domenica 18 dicembre 2011

Il ritorno della scrittura: servo e padrone alla mensa del Nord


Il ritorno di una storia antica con precipitati nuovi di senso. Un modo misterioso di procedere, che si attacca alla lingua di inflessione dialettale e di trama densamente teatrale. Una prova di recitazione infallibile che si moltiplica per quattro (Milvia Marigliano, Renato Sarti, Arianna Scommegna, Alex Cendron) e deve alla regia d’anima e forme sottilissime - Veronica Cruciani - la sua plastica, luminosa definizione. Il testo, infine, da cui tutto parte e a cui tutto si incolla, con una aderenza scenica che lascia di stucco: Il ritorno di Sergio Pierattini è un’opera che sembra scolpita nel tempo. Non si perde una parola, di questa partita a quattro. Perché la tensione con cui l’autore costruisce il suo gioco è di una trama robusta, cresciuta sull’esercizio della scrittura stessa, concepita come arte di millimetrica esattezza psicologica e compositiva. Una figlia torna dal passato. La madre vorrebbe restituirla la vita che le è stata tolta, che lei stessa si è tolta. Il fratello, invece, non riesce a perdonarla. Il vecchio padre è relegato in una sua remota follia. La famiglia come recinto di psicopatologie che si alimentano di rancori mai sedati, di una disamina istintiva della colpa più feroce di ogni legge. Ma cosa è successo nel passato? Quale rimosso torna a visitare questa famiglia bergamasca che ha costruito il proprio benessere sul lavoro nero di uomini costretti in stato di semischiavitù? La guerra tra padroni e operai trova nell’esplosione di un delitto per cui la ragazza ha scontato il carcere, la sua cristallina sintesi. Uno spettacolo classico e sperimentale. Classico nel disegno drammaturgico-registico che intreccia colpa e nemesi, definendo per ogni personaggio una lingua - che è parola fisica, fascio di luce/ombra sul volto - capace di dar conto di quelle pulsioni contraddittorie che, in certe condizioni, si manifestano tutte insieme. Sperimentale nel modo con cui tratta la questione del rapporto tra le classi, senza cadere nella tentazione di attribuire tutto il bianco che si ha a disposizione alla vittima sacrificale. Infine, una notazione. Vogliamo continuare a dire che non esiste ricerca nella drammaturgia italiana contemporanea, che non ci sono le scritture del tempo presente? No, non vogliamo più sentirlo dire.
(visto al Piccolo Eliseo di Roma)

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