martedì 16 luglio 2013

Nel regno della bi-logica con il film di Delbono


Il respiro è trattenuto. Tenuto fermo. Finché arriva qualcosa da dentro a provocare una scossa fragorosa nel suo silenzioso rimbombo. Comunemente, si direbbe commozione. Come si fa a non scomporsi di fronte a Amore carne, il film di Pippo Delbono? Ognuno ci incontra la sua storia, e frammenti della propria vita affettiva: la madre, il padre, le creature che siamo state, i fantasmi che siamo, i non più vivi che saremo. I vivi e i morti vanno a passeggio insieme, in questo nastro della memoria su carne. Amore carne. Un amore disperato, appassionato, terribile, sconvolgente, non finito. L’amore come desiderio fuori misura. Quello di cui parlava Morrissey quando in uno dei suoi pezzi più belli cantava: «Ti perdono Gesù per avermi dato cos’ tanto desiderio da non sapere cosa farci». Con tutto questo desiderio. Con tutto questo amore. Amore e carne. L’amore nella carne. L’amore che è sempre di troppo, e che infetta, l’amore che fa male. L’amore che ammala. Il film si apre con una visita medica: Pippo Delbono fa il test dell’Hiv e con il cellulare riprende l’intera sequenza: le domande alla dottoressa, il prelievo, l’oppressione del luogo di colori dimessi che ormai conosce a memoria ma che il pubblico vede per la prima volta. La scelta di aprire con una scena della propria ordinaria caduta (è da 22 anni che l’artista ligure convive con una controllata sieropositività) immette subito in una dimensione autentica, creaturale. Da quel momento in poi scorrono immagini rubate con il piccolo oggetto e rimontate con cura (straordinario lavoro di post-produzione), annodate attorno alla vita stessa di Delbono, ai suoi viaggi teatrali: Parigi, Budapest, Bucarest, Torino... Celebrità come Irene Jacob, Marisa Berenson, Sophie Call e Laurie Anderson sfilano nei quadri sovrimpressi accanto a Bobò o Gianluca, i teneri, picassiani compagni di Delbono che lavora anche qui sulla messa in  vita del deficit, sulla trasformazione di un’esistenza altrimenti destinata a languire e spegnersi. E c’è una leggera follia nel ritmo forsennato e dolce con cui il mondo di dentro si ribalta nel mondo di fuori. Perché questo piccolo ammaliante film ha la capacità di mostrarci, contemporanemente, la superficie del mondo, la sua mondanizzazione, e il grido disumano di un’anima mai pacificata: la vita al massimo e l’animale morente avviluppati in un’unica fascinosa vertigine. Amore carne. Il troppo amore della carne. E la carne che si salva nell’amore inconcluso. L’amore che mai si può dire. Come l’amore di una madre, che Delbono riprende nella parte iniziale del film, sovrapponendo alla sua bocca resa insonorizzata dal montaggio i versi di Pasolini sulle madri feroci. La madre che Delbono ha voluto sempre tenere all’oscuro del suo male oscuro (sieropositività e omosessualità). La madre che è la madre di Pippo ma non può richiamare la nostra stessa madre: le madri, genitrici di ogni sentimento di colpa e di ogni moto d’amore smisurato. La madre, le madri che stanno lì a proteggerci e divorarci e accogliere ogni nostra devianza, fino all’ultimo momento. La madre di Delbono se ne è andata veramente, a maggio, e la consapevolezza della sua scomparsa rende ancora più straziante quelle scene di combattimento amoroso in vita.
Le figure amate trascolorano l’una dentro l’altra, con una vernice delicata e spessa. Mentre lo sguardo tende a volare in alto, sempre un po’ più in alto, verso cieli di cui solo i gabbiani sono padroni, con i loro suoni terrificanti, anticipatori di un mondo che non conosciamo ancora e che non ricordiamo abbastanza. E che lo sguardo di un artista/medium anticipa e intercetta, ricomponendole in un film che, nel suo complesso, ci immette in quella che il grande psicoanalista cileno Matte Blanco chiamava il regno della bi-logica, dove le non regole di un pensiero simmetrico (folle) possono convivere con la logica aristotelica che non ammette contraddizione. Ecco, il regno di Amore carne è un capolavoro di bi-logica: né conscio né inconscio, ma insieme conscio e inconscio. Innamorato delle forme mondane e obbediente al richiamo dei poeti morti (Rimbaud, Eliot, Pasolini). Disobbediente e docile. Anarchico e delicato. Innamorato della carne e bucato dalla carne. Con l’anima in subbuglio. Tenacemente, nietzschianamente attaccato alla vita. Che non si vuole smettere mai di danzare. Anche in catene. Fino all’ultimo giorno.
(Amore carne è in programmazione al Cinema Lux di Roma e all’Apollo di Milano)

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