TWC, Triangle Waistshirt Company, dentro un grattacielo di New York. 25 marzo 1911. Scoppia un incendio. Muoiono 146 persone,quasi tutte operaie giovanissime, che lavoravano nella fabbrica di camicette. Questa immagine era stata seppellita nel baule di scene mai veramente sondate che hanno dato origine all’8 marzo. In rete, c’è chi sostiene persino che sia materiale leggendario, che se lo sono inventate le donne. La non coincidenza esatta tra le due date (8 e 25 marzo) ha fatto il resto. Sbadatamente, qualcuno ancora lo tratta come dato che va citato per forza tra le fonti di una festa che ha perso la sua ragion d’essere e si è trasformata nel rito prosaico dello spingersi stancamente fuori casa. Abbiamo perso i sensi, e l’intelletto. E presumiamo sempre di sapere come sono andate le cose. E’ per questo che ci stanno gli scrittori, e gli artisti: per fare opera di rammemorazione. Uno scossone arriva da Laura Sicignano, che interroga gli archivi fotografici e i nomi delle vittime (quasi tutte d’origine italiana e russa), per scrivere un testo teatrale fitto di parole ma anche di azioni. Lo compone per un’attrice dello spessore di Laura Curino, che a sua volta ha sempre scritto storie dalla parte degli invisibili. Ed ecco che le due Laure danno vita ad una fabbricazione sinestetica, un’opera tattile e precisissima che ci mostra attraverso un lavoro di attrice-orchestra tutte le dramatis personae di Scintille, pièce di alta ingegneria emozionale e storica (macrostoria e microstoria) prodotta dalla compagnia Cargo di Genova che ha debuttato al Festival di Borgio Verezzi (il 28 luglio replica a San Marzano Oliveto, Asti). Ed ecco Caterina, la madre che arriva dall’Italia con tutta la sua famiglia, marito figlio e due ragazze, ma il figlio viene rispedito in Italia subito e il coniuge viene lasciato a casa senza lavoro. Questo il primo fotogramma dell’America di inizio Novecento, che accoglieva i poverissimi del mondo, il più delle volte per stritolarli e restituirli cadaveri alla loro terra d’origine. Come accade alle due figlie di Caterina, l’estroversa Lucia che sognava l’Ammerica that never sleesps e si fa prendere finché può dall’elettricità della vita, e la timida e soccombente Rosa, che cercherà nella protezione del capo un modo per evadere dall’anonimato della catena di montaggio. Entrambe perderanno la vita in quella mattina del 25 marzo del 1911, al TWC, nel grattacielo in fiamme. La ricostruzione della fuga e della morte delle ragazze è, già a livello testuale, di una forza icastica impressionante. Il resto lo fa Laura Curino, facendosi attraversare da tutte le voci di Scintille: Caterina Lucia e Rosa, ma anche Dora che scappa dalla Rivoluzione russa e viene in America fare la sua rivoluzione, creando una coscienza del diritto tra le operaie, e poi il leader sindacale Samuel Gompers, e persino i padroni, violenti e ricattatori, che nella realtà verranno tutti scagionati. «Quello che più ho amato di questo testo – ci dice Laura Curino – è il fatto che non è stato scritto limitandosi a raccontare la storia dalla parte delle vittime, Laura Sicignano ha assunto il punto di vista di Caterina, la madre contadina ostile all’America che sopravviverà alle figlie. E dall’altro lato ha voluto mettere in campo anche la questione dell’eredità, di ciò che ci lascia questa tragedia su cui si è fatta molta confusione, al punto che qualcuno la va negando: mentre a noi interessa quello che dobbiamo trattenere e ricordare, il materiale combustibile».
Ecco, cosa dobbiamo trattenere? E dove guardare? E cosa guardare? Lo zoom della scrittrice si ferma su un dato che ricorre nelle carte: «Lo spettacolo è un gesto effimero per ritrovare la memoria di un evento così brutale, assurdo e veloce: 18 minuti per morire 146 persone alla TWC.
Va eseguito con delicatezza e amore. – racconta Laura Sicignano, che di Scintille firma anche la regia – Esiste l’elenco delle 146 vittime, con nazionalità ed età di ciascuna. Tante italiane, tutte giovanissime. Tra i 146 nomi e cognomi spiccano alcuni nuclei famigliari: ci sono anche Maltese Caterina, 39 anni, Italia; Maltese Lucia, 20 anni, Italia; Maltese Rosa, 14 anni, Italia. Chi erano queste donne? Cosa sognavano quando sono partite alla ricerca del sogno americano, della terra promessa?».
Tutto questo non viene detto in forma astratta, ma attraverso un dispositivo serrato di azioni che trova nella ricostruzione dell’incendio e nei piani di fuga e nei modi della morte, il loro acme drammatico: “Con Scintille si sfata definitivamente il pregiudizio che vuole legata la scrittura maschile all’azione e quella femminile alla riflessione» riprende Laura Curino, scrittrice a sua volta. Uno di suoi ultimi lavori parlava anch’esso di fabbriche, si intitolava Malapolvere, e metteva in scena la tragedia dell’Eternit e Casal Monferrato, prima che il processo prendesse un esito storico con la condanna dei padroni-baroni. «Guarinello ha condotto il processo in maniera esemplare, puntando tutto sul disastro ambientale. E da questo momento in poi si rende possibile contare le vittime di mesotelioma».
Per Laura Curino, che vive ancora a Settimo Torinese, il discorso sulla fabbrica non è certo un discorso marginale. E’ il discorso. Nelle sue varianti luminose (la fabbrica come luogo di formazione di una coscienza di classe e di senso della comunità), e in quelle malefiche, quando diventa luogo di morte violenta. «Come tanti altri torinesi, non posso più prendere un ascensore Tyssenkrupp senza sentirmi male».
Scintille porta anche nel suo grembo la declinazione femminile della tragedia: tutte donne, tutte giovani, tutte povere, tutte immigrate. Quello che è successo a loro in quei diciotto minuti del 25 marzo del 1911 dovrebbe riaccendere la memoria e il pensiero. Fissarsi nel tempo e aiutarci anche a leggere questo tempo. Riprendere una forza simbolica di prima linea. «Ancora adesso le donne vivono in peggiori condizioni di vita e di lavoro degli uomini, e soprattutto vengono massacrate dagli uomini» (Curino). La tragedia del TWC (Triangle Waistshirt Company), quasi un secolo prima della tragedia del WTC (World Trade Center). Allineate sulla stessa inequivocabile riga. Degne di essere viste raccontare e trattenute entrambe. Come se in quella combinazione di consonanti sciolte nell’altezza di due grattacieli di Manhattan si annunciasse il fuoco che sarebbe scoppiato – diseguale, asimmetrico - in due diversi momenti del tempo. New York. 25 marzo 1911, va a fuoco il grattacielo dove lavorano senza respiro 600 operaie tessili in fuga dalla miseria. 11 settembre 2001, crollano le Twin Towers. In mezzo la storia del Novecento, con cui, nel bene e nel male, dobbiamo ancora fare i conti.
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