martedì 20 settembre 2011

Gianluca Arcopinto: "Il segreto di un film? E' nello sguardo del suo autore"


Per lui la vita del cinema è tutta una questione di sguardo. Non solo lo sguardo dell’autore, la prospettiva, il punto di vista, ma lo sguardo dell’uomo che guarda. Sì, proprio lo sguardo che parte dagli occhi. E’ così in genere che sceglie i film da produrre, osservando attentamente prima la persona e poi l’opera: “Per me è molto importante che scatti la scintilla a livello personale”. Gianluca Arcopinto, 51 anni, punto di riferimenti di tanti registi italiani, produttore “autonomo” (lo preferisce ad “indipendente”) per vocazione, è reduce dal festival di Venezia dove ha presentato tre suoi film, due lungometraggi e un documentario, interessandosi di più alla vicenda del Marinoni occupato che alle cene di gala. Tra un aereo e l’altro (è già in viaggio per la Sardegna, dove si gira il nuovo film di Mereu, "Bellas Meriposas"), ci ospita nella sua luminosa casa romana, vicino piazza Re di Roma. Arcopinto ha una moglie (Francesca Tessari, costumista) e tre bambini. Il più piccolo, Davide, di quattro anni, in questo momento sta vedendo “007”. Già. Il padre produce film”autonomi” e lui va matto per “007”: “Gli ho insegnato a vedere di tutto”. Arcopinto ha un aspetto da ombroso uomo meridionale (“è a causa di queste sopracciglia folte: sembro sempre arrabbiato”) che a fa a pugni con il sorriso ampio e la rapidità con cui l’occhio processa i pensieri di chi gli sta di fronte. Se fosse per lui, probabilmente non parlerebbe granché, ma ascolterebbe soltanto. Cosa? Le storie che gli raccontano tutti quelli che chiamano, dalla mattina alla sera. Aspiranti autori che i suoi colleghi forse non avrebbero preso mai al telefono, quella prima volta. Gente che ora porta con più sicurezza di un tempo i nomi di Salvatore Mereu, Vincenzo Marra, Daniele Gaglianone, Francesco Munzi, e anche Matteo Garrone (ho appoggiato il suo primo film, Terra di mezzo, come produttore,e distribuito il suo secondo lungometraggio, "Ospiti”).

Arcopinto, è vero che lei risponde al telefono a tutti quelli che la chiamano?

Si, ho deciso di non avere filtri. Qualche volta mi capita anche di non rispondere, ma richiamo sempre. In genere ricevo dalle ottanta alle cento telefonate al giorno.

E tratta tutti bene?

Diciamo che cerco di incontrare tutti di persona.

E’ così che scgelie di produrre un film piuttosto che un altro?

Si, perché scelgo di produrre un autore, una parsona, con il suo mondo interiore, piuttosto che un altro. E' molto importante lo sguardo.

Si è sbagliato qualche volta?

Mi sono sbagliato, nel senso che mi è capitato di sopravvalutare qualcun, mai di sottovalurarlo.

Quindi lei è un entusiasta di natura.

Si lo som a differenza di quello che può sembrare dalla mia apparenza.

Si considera un timido?

La mia timidezza è quasi una malattia. E molti la scambiano ancora per un atteggiamento di snobismo. Tuttora, a 52 anni, provo disagio se devo fare pubbliche relazioni o se devo andare ad una cena dove non conosco nessuno. Poi queste sopracciglia non mi aiutano.

Sul suo blog (per il “Fatto quotidiano”), ha scritto da Venezia che non sopportava più le feste, e che avrebbe tanto preferito vedere film. Ma queste feste sono poi così fruttuose in termini di comunicazione conoscenza e affari?

No che non lo sono.

E allora perché la gente va pazza per le feste? In fondo non c’è niente di bello nello stare per ore l'uno di fronte all'altro nel bel mezzo del niente. Invece guardare un film, anche un brutto film, produce conoscenza.

Anche per me è così, ma c'è gente che si diverte. Sono i professionisti del divertimento. E poi alle feste alcuni ci vanno per fare un pasto decente. A Venezia si mangia decisamente male.


Come ha reagito alla notizia che il Premio Speciale della Critica era stato assegnato al film di Crialese, "Terreafrema"?

Non ho visto il film  e quindi non posso che essere contento che un film italiano abbia avuto un riconoscimento importante alla Mostra di Venezia. 

A parte i suoi, che film ha visto?

Mi è piaciuto tantissimo il canadese "Cafè de Flor". Tra gli italiani, ho visto il film di Cristina Comencini - che è il classico film della Comencini: i primi venti minuti sono bellissimi, ma poi la sceneggiatura si perde - e "L'ultimo terrestre" di Gipi (Gian Alfonso Pacinotti). Se il cinema italiano è rappresentato da quest'opera di Gipi, sinceramente penso che abbiamo fatto un passo indietro. Considerando che l'anno scorso a Venezia avevamo visto "La pecora nera" di Celestini...

E' un film che cita spesso. Cosa aveva l'opera prima di Celestini che non avevano altre opere, prime o non?

Io non sono un fan sfegatato di Celestini a teatro, ma quel film aveva un carattere intenso, a suo modo unico, che non è stato accolto dalla comunità cinematografica. Basti dire che non è stato neanche candidato al David di Donatello.

Erano ben tre i suoi film presenti a Venezia...

Si, "Ruggine" di Daniele Gaglianone, "Cavalli" di Michele Rho, e un documentario di Elisabetta Pandimiglio, "Più come un'artista", che si svolge tutto in una cucina, essendo dedicato all'arte dello chef Gennaro Esposito.

Fra l'altro, alla festa per il film su Gennaro Esposito lei aveva invitato anche gli occupanti del Teatro Marinoni.

Si, ma erano molto perplessi se venire o no. Perché complessivamente non sono stati accolti bene a Venezia. Quando hanno occupato il Marinoni, hanno aspettato che potessi essere presente anche io, perché erano rimasti colpiti da un intervento che avevo fatto al Valle occupato sulle condizioni del cinema italiano. Ho partecipato alla loro assemblea. Anche perché rispetto alle non azioni degli ultimi anni, questi ragazzi sono stati in grado di fare un'azione di protesta che ha svegliato un po' tutti noi.

Tutti sono convinti di fare cinema indipendente, anche quando fanno prodotti decisamente mainstream. Qualche volta è' una sigla, un vezzo. E' per questo che lei definisce il suo cinema "autonomo"?

Essere autonomi significa essere responsabili del prodotto dall'inizio alla fine, indipendentemente dalle forze coinvolte. "Cavalli", per esempio, è un film di sistema, di coproduzioni forti, eppure è autonomo. Mi definisco un produttore autonomo nel senso che se decido di fare un film, tento di farlo in tutti i modi, difendo con tutti i mezzi l'autore e l'opera.

Questa tendenza alla lotta, alla non rassegnazione, la porta anche nella vita?

Sono abbastanza combattivo, ma più nel cinema che nella vita.

A parte "007", che film guardano i suoi bambini?

Ho insegnato loro a guardare di tutto, magari anche esagerando. Per esempi quando Luca aveva 5 anni, ha visto "Alexander", che ha scene molto forti. In quel caso non avevo controllato prima.

Teme che vorranno fare i registi?

Quando lo porto sul set, Davi gira con una radiolina e in mano e non fa altro che dire "Ciak, azione". Quindi...


E' vero che i suoi genitori volevano che lei facesse il medico, mentre lei voleva fare lo scrittore?

Si, volevo fare il giornalista, lo scrittore, ma avevo anche una forte passione per il cinema. da ragazzo ero innamorato del cinema di Godard. E avevo un quadernino in cui segnavo tutti i film che vedevo a cui davo voti e premi.


Il film più premiato nel suo quadernino?

"Amarcord" di Fellini, ma non sono più un felliniano spinto.

E come è arrivato a produrre film?

Per una serie di bizzarre coincidenze, sono entrato al Centro Sperimentale di Cinematografia ma come aspirante produttore perché era l'unico varco non affollato. materia che ancora insegno, proprio al Centro Sperimentale. Inutile dire che volevo fare il regista.

Quanti film ha prodotto?

Come lungometraggi, circa sessanta.

Quindi le idee ci sono.

Non sono d'accordo con quelli che dicono che il cinema italiano è il peggiore del mondo. E' un po' dissestato, ma non potrebbe essere altrimenti, dato che viviamo in un paese dissestato, ma produciamo ogni anno almeno tre film belli.

Il suo primo lungometraggio?

"Dall'altra parte del mondo" di Arnaldo Catinari. Dopo quel film, lo incoraggiai a smettere di fare il regista. Ora è uno dei più bravi direttori della fotografia italiani.

La sua prima casa di produzione (ancora esistente) porta il curiosa nome di Axelotil. Che cosa vuol dire?

E' la storpiatura di un nome d'animale. La leggenda vuole che questo animale ad un certo punto della sua esistenza possa decidere se conservare le sembianze da giovane oppure invecchiare.

Ma dove vive questo strano animale?

Secondo me da nessuna parte. E' un materiale leggendario, non credo che ci siano tracce vere. Era una cosa che ci siamo inventati da ragazzi.

Alexotil di voi che non volevate crescere?

Può darsi. Per quanto mi riguarda, la mia vita è cambiata nel 2002, con la nascita del mio primo figlio. Prima per me esistevano solo il lavoro e il calcio giocato, qualche ritaglio per qualche storia d'amore e niente più. Adesso continuo a lavorare. Continuo a giocare al calcio. Continuo a guardare il calcio, ma faccio anche e soprattutto il padre.

Quale è la sceneggiatura che non ha ancora letto e che vorrebbe tanto leggere su questa Italia?

Penso che non sia stato ancora raccontato adeguatamente il dramma dell'essere precari, la tragedia dei giovani, la loro mancanza di futuro. Non si racconta la vita vera. La maggior parte della popolazione non vive così come viene raccontata nei film. Anche se lo ritengo un buon regista, la borghesia che racconta Muccino (quando non è in America) non esiste o meglio non è rappresentativa di questa Italia.

Non ha fatto lo scrittore ma legge molti romanzi italiani. I suoi autori di riferimento?

Amo particolarmente Daniele del Giudice, che ha scritto dei capolavori assoluti. Fino ad un certo punto mi piaceva molto anche Tabucchi.

I film della vita?

"C'era una volta in America" di Sergio Leone, "Fino all'ultimo respiro" di Godard, "Intrigo internazionale" di Hitchcock, "Taxi driver" di Scorsese e "La sottile linea rossa" di Malick.

Ha amato anche l'ultimo controverso film di Malick, "L'albero della vita"?

Mi è piaciuto molto ma non l'ho capito, e non mi piace non capire un film.

Nel 2005, lei girò anche come regista un documentario che poi confluì anche in un libro, "Le parole del futuro. La ballata di Nichi Vendola". Chi è per lei Vendola? E chi sono i suoi nemici, dico gli amici nemici, perché i nemici dichiarati li conosciamo?

Secondo me, Vendola ha sbagliato i tempi. Ha fatto una campagna elettorale anticipata, e si è un po' bruciato. Dice cose interessanti e condivisibili, ma le ripete troppo spesso. Il problema però non è Vendola,ma la politica dei partiti, che è una cosa bestiale. Non sono sicuro che ce la farà. ma sarebbe un peccato. Anche perché Vendola ha dimostrato di aver saputo trasformare la vita delle persone in Puglia.

Leggevo l'altro giorno sulla prima pagina del "New York Times" il pezzo della storia editorialista Maureen Dowd che, fedele sostenitrice della prima ora, è diventata ora una nemica di Obama e delle sue parole. Lo accusa oggi di essere uno che ogni tanto scende dalla montagna, fa il suo discorsetto, e poi risale sulla montagna, lasciando gli altri a lavorare e sciogliere enigmi. Non solo la macchina dello spettacolo, ma anche la macchina dell'opinione ha le sue regole violente.

Sì, è così. Purtroppo queste regole non vengono applicate invece a Berlusconi.

Non vengono applicate a Berlusconi perché lui non è reale. Obama e Vendola invece sono reali.

Forse è vero. Berlusconi è fantascientifico.

Se fosse stato a Roma, e non a Venezia, avrebbe partecipato allo sciopero indetto dalla Cgil?

Penso di sì. Ho fatto in modo che la mia squadra di lavoro, che quel giorno era impegnata nelle riprese del film di Mereu, scioperasse. In generale, h la sensazione che il sindacato (inteso come Cgil: il sindacato è la Cgil) stia riprendendo a fare il suo lavoro.
(Pubblicato su "Gli Altri")

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