mercoledì 21 marzo 2012
La poesia nell'orrore, omaggio a Bolano
Un recinto di libri. Perimetro di inchiostro che trattiene l’ardore. Materiale incendiario. Al fondo della scena, un baldacchino fatto anch’essi di libri, residuo di un vestito di carta indossato in un altro spettacolo. È l’abitacolo di Pippo Di Marca, autore e regista di La parte di Bolano il quinto cavaliere, folgorante perlustrazione drammatizzata dell’opera-mondo del più grande scrittore cileno. Al centro della scena, i movimenti terrestri di alcune figure ritagliate dall’immaginario di Bolano e allacciate da una drammaturgia che attinge al poliziesco metafisico. Estèban De Oviedo Sahagùn (Di Marca), Encarnacion Vertiz (Anna Paola Vellaccio), Francisco Buenaventura (Luigi Lodoli), Bolano/Rimbaud, il prete Juan Angel Cruzado (Vincenzo Schirru), Dolores de Remedios, poetessa randagia (Elisa Turco Liveri), l’iconoclasta Jorge San Nazario (Gianluca Bottoni) e il neofita German Castillo (Adriano Mainolfi) sono le dramatis personae di questa bellissima ballata del sottosuolo, che non pacifica e non consola. Camminando tra le creature randagie di Bolano, Di Marca compie un esorcismo capovolto. Con una mitezza calda, accogliente, che irrora la scena e gli interpreti, non espurga il male, al contrario lo convoca. Senza compiacimento. Per uno stato di necessità. Mostrandoci la materia reale/irreale della dannazione poetica. Abolendo, con un colpo d’ala sottile, frutto di una autentica concentrazione amorosa, tutto il superfluo che si consuma oggi attorno alla dimensione della poesia, all’abuso di una parola che è diventata corrispettivo della nostra cecità, materia innocua per operatori culturali in tempo di pace apparente.
Irriducibile ad una formula che ne divulghi il segreto, la vita scrivente di Bolano diventa l’esempio più traumatico e desiderante di una scrittura su corpo, corpo che guarda l’orrore e lo prende su di sè. Travaglio che lo spettacolo di Pippo Di Marca e dei suoi accordati attori (una segnalazione speciale per Gianluca Bottoni) dispiega su una scena ipnotica, che ci mostra, senza (per fortuna) raccontarcelo, il confine lieve tra poeti e diseredati, il punto di luce che si scava dopo aver passeggiato all’inferno e aver visto tutto quel sangue: le torture dei regimi, i femminicidi in Messico, la violenza più sofisticata dell’Europa. Immagini d’Apocalisse, aspettando il 2666. (compagniadelmetateatro@fastwebnet.it)
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