Specie di avvocato della psiche e di psicoanalista del diritto, Leosini è
una giornalista che fa inchieste molto personali, con
match uno ad uno. E nessuno intorno (è autore unico delle sue puntate, che
questa volta saranno cinque). In genere, è
capace di portare a casa
confessioni che nelle aule di giustizia non erano state fatte. Come
quella di Stefania Albertani, che apre domani la nuova serie...
Ha iniziato la nuova serie con
un ”cuore di tenebra” intermittente...
La storia di Stefania Albertani che ho voluto intitolare “Quando Stefania
ha il
cuore di tenebra” è una vicenda
che non ha precedenti. Cioè è la prima volta che in Italia in un processo entrano le neuroscienze non solo per la
valutazione della persona ma anche per l’esito della sentenza. Nel cervello di Stefania Albertani è stata trovata un’anomalia della sfera
del
cervello preposta agli atteggiamenti aggressivi e criminosi.
Un fatto così
può ribaltare la storia del diritto...
Questo è il punto. E’ la prima volta che un tribunale ha accettato che fosse esaminato il cervello di una persona che ha commesso tre gravissimi crimini. Ha
ucciso la sorella e ha bruciato il corpo. Ha tentato di uccidere i genitori e
ha dato fuoco alla macchina con i genitori dentro. Ha strangolato la madre e ha dato fuoco al
corpo della madre. La madre è stata poi salvata in extremis...
Non mi
viene in mente
nessun mito greco, nessuna storia
archetipica, che contenga questa
precisa trama tragica.
E’ una storia che non ha precedenti in nessun senso. C’è anche una seconda peculiarità di questa vicenda: Stefania Albertani
è stata condannata a 20 anni più 3 di ospedale psichiatrico. Ho intitolato la puntata: “Quando Stefania ha
il cuore di tenebra”, perché ci sono momenti in cui ce l’ha e altri in cui non ce l’ha. Ha una doppia identità. L’ho intervistata a Castiglione delle Stiviere, in ospedale psichiatrico. Lei al processo ha taciuto, ha detto che non ricordava niente. A
me ha raccontato tutto. Ha parlato solo con me. Quando sono andata a
incontrarla, non sapevo cosa avrei portato a casa. E poi invece si è aperta in un modo che ha sbalordito gli psichiatri stessi.
Mi ricorderò sempre quel suo pianto senza rumore.
E io stessa ho pianto quando mi
sono trovata in sala di
montaggio con quelle immagini.
Provo
un grande affetto per
quella ragazza.
Quali canali si aprono durante queste sue interviste-sedute
psicoanalitiche? Quale
è la scena primaria?
Ogni
volta è un
caso diverso, ma si crea un campo energetico particolare. Il rapporto tra me e l’interlocutore è
un rapporto criptico quasi, difficile
da dire. Mi preparo in maniera quasi
maniacale. E vado all’incontro sapendo che
si tratterà, appunto,
di una grande seduta psicoanalitica.
Quale è la sua idea
del garantismo?
Direi
una sola parola: certezza.
Io sono dell’idea
che bisogna avere la certezza dell’imputabilità. Incerti si può essere solo sull’innocenza di una persona.
Potrebbe esserci un
elemento di incertezza anche in ciò che definiamo assolutamente certo... Come delimita lei il campo della certezza?
Anzitutto, io prendo in
esame e porto in trasmissione vicende che hanno almeno due gradi di giudizio, qualche volta tre.
Cosa faccio? Mi studio gli atti del processo anche meglio di come se li può studiare un magistrato. Non essendo di parte, cerco di leggere tutti gli atti processuali della vicenda. E non
solo. Mi studio l’ambiente in cui si è svolta la vicenda. Mi studio la psicologia del personaggio. Senza sovrappormi alla
magistratura, penso che si abbia il diritto sempre di valutare e di discutere le sentenze. Ho fatto
riaprire non pochi casi.
Il
caso più eclatante che è stato riaperto in seguito a una sua
inchiesta?
Quella che viene ricordata
come la storia degli amanti diabolici del
Viminale, definizione
che non ho mai amato ma
così sono passati alla storia. Silvana Agresta e Massimo Pisano. La vittima era la giovane moglie di lui, Cinzia Bruno. Il suo cadavere era stato trovato sulla riva del
Tevere. Quando ho studiato gli
atti, ho annotato tutte le lacune, gli errori di una indagine
fatta male e mi sono convinta di una cosa,
che lei certamente era colpevole, mentre lui era
estraneo. Ho ricostruito la storia. Conseguentemente, si è interessato alla vicenda un giovane sconosciuto avvocato, lo ha portato in revisione e Pisano è stato non solo
assolto, ma anche risarcito.
Dopo il terzo grado di giudizio! Lui era stato condannato
all’ergastolo
e io lo avevo incontrato
in carcere. E’ stato un motivo di
grande soddisfazione. Il nostro lavoro non solo serve a
qualcosa, ma deve servire a qualcosa.
Come si cade
nella ”maledizione” di una vita sbagliata?
Ci sono persone
come me e come lei che ad un certo punto cadono nel vuoto di una
maledetta storia. Sono persone nella cui coscienza e nella cui
mente
si è spalancato un
vuoto. E in quel vuoto sono cadute.
Ma
ha sempre detto
di
no alle interviste con pedofili e
serial killer...
Assolutamente no. Rifuggo dall’orrore. I crimini che io tratto non sono mai compiuti da
professionisti del crimine. Con l’unica eccezione di Fabio Savi, quello della Uno Bianca. Ma quella è un’altra storia che merita un discorso a parte. Non
do la possibilità a un pedofilo di
giustificarsi.
Non
potrebbe anche un pedofilo essere caduto in uno
di quei buchi d’anima di cui lei prima
parlava? Ci sono pagine (anche in Dostoevskij) che cercano di indagare l’abisso, il tormento di un uomo vittima di se stesso fino ad abbracciare questo punto
di caduta e d’orrore.
E’
una condizione
della mente e del
fisico che difficilmente si
risolve. No, la
pedofilia non l’ho mai voluta trattare come non ho mai voluto trattare
i serial killer. Ho parecchie lettere nel
cassetto che mi ha
scritto Bilancia
che io invece non ho mai voluto intervistare. Anche perché
Bilancia ha tentato di farsi
passare per pazzo. E io non mi faccio usare da nessuno.
Quanti anni aveva quando intervistò Sciascia che solo a lei parlò del potere terrifico delle donne di mafia?
Avevo poco più di vent’anni. Su quell’intervista sono state scritte undici terze pagine. Aveva fatto un tale scalpore che cominciai subito a collaborare per L’Espresso e poi
è venuto tutto il resto.... Sciascia
è stato il mio padre spirituale. Gli devo moltissimo.
Lei ha ricevuto decine di
premi tra cui uno molto singolare. L’anno scorso le hanno dato il Premio Mucca Assassina..
Sì, io con molto orgoglio sono un’icona gay.
Con Mina e Patti
Pravo.
Se è per
questo, anche con Madonna...
Cosa la lega a Napoli, la sua città d’origine?
Le mie figlie vivono lì, e mio marito fa avanti e indietro con Napoli . Ma vivo a Roma da tanti anni. Napoli è una città che amo. Ma uno dei
buchi neri sono proprio i
napoletani. I
napoletani non amano la città. Amare la città significa non offenderla, cosa che invece i napoletani fanno continuamente.
Perciò, non legge né gialli, né thriller...
Se per gialli vogliamo considerare
i libri di Simenon, se vogliamo dire che
Umberto Eco ha scritto un libro giallo,
d’accordo, allora leggo gialli. Diciamo che non leggo quei gialli che ti leggi assieme a
Chi.
Quali libri ci sono adesso sul suo comodino?
In
questi giorni,
sto leggendo il libro postumo di Terzani e rileggendo Lolita
di Nabokov. Mi
sono segnata
su un post-it una sua frase bellissima. «Potete sempre contare su un assassino per una prosa ornata».
(intervista pubblicata sul "Garantista)
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