mercoledì 16 luglio 2014

Ugo Mattei: "Ecco come si può costruire il bene comune: dal piccolo-piccolo"

Di Ugo Mattei ce ne devono essere almeno due. Uno vive praticamente in aereo, tra Torino, la Val di Susa, Trento, Roma, l’Inghilterra e la California (dove insegna): scapigliato e allegro, lo si immagina infilato dentro un sacco a pelo. L’altro, più placido, cerca di fare prove di vita comunitaria su scala ridotta nella piccola Chieri, di cui è vicesindaco. Il primo ogni tanto dorme in un camerino del Teatro Valle, perché di quel luogo si è preso carico quando (assieme a Stefano Rodotà) ha offerto le proprie conoscenze giuridiche agli occupanti che ci vivono da tre anni, per arrivare a scrivere lo statuto della Fondazione: questo primo Ugo ciò che ha lo darebbe volentieri via, almeno così dichiara. Il secondo è padre di due figlie studiosissime e allora si fa un po’ di problemi a dare via tutto. Così come fece invece il proprio padre Camillo, che ad un certo punto si ritirò dalla vita pubblica e fece voto di povertà. Il primo e il secondo Ugo, enrambi garantisti convinti, si devono essere alleati nel momento in cui hanno registrato il loro più grande successo: il referendum contro la privatizzazione dell’acqua del 2011 (fu tra i redattori dei quesiti referendari). Il suo ultimo libro, Senza proprietà non c’è libertà: falso! (Laterza, 84 p., 9 euro), sta facendo parlare molto di sé. Giurista, professore diritto internazionale comparato all’Università della California e di diritto civile a Torino, presidente dell’acquedotto “Bene Comune” di Napoli, Ugo Mattei ha oggi soli 53 anni e viene da una famiglia su cui si potrebbe scrivere un romanzo storico.
Chi è quel Gianfranco Mattei, ”partigiano, gappista, comunista e studioso” a cui lei dedica il suo libro?
Mio zio, uno dei fratelli di mio padre. Era un professore di chimica al Politecnico di Milano, a 27 anni è venuto a Roma a fare le
bombe per i gappisti. E’ stato arrestato e torturato in via Tasso. Poi si è suicidato in carcere per non parlare. Subito prima dell’attentato di via Rasella. Zia Teresa, invece, la sorella di mio padre, è stata la più giovane donna del Partito Comunista della Costituente italiana. Mio nonno Ugo, da cui il mio nome, era stato il capo del Cln di Firenze. Morì di crepacuore nell’anniversario della morte di Gianfranco. Mia nonna era un’ebrea convertita.
E’ vero che suo padre Camillo fece voto di povertà?
Si. La mia era una famiglia facoltosa. Perché mio nonno Ugo aveva fatto parecchi soldi costruendo le linee telefoniche in Albania. E’ una storia bella la sua. Aveva cacciato Mussolini dal suo ufficio rompendogli un residuato bellico sulla testa, perché pretendeva il telefono più fico degli altri. Mio padre fece voto di povertà in tarda età e si ritirò in un convento insieme a Filiberto Guala, distribuendo agli altri tutto quello che aveva.
Mi chiedo come si possa fare un discorso sulla proprietà se non attraverso un percorso testimoniale, simile a quello che fece appunto suo padre Camillo. Al tempo stesso, potrebbe essere illiberale giudicare un altro se, per esempio, nasce ricco.
Ci sono due discorsi da fare. Sul piano teorico-ontologico, la libertà è una categoria dell’essere, mentre la proprietà è una categoria dell’avere. Sono due mondi che non hanno nulla a che vedere l’uno con l’altro. Solo una costruzione ideologica iniziata con la modernità ha portato alla confluenza di una dimensione dell’essere e dell’avere nell’idea della proprietà. Nell’avere non puoi essere totalmente libero.
Lei che rapporto ha con la proprietà?
Questo sicuramente può essere oggetto di discussione: parli perché non hai mai avuto bisogno! Mi sono ritrovato ad avere tre case. Allo stesso tempo, non ho puntato ad accumulare. Occupandomi di diritto civile, avrei potuto fare davvero tanti soldi. Spendo tanto anche per la politica. Secondo me, bisognerebbe essere tutti liberi di vivere fuori dal bisogno, e la proprietà personale può aiutarti, ma in senso limitato, e soprattutto non può essere strumento di sfruttamento.
Nel suo libro, cita spesso Cesare Beccaria. E’ un suo pensatore di riferimento?
L’illuminismo ha dato un enorme contributo allo sviluppo dell’Occidente in una certa fase storica anche attraverso idee forti come quelle di Beccaria: l’umanità delle carceri è, tra le tante, un’idea fondativa della nostra civiltà. Dopo di che, l’illuminismo come fenomeno oggi viene strumentalizzato per criticare quelli che la pensano come me. La critica ai beni comuni che viene fatta da sinistra è una critica all’idea di comunità in sé, vista come qualcosa di oppressivo rispetto all’individuo.
Si considera garantista?
Sono supergarantista! Quando c’è stata la crisi della prima Repubblica, nei primi anni Novanta, ho provato orrore vero nel vedere Craxi preso a monetine! Ho detestato Antonio Di Pietro più di qualunque altro. Così come oggi detesto Giancarlo Caselli. Per me questi sono il male. Naturalmente parlo dal punto di vista politico, non dal punto di vista personale. Perché questi modelli hanno prodotto autoritarismo, legalismo, distanza tra l’esperienza umana e l’esperienza del diritto. Il diritto siamo noi. Il diritto dobbiamo interpretarlo, farlo crescere noi. Il diritto pre-esiste allo Stato. E’ come il linguaggio, è come la cultura. Ridurre il diritto allo Stato è una violenza brutale vittima dell’illuminismo e dei giacobini. All’epoca aveva una sua ragione forte e rivoluzionaria, oggi è reazionaria. Per me garantismo significa essere consci di quanto tu oggi possa uccidere un uomo o una donna sputtanandoli. Garantismo significa non vivere di certezze, se queste certezze sono il dna o altre stronzate del genere. Guarda al linciaggio mediatico di quel disgraziato, parlo di Bossetti: voglio proprio vedere come va a finire questa vicenda.
Cosa pensa della dichiarazione di Papa Francesco, quando dice che Marx avrebbe rubato la bandiera dell’uguaglianza e della
lotta contro la povertà a Gesù Cristo?
Prima di tutto, le più feroci critiche alla proprietà privata non vengono dalla tradizione marxista, ma dalla Chiesa. Da San Francesco a Don Bosco, c’è una tradizione autentica di lotta alla povertà. Dopo di che la Chiesa e il partito comunista sono entrati storicamente in una battaglia per l’egemonia, e la Chiesa è diventata istituzione verticale, alleandosi con il capitale. Tutto questo si regge anche sul divieto di far sposare il clero, che altrimenti svilupperebbe delle alleanze esterne. In questo senso, è una macchina formidabile di accumulo proprietario. Cosa porta un uomo, anche il più rivoluzionario, a rompere la propria coerenza politica? Il pensiero di aver messo al mondo dei figli. Cos’è che ti fa diventare piccolo-borghese? Uno come me, per esempio, perché non si priva coerentemente di tutte le sue ricchezze e va a vivere con il saio (così come fece mio padre da vecchio)? Perché penso alle mie due figlie. Quelli che dicono che anche i preti devono sposarsi sono dei cretini: vogliono la fine della Chiesa!
Riguardo alla situazione del Teatro Valle- bene Comune, il sindaco Marino sta mostrando una posizione muscolare e parla della possibilità di un bando. A fronte degli infiniti gesti di solidarietà, non possiamo neanche nascondere il fatto che molti teatranti vivono con insofferenza l’occupazione perché la leggono, paradossalmente, come discorso proprietario: un gruppo di occupanti si sarebbe impossessato di un teatro storico che deve essere restituito alla città.
Con Rodotà ci abbiamo lavorato tanto: coniugare i movimenti col diritto è stato un processo fondamentale. Perché le cose sono due: o i movimenti si occupano del diritto, oppure il diritto si occupa dei movimenti, e quando il diritto si occupa dei movimenti lo fa con il manganello e le manette. Il bando è una logica competitiva di pensiero liberale che va radicalmente contestata da Papa Francesco e da noi.
Fare il vicesindaco di una piccola cittadina come Chieri significa fare prove di bene-comunismo?
Chieri è una cittadina vicino Torino di 40.000 abitanti con una bellissima giunta (il sindaco è Claudio Martano, Pd). Nella zona ci sono 25 piccolissimi comuni che devono diventare territorio metropolitano, con una forte identità....Queste sono le cose che mi piace fare. Perché altrimenti il mestiere del giurista può anche essere un po’ inutile: la costruzione della legalità per la legalità. Se tu fai il giurista formalista in una maniera molto astratta, ti chiudi nel tuo ufficio e ragioni sulle norme del dover essere, ti scolleghi completamente dalla realtà...E’ per questo che a Chieri faremo un grande festival internazionale dei beni comuni una volta l’anno...L’idea è semplice. Tu fai partire una serie di piccole realtà che creano innovazione, conversione ecologica e questa realtà si mettono in rete, si contaminano l’una con l’altra: così l’incendio porta alla trasformazione reale. Dal basso in alto. Perché tutto quello che viene dall’alto al basso è puro spettacolo, per dirla con Debord. Quando uno dice, come fa Renzi, che in un mese riformerà la pubblica amministrazione, è chiaro che sta facendo una pura buffonata.
(intervista pubblicata sul "Garantista" il 10 luglio 2014)


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