All’inizio c’è un fotogramma spiazzante, segreto: Ugo
Tognazzi che va a cercare un rabdomante (dove si trova un rabdomante, a che
indirizzo sta?) per chiedergli di indicargli il punto giusto in cui scavare per
identificare, sotto la vigna, la benedetta falda acquifera data da tutti per
inesistente. A Velletri, negli anni Sessanta e Settanta, non si potevano
coltivare ortaggi perché c’era una erogazione d’acqua talmente limitata che,
come ricordava Ugo, «bastava appena a lavarsi la faccia». Ma lui credette alle voci isolate
di alcuni contadini e l’acqua a un certo punto uscì fuori, rigogliosa. Il resto
è storia del costume: le cene dei dodici apostoli (Gassman, Ferrei, Monicelli,
Salce erano gli ospiti fissi) a casa Tognazzi, dove non mancavano le bottiglie
di olio e di vino autoprodotte, e poi i tornei di tennis che chi lo vinceva si
portava a casa “lo scolapasta d’oro” e, insomma, “la vita naturale”. Per
Gianmarco Tognazzi, che nasceva (1967) negli anni in cui suo padre si inventata
tutto questo e che aveva 23 anni alla morte del grande attore, adesso che è a
sua volta padre, tutto ciò rappresenta non solo un ricordo, ma una missione. In
genere, se cresci con un genitore così, hai due scelte: o scappi a gambe levate
rifugiandoti nella metropoli, oppure fai un quotidiano atto di ringraziamento
alla vita. Nel caso di Gianmarco, “La Tognazza Amata”, l’azienda agricola che
il padre aveva in sogno di realizzare, è diventata la sua ragione di vita: da tre
anni è diventata una realtà che sta viaggiando oltreoceano. A questo punto per
lui fare l’attore è diventato quasi un hobby. A distanza di anni, la storia si
ripete. Ed è una storia di una famiglia molto particolare che ha coltivato con
tutti i mezzi inventati e ricreati un’unica grande arte: l’arte della gioia.
Gianmarco, quindi lei
oggi fa più il contadino che l’attore
In un certo senso, è così. Vivo a Velletri con tutta la
famiglia. Tutto è partito come un omaggio a Ugo: volevo ripristinare
l’etichetta che aveva inventato lui. L’azienda agricola che aveva pensato Ugo
in realtà era pensata per se stesso la sua famiglia e i suoi amici. La mia idea
è stata quella di portare il vino della Tognazza sulle tavole non solo dei suoi
amici ma del suo pubblico, di tutti coloro (e sono ancora oggi tantissimi) che
hanno sviluppato una fiducia assoluta nei confronti di Ugo e delle sue
brillanti intuizioni. Siamo nati otto
anni fa, ma solo da tre anni che l’azienda funziona in maniera più strutturata,
facendo anche da garante per altre piccole aziende che fanno prodotti nel modo
in cui lo intendiamo noi. Adesso siamo arrivati anche all’estero. Questa settimana partono 10.000 bottiglie per
Miami!...E’ evidente che mio padre è stato un antesignano del biologico. Voleva
tornare alla terra e all’orto quando c’era il diktat dei supermarket. La sua
filosofia era che bisognava avere il controllo del prodotto, quello che poi è
diventato un must. D’altro canto Ugo aveva avuto intuizioni forti su tutto: dai
tornei di tennis fino alle partite di calcio della Nazionale attori, cose che
poi sono entrate nel costume quindici anni dopo.
Nella Nazionale
attori c’erano anche le donne, vero?
La prima nazionale attori Ugo la fece con Vianello, mettendo
dentro anche le ballerine della rivista, perché non c’erano abbastanza
giocatori. E poi la portò a Marino con Pier Paolo Pasolini. Mi sembra fosse il
’67.
L’anno in cui nasceva
lei.
Si, tutto accadeva in quegli anni lì. Ed io sono cresciuto
dentro un modello di vita che ha significato anche accettare l’idea di famiglia
allargata. Ugo è stato uno dei primi ad introdurre l’idea che si potesse avere
storie con donne diverse da cui sarebbero nati figli diversi che un giorno
avrebbero potuto avere un buon rapporto fra di loro senza farsi la guerra.
Credo che tutti noi abbiamo qualcosa di Ugo nel nostro dna. Basti dire che
tutti i figli e tutti i nipoti di qualunque nazione anche nati da madri
differenti hanno la stessa espressività negli occhi: tutti, ma proprio tutti,
dai miei figli ai figli di Thomas alla figlia di Ricky…E devo dire che c’è un
imprinting genetico forte che c’è anche nel codice genetico comportamentale,
nella filosofia di vita. Mio padre non è stato un padre canonico che ci diceva
cosa era bene e cosa era male. Si faceva osservare, tutto qui. Nel bene e nel
male, ammetteva anche in maniera spiazzante anche i suoi errori, per questo ci
ha insegnato a rischiare.
Perché Tognazza al
femminile?
Perché era una azienda agricola e un’azienda agricola si
suppone che sia al femminile. E perché mio padre non disdegnava di storpiare il
suo cognome senza avere paura che si capisse che fosse lui. Il vino Tognazzi?
No, lui non voleva questo, se ne fregava. Lui voleva la “Tognazza amata”. La
cantina amata.
Amata?
Si, questa era l’etichetta originaria. Per farle capire
l’amore che mio padre poteva nutrire per questo sogno. Un’etichetta che ha
disegnato lui su un foglio di carta e che fin dal 1969 veniva usata dal nostro
contadino per incollarla sulle bottiglie (non poche) che facevamo a casa per
puro uso domestico. Ugo si divertiva a sfidarsi continuamente: ci ha insegnato
l’arte della trasparenza e del rischio. Io spero che questi comportamenti
possano essere ereditati anche dai miei figli.
E loro, i bambini,
sono contenti di stare in campagna?
Il piccolo, Tommaso Ugo,
ha solo un anno, Andrea Viola che ha sei anni e mezzo sì, per ora è
contenta….Naturalmente so che potrà avere ad un certo punto lo stesso smarrimento,
o alienazione, che ho provato io quando a sedici anni mi sono trovato a
Velletri e invece volevo, come tutti gli adolescenti, vivere la metropoli. Mi
ricordo che mi mancava tanto la vita sociale. Sono dovuto scappare da Velletri,
dove da adulto però sono voluto fortissimamente ritornare con la mia famiglia.
In “Niente può
fermarci” di Luigi Cecinelli lei interpreta il padre inflessibile di un ragazzo
affetto da sindrome di Tourette.
Si, e la cosa divertente è che io nel film rappresento un
uomo di potere con questo “problema” del figlio che ha l’abitudine di mandare
tutti a quel paese. Ad un certo punto il ragazzo, assieme ad altri figli
considerati “patologici”, fuggirà ad Ibiza. Per scappare a ogni controllo
parentale e sociale. Quello che si vuole dire è che sono più i genitori a
vivere male le patologie dei figli, mentre i ragazzi ci convivono benissimo.
Lei come genitore è
apprensivo?
Si, lo sono, però soltanto per quello che riguarda il dolore
fisico. Quando si fanno male impazzisco. Lo so, è un paranoia tutta mia.
A teatro, è il
“nemico del popolo” …
Si, ad aprile
Riprendo Un nemico del popolo
di Ibsen. La produzione non aveva adempiuto ai propri obblighi e lo spettacolo
si era fermato per un anno e mezzo. Gli artisti e i tecnici se lo sono ripreso,
e lo rifaremo alla Sala Umberto con una nuova produzione, sempre con la regia
di Armando Pugliese. Un nemico del popolo
è ambientato in Italia nella prima metà degli anni Settanta: per fare capire
che dal 1890 ad oggi non è cambiato niente, e Norvegia o Italia poco importa. Io
interpreto un medico sanitario di un centro sanitario: una volta scoperto che le
acque delle terme sono inquinate, denuncia il fatto al proprio fratello, che
quelle terme aveva fatto costruire e che è ora sindaco della città. Ma siccome
gli interessi sono più forti della salute dei cittadini, il sindaco si allea
con gli altri notabili e minaccia di licenziare il fratello medico se si ostina
a voler tirar fuori la verità. Insomma, chi ha il coraggio di denunciare diventa
il nemico della città. C’è un implicito
discorso sulla maggioranza che preferisce schierarsi con gli interessi e non
con la buona fede.
Lei è un tipo
“incazzoso”?
Diciamo che di fronte alle cose ingiuste mi incazzo molto. Per questo “Nemico del popolo” mi rappresenta.
Un uomo che denuncia una cosa per il bene collettivo e poi viene accusato, è lo
specchio della nostra società. Già il
titolo che ha voluto dare Ibsen è di per sé paradossale e significativo di come
vanno le cose in questo mondo…Come può essere nemico del popolo uno che pensa
al bene collettivo e poi diventa il capro espiatorio?
C’è qualcosa che le
fa paura, che difficilmente controlla?
Ci sono cose che mi fanno paura adesso che non mi facevano
paura prima. Sarà banale dirlo, ma non sei più al centro della tua vita una
volta che sono nati i tuoi figli. E mi preoccupa cosa vedranno e vivranno. Mi
fanno paure tante cose di questo Paese che non mi sembra abbiano una logica.
Non voglio fare un discorso politico, perché questa mancanza di logica non
riguarda una sola area politica. Noi italiani abbiamo un’ evidente difficoltà
nei confronti del cambiamento. Non vogliamo cambiare nulla. In teoria siamo
tutti d’accordo, in pratica non ce la facciamo.
Tognazzi,
Mastroianni, Gassman, hanno trovato autori in grado di leggere le trame
complesse dei loro volti e dei loro mondi interiori. Oggi non sembra più
esserci quel tipo di alleanza creativa….
Quel mondo lì, quel periodo specifico, quel tipo di
evoluzione sociale, dava peso misura e spazio ai talenti, ma stiamo parlando di
un Paese che usciva dalla guerra, da una privazione, e che stava rinascendo. Con un entusiasmo
collettivo di industrializzazione che non ha niente a che vedere con il
presente. Quindi i paragoni secondo me non vanno fatti…Anche se oggi ci fossero
grandi autori e grandi attori (e ce ne sono), non uscirebbero comunque fuori,
perché non ci sono le stesse condizioni. Ugo si riteneva molto fortunato ad
aver vissuto quei decenni lì, dal dopoguerra al 1985. Perché sono stati gli
anni di maggiore sviluppo dell’industria cinematografica (quando era un’industria
appunto) e l’attore era visto come una star.
Frequenta gli altri
colleghi attori?
Poco. Non vivendo a Roma, non partecipo quasi mai a eventi
mondani. Sembra tutto più difficile ma è assurdo. Come mai oggi che ci sono i
cellulari fai più fatica a prendere un appuntamento rispetto a quando c’era il
telefono fisso? Comunichiamo molto meno. A casa di mio padre veniva chiunque
per il torneo di tennis e quasi nemmeno ci si telefonava, oppure si usava il
telefono di casa, che non squillava tutto il giorno. C’era un movimento, una
volontà, una interazione costante. Lo spirito era diverso.
E quale è la cosa
bella del vivere oggi?
La cosa bella del vivere oggi è l’essere costretti a
inventarsi delle soluzioni per tornare a vivere meglio. Ci si può anche divertire
nelle difficoltà a cercare di uscirne. Io non voglio passare per un pessimista
retrò.
In realtà, lei non fa
che parlare di entusiasmo. L’entusiasmo non è né del passato né del presente.
E’ una qualità umana.
All’interno della nostra famiglia, c’è sempre stato un grande
entusiasmo, una grande voglia di condividere. Il problema è che quando esci,
poi riporti con te parte della negatività e della rassegnazione che trovi fuori
e ti può accadere di contaminare così il tuo ambiente naturale.
Tutta questa
avventura si può intitolare “l’arte
della gioia alla Tognazza”?
L’arte della gioia, certo. Che vuol dire gioia di
condividere, di essere dissacranti, anticonformisti e autoironici.
Non abbiamo parlato
della cucina.
L’altro sogno è quello di fare a Velletri il ristorante non
solo con i prodotti della Tognazza ma anche con le ricette di Ugo, magari rielaborate…
Lei cucina?
Certo che cucino. Che domande? Non sarei figlio di Ugo.
E sui piatti manterrete
gli stessi suoi giudizi dissacranti di suo padre?
Perché no? “Ottimo, buono, mediocre, cagata, grandissima
cagata”…
(Pubblicato su "Gli Altri)
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