venerdì 26 settembre 2014

La malattia mentale, l'ultimo vero tabù



La malattia mentale è forse l’ultimo dei  tabù, e anche dire che  è un  tabù potrebbe significare  rassegnarsi   all’idea che  lo  sia.  Il  confine è  sottile. Quando per   strada incontriamo qualcuno che  non  ha  tutte le rotelle a posto e ci si rivolge in maniera “strana”, giriamo l’angolo, o sorridiamo ebeti dicendoci mentalmente: “speriamo che  sparisca al  più presto (ed  è un  pensiero che  facciamo più per  noi  che  per lui).  Se invece il matto ce l’abbiamo  in  famiglia, tendiamo  a  nasconderlo,  perché  ce  ne   vergogniamo. In qualche caso, finiremo per scoprire che quel matto siamo noi. E senza arrivare a quest’estremo, capiterà  almeno  una  volta nella vita  di sentire cosa  significa poter precipitare  nella follia. E’ per    tutte   queste ragioni  che l’evento  appena concluso a  Pesaro (oggi  è  l’ultimo giorno) ma  le cui  tracce potremo trovare sul  sito www.homessoletuescarpe.it,   si delinea come una delle poche occasioni per   fare  un   processo di reenactment, mettendoci letteralmente nei  panni  dell’altro. Studiato come un percorso di avvicinamento  alla   malattia  mentale, Stamattina ho  messo le tue  scarpe è una iniziativa direata e diretta da  Elena Mattioli e Flavio Perazzini del  collettivo LeleMarcojanni e prodotta dalla Cooperativa sociale Alpha. Si svolge in tre tappe: assenza, scoperta, ritorno. E ci chiama a immaginare veramente chi  siano queste persone che  vivono nella struttura residenziale di Bevano, da dove vengono, cosa hanno perso, cosa  desiderano, se desiderano    ancora    qualcosa. «Con  questo progetto vogliamo raccontare questa realtà della ma- lattia mentale che  è costellata di tabù e sterotipi - dice Flavio Perazzini, che  ha 31 anni e fa il documentarista - in una maniera dif- ferente che  permettesse alle  persone che  non   hanno di  solito a che  fare con  questa realtà di avvicinarsi attraverso un percorso, per provare a  mettersi nei  panni di chi  vive  ogni  giorno questo disagio. Abbiamo pensato di rivolgerci ad  artisti, sperti della comuni- cazione, narratori,  e quindi non solo  a coloro che  si muovono nel campo specificamente della psichiatria, per raccontare le storie di queste persone disagiate o attraverso racconti illustrati e progetti installativi. Stamattina ho  messo le tue scarpe per il secondo anno si fa a Pesaro, ma ogni due anni si sposta in una città diversa».
Di Centri Diurni e Residenziali avanzati non  ce ne  sono molti in Italia. E quello di Bevano è un modello unico se  non  altro per- ché  le trenta persone che  ci vivono  (coloro che  non  subiscono un trattamento sanitario obbligatorio in ospedale psichiatrico) non  de- vono pagare nulla. In tutte le altre strutture invece c’è il  contributo economico delle famiglie. Ma per quanto eccellente, è  pur sempre un luogo in cui la malattia mentale si confronta drammaticamnete sempre solo con se stessa. Per una volta, quindi, i suoi  ”abitanti sono  usciti per  lasciare entrare gli spettatori. Arrivano avvocati, stu- denti, opeari, persone di tutti i ti- pi per vivere quella tremenda ”assenza”: «Il percorso si sviluppa in tre parti - spiega Perazzini - La prima parte si  chiama ”assenza” dove i partecipanti si immergono nella struttura che  è stata svuotata il giorno prima. Non  è un  racconto mediato, per  cui  ciascuno decide cosa  vuole vedere, cosa vuole toccare, il tempo in cui vuole rimanere a contatto con  gli assenti/presenti. Nella  seconda parte della ”scoperta”, i visitatori iniziano un  percorso in città, a Pesaro, dove viene mostrato il documentario che  abbiamo fatto,  in cui parlano le persone che vivono a Bevano e raccontano le loro  storie  di  vita.  La terza parte finale è quella del  ”ritorno in cui  l’esperienza vissuta nei  primi due momenti viene rielaborata in un momento di confronto collettivo». Mentre l’illustratore Giordano Poloni ha raccontato in immagini le storie raccolte a Bevano (si possono  vedere sul  sito),   Matteo Fari - nella, neuroscienziato con  la passione del  fumetto che  vive  a Londra,  ha parlato di quello che  succede all’interno della nostra mente, usando le illustrazioni del graphic novel Neurocomic realizzato assieme alla  collega Hana Ros. Viene sempre da  chiedersi quanto le persone ”oggetto di narrazione riescano ad avere una diversa e migliore percezione di , in seguito ad  iniziative come queste.
«Mentre lavoriamo, restiamo sempre di restituire la consapevolezza di  quello che  stiamo facendo  alle  persone le cui  storie raccontiamo. Ci confrontiamo con  la realtà del  disagio mentale che è molto complicata - conclude Perazzini - Io ho solo  una chiave narrativa e non  scientifica, ma posso dire che  si crea  un  meccanismo positivo, teso  a valorizzare la  persona ”isolata che  al  di  del  proprio cerchio ristretto di psicologi e medici, non  ha mai  la possibilità di  raccontare la  propria storia. E questo bisogno, le assicuro, è vitale, è anch’esso cura».
(Pubblicato su "Il Garantista")

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