martedì 31 luglio 2012

Siamo sicuri di essere reali?


Qui (ma anche lì) si cerca di disegnare con mano sottile e mente veloce, con un tratto più delicato possibile, lo statuto del reale. Qui, nello spazio tra lui e lei, tra Antonio Tagliarini e Daria Deflorian, si evoca il fantasma di una donna di cui un giorno, per caso, i due artisti romani si sono fermati ad interrogare l’esistenza. Qui e lì. Prima e dopo. Nello spazio fra loro, noi e Janina Turek (nella foto), una anonima signora polacca per cinquant’anni ha annotato sui suoi 748 quaderni tutti i fatti della vita: programmi televisivi visti (70.042), regali fatti (5.817), telefonate ricevute (38.196), eccetera eccetera, quaderni che sono diventati la base per un sensazionale reportage di Mariusz Szczygiel, e su cui Tagliarini e Deflorian hanno fatto il loro primo movimento teatrale. Lo spettatore segue il farsi e disfarsi del linguaggio con quel tipo di concentrazione che si sviluppa solo a contatto con quel genere di cose che ci forniscono un indizio sull’enigma assoluto della mente ( e della realtà). Come in Stalker di Tarkovskij, in Reality ci si avvicina di soppiatto alla Zona. In questo caso, la zona coincide con la casa in cui vive Janina. Janina che cataloga sotto la voce “visite ricevute” il ritorno del marito dalla guerra e che tra le persone incontrate per strada mette anche il proprio figlio, quella stessa donna che poco prima di morire invia l’ultima cartolina a se stessa. Tagliarini e Deflorian si muovono come due detective convenuti sul luogo in cui una casalinga polacca - senza saperlo, obbedendo ad un istinto paradossale – ha fatto della sua stessa vita un’opera d’arte contemporanea, un manuale di metafisica scolpito nei giorni e nelle notti senza eco. Difficile decifrare il tessuto sottile delle loro azioni, che seguono una direzione interrogativa e calda, capace di non stanziare solo sul piano intellettuale ma di farci vedere, per piccoli tocchi medianici (bellissimo il momento in cui Deflorian parla in polacco, con le parole che Janina usava nella sua lingua madre), i simulacri di noi stessi quando in solitudine ci ingegniamo per cercare una prova della nostra esistenza in vita. Perché tutti ci rassicuriamo l’un l’altro dicendoci che sì abbiamo vissuto, che stiamo vivendo, ma difficilmente qualcuno uscirà da questa vita convinto di essere (stato) anche reale.
(“Reality” di Tagliarini Deflorian, visto al Festival Inequilibrio di Castiglioncello)




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