domenica 8 luglio 2012

La coscienza di Lisa


Un istituto che vive di notte, sprofondato in una luca azzurrina. E’ una scuola per servitori. Le figure che lo abitano lo attraversano con passi polverosi. Ogni tanto si chiudono negli armadi che diventano stanze. Lì si metamorfizzano, o meglio si manifestano, nei loro umanissimi desideri, e nella loro esistenziale impotenza. Pensano in presenza d’altri. Bisbigliano, dormono, si seducono senza possedersi. In primo piano un’ampolla con due pesci rossi, “solo due pesci rossi”. Il suono è tutto: minimo, profondo, avvolgente. Come la recitazione degli attori (Alberto Astorri, Andrea Bosca, Emiliano Masala, Monica Pisedda). L’ultimo spettacolo di Lisa Natoli, drammatizzazione finemente sonorizzata del romanzo di Robert Walser, Jakob von Gunten, è opera di tessitura sottile, raffinata, che chiama ad un lavoro inusuale sulla percezione. Tutti i nostri sensi sono chiamati a risvegliarsi e a partecipare di questa avventura sperimentale che ha i piedi ben piantati nel Novecento, e in una arte della regia che Lisa ha imparato da suo padre Lisi. Una giovane artista che sedici anni debutta recitando poesie di Esenin e Majakovskij (ricordo ancora quel suo esordio) in uno spettacolo di Lisi Natoli, porterà sempre con sé un senso di appartenenza, non ad una casta, ma ad una famiglia che sa nutrire le cose dell’arte, là dove sanno custodire rebus inesplicabili. Lisa è anche il nome dell’unico personaggio femminile della pièce, sorella del direttore dell’istituto, attorno alla quale si avviluppano anche i destini di Kraus, il prefetto servitore, e di Jakob, l’ultimo allievo dell’istituto destinato a morire e svanire con i suoi superstiti. Lisa che avvolge nel sonno i suoi amanti-fratelli, che li fa esistere mentre li spossessa di sé (alla fine dell’apprendistato si diventa sempre più sconosciuti a se stessi), a noi sembra evocare l’opera mentale dell’altra Lisa, la metteur en scene, che dispone corpi suoni oggetti e parole lievi sul palcoscenico con una grazia tutta sua. Sapendo che a poco vale leggere nella storia dell’istituto Benjamenta un sistema chiuso di potere dove si impara a servire (scuola che Walser veramente frequentò nei primi del Novecento), mentre al contrario vale la pena afferrare la bellezza incosciente e tenebrosa dei movimenti terrestri dei suoi ultimi abitatori. (Visto al teatro India di Roma. Replica in autunno)

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