giovedì 4 agosto 2011

Stefano Rodotà: Politica ignorante, mi consolo con Balzac


Nel corso della conversazione, fa spesso riferimento ai suoi anni, e intercala i ragionamenti di ferrea logica con frasi come: “d’accordo, ormai io sono vecchio, ma”. Ogni volta che lo dice, sei costretto a fare un discreto sforzo d’immaginazione per abbinare la data di nascita di Stefano Rodotà (30 maggio 1933) alla cristallina velocità dello sguardo, che assomiglia tanto alla trama spessa e lieve del suo pensiero. Professore emerito dell’Università di Roma, Rodotà è un simbolo, forse il più dinamico, di laicità. Da accademico, non ha mai rifiutato la divulgazione, e da divulgatore non ha mai smesso di irrobustire il proprio patrimonio di conoscenza. In un momento della storia in cui la tutela dei diritti delle persone e delle minoranze è ridotta a membrana sottile stesa su corpi e menti indeboliti dall’azione di coloro che continuamente abusano dei propri poteri attentando alle vite degli altri, la sua figura assume a tratti i caratteri di “eroe popolare”. L’ultimo suo articolo sul “Biotestamento: addio al diritto di scelta” pubblicato da “La Repubblica”, gli è valso in pochi minuti più di cento richieste di partecipazione a dibattiti e incontri. Recentemente, gli occupanti del Teatro Valle gli hanno chiesto di aiutarli a stendere il loro statuto. E’ in pensione, ma deve moltiplicarsi ogni giorno per rispondere alle richieste di quella parte vulnerabile di mondo che chiede come fare per non sparire. Un uomo così, lo immagini in grande e affannosa corsa. E ti stupisci se ti regala due ore di conversazione. E allora pensi: avrà una concezione del tempo tutta sua. Un tempo velocissimo e lentissimo. Così gli fai tante domande e alla fine capisci che forse questo effetto di strana, interessante asincronicità è dovuto alle interferenze che la lettura produce sulla vita implacabile del giurista: “Non potrei vivere senza i libri. No, non i saggi....la letteratura, sì, i grandi romanzi”.


Quindi, professor Rodotà, siamo costretti tutti ad andare via dall’Italia, sia nel caso in cui vogliamo procreare, sia nel caso in cui vogliamo morire dignitosamente e dare una morte pietosa a chi amiamo....

Quando ci fu il referendum sulla procreazione assistita, fatta eccezione della campagna della Chiesa a favore dell’estensione, ci fu una minor partecipazione perché si pensava che riguardasse una minoranza di persone. Il tema del testamento biologico invece riguarda tutti. Perché con l’approvazione, da parte della Camera dei Deputati delle norme sulle “dichiarazioni anticipate di trattamento”, veniamo tutti espropriati del diritto fondamentale all’autodeterminazione che incide su uno dei momenti più intimi e drammatici della persona e del gruppo di cui fa parte. L’idea che ci si possa impadronire della vita delle persone e che il medico venga investito del potere di dare o non dare la morte, è aberrante. Mi sono rivisto in questi giorni un po’di discussione parlamentare e sono rimasto colpito dalla totale impreparazione culturale dei protagonisti di quella scena. In questo momento della storia italiana, la politica sta mostrando tutta la sua debolezza. E questa debolezza è dovuta anche alle pressioni esterne, alle pressioni delle gerarchie vaticane, che non hanno niente a che vedere con la complessità del mondo cattolico, pieno invece di tolleranza e carità cristiana.

Lei è cattolico?

Sono stato battezzato, ma non sono cattolico. Però stranamente, quando nel 2009 è uscito il mio libro Perché laico?, la maggior parte di richieste di presentazioni e partecipazioni e dibattiti mi è venuto proprio dal mondo cattolico e addirittura da quello ecclesiastico.

In un certo senso, il suo era un libro di teologia rovesciata. Sono ricorrenti i riferimenti non solo alla Chiesa cattolica, ma anche al pensiero e al comportamento religioso....

Devo dire che ho trovato spesso più apertura in certi mondi cattolici che in ambienti laici. Ed è anche in virtù di questa apertura che il mondo cattolico non ufficiale è stato costretto al silenzio.

Lei prima citava l’oscenità del dibattito parlamentare. Ecco. Come si fa ad accettare la scena di Peppino Englaro insultato in Parlamento? Perché mai dovremmo definire tollerabile quella scena solo perché i protagonisti sono dei parlamentari e non dei picchiatori di periferia? Se quella scena non è violenta, allora cos’è violento?

Si, è una scena estremamente violenta, il risultato estremo di un ragionamento che ho sentito fare tante volte: perché Englaro non si è affidato ad un medico consenziente senza fare tante storie? Quello che non è stato accettato è che lui abbia voluto condurre una battaglia civile. Il Parlamento non ha più la capacità di parlare con questo paese. Una percentuale altissima di italiani - tra il 75 e l’80 per cento - vuole decidere in merito alla fine della propria vita. Le persone vogliono restare da sole con se stesse, desiderano che a decidere siano i familiari e non i medici. E si è completamente sordi rispetto a questa realtà. I dibattiti sono diventati sempre più violenti perché c’è questo tipo di scollamento tra legislatori e società civile. Perché la Dc non fece le barricate durante la campagna sull’aborto? Perché era consapevole del fatto che nella società italiana il problema era molto sentito e non poteva opporsi con la forza. Adesso ci si oppone con la forza al comune sentire.

Lei sostiene che una parte della Chiesa si è mostrata più sensibile alle persone e ai loro bisogni e che ha preso il posto di certe “agenzie sociali” - partiti e sindacati - oggi in profonda crisi. Quale è la sua opinione sulla nomina di Angelo Scola come nuovo arcivescovo di Milano? Non è un vistoso segnale dell’avanzamento della parte più reazionaria della Chiesa?

Scola, che è un uomo molto colto, arriva dopo Tettamanzi e Martini, due vescovi con i quali la società milanese si è potuta identificare totalmente grazie alla loro profonda umanità. Ho l’impressione che, nonostante abbia tutte le carte in regola, Scola abbia uno stile diverso. Se si dovesse comportare in maniera contraria rispetto alle azioni dei suoi predecessori, allora si avrebbe un preoccupante ritorno all’ordine.

Dal momento che l’uso che se ne fa è ormai totalmente arbitrario, può darci una definizione meno equivocabile possibile di “democrazia”?

C’è la definizione classica che è quella di “governo del popolo” a cui Bobbio aggiungeva “governo del popolo in pubblico” per indicare la trasparenza dell’agire di chi fa politica. Accanto alla democrazia rappresentativa, abbiamo la democrazia deliberativa (che include un sistema di informazione adeguato) e la democrazia partecipativa. Un esempio di democrazia partecipativa è incluso nel Trattato di Lisbona, quando stabilisce che un milione di cittadini dei paesi dell’Unione possono prendere iniziative da sottoporre alla Commissione che deve deliberare in merito ad alcune specifiche materie. Queste sono le gambe su cui cammina la democrazia. Se amputi uno di questi tre riferimenti, la democrazia ne soffre. Inoltre la democrazia richiede delle pre-condizioni, che sono informazione, istruzione e lavoro. Solo con la realizzazione di queste tre condizioni, una persona si può ritenere libera da condizionamenti esterni.


Contrariamente all’opinione corrente che vede un declino fatale del berlusconismo, il filosofo Slavoj Zizek legge nel “nefasto incrocio tra populismo fondamentalista e tecnocrazia liberale permissiva” e nella figura di Berlusconi “leader umano troppo umano” degli elementi cruciali. Per lui l’Italia di oggi rappresenterebbe “una sorta di laboratorio sperimentale del nostro futuro”. Cosa ne pensa?

Si tende a dire questo dell’Italia perché l’Italia è stato il laboratorio di uno dei progetti totalitari del Novecento. Mi auguro che non sia così, ma è indubbio che Berlusconi incarni uno dei modelli possibili di governo: plebiscitario, personalistico, con una forte commistione tra privato e pubblico. Il modello italiano è una gigantografia del populismo demagogico e dell’uso sproporzionato dei media. Noi abbiamo avuto un’esplosione di questi fenomeni, congiunta ad un impoverimento degli anticorpi democratici.


Interessante che Zizek definisce il nostro premier “umano troppo umano”, e non “disumano troppo disumano”. Dovrebbe farci riflettere.

La politica non è l’accettazione di quello che accade nella società. Io sono abbastanza vecchio da aver visto con i miei occhi a Torino, quando ero ragazzo, i cartelli dove era scritto “Non si affitta ai meridionali”, “Vietato l’ingressi a cani e calabresi”. Adesso vediamo gli stessi cartelli contro gli immigrati. La differenza è che la classe politica di allora non pensava di guadagnare il consenso fomentando la paura e l’aggressività. Quello che è avvenuto in questi anni è che nelle campagne politiche è stato evocato tutto il peggio della società italiana: l’evasione fiscale, i culattoni, zingaropoli, l’altro come persona infetta....Anche Calderoli e Bossi sono leader umani troppo umani, nel senso che in nome del consenso legittimano l’ostracismo nei confronti dell’immigrato e della ragazza lesbica che bacia la sua ragazza in pubblico...Ho appena finito di leggere il bellissimo libro di Martha Nussbaum, Disgusto e umanità, in cui si dice proprio questo, ovvero che abbiamo cancellato l’umanità incentivando tutte le forme di disgusto per l’altro. L’umano non c’è più, c’è il suo opposto, che però non è mai nominato come disumano.


L’essere nato in Calabria le ha dato una particolare sensibilità nei confronti della “questione meridionale”?

Mi dà sensibilità ma anche senso di responsabilità. Io sono andato via da Cosenza a diciotto anni con la ferma intenzione di non tornarci mai più. In verità ci sono tornato come parlamentare. Ma non ho mai pensato che sarei riuscito a saldare il mio debito con la mia città. Il precariato e la disoccupazione soprattutto quella femminile e giovanile sono i grandi buchi neri del Sud. E’lì che sento la responsabilità.

A proposito di esseri vulnerabili, bome legge l‘annuncio di un movimento politico femminile che sulla scia delle iniziative del comitato Snoq (Se non ora quando), vorrebbe contribuire a ricostruire “non solo un paese per donne, ma un paese per tutti”?

Lo guardo con grande interesse. Sono fortemente debitore nei confronti delle donne e del loro lavoro. Non dimentichiamo che sono state le donne a cambiare il concetto di soggetto giuridico, inserendo le questioni attinenti alla sfera del corpo.


Quali libri ha sul suo comodino?

Ho letto senza grande trasporto i libri del premio Strega perché ne sono un indisciplinato giurato. Sul comodino ci sono Amos Oz, Storia d’amore e di tenebra, e Le illusioni perdute di Balzac. In quel romanzo di Balzac c’è il racconto di come nasce l’opinione pubblica: i giornali, i caffè letterari.... E’ una miniera.

Legge tutti i giorni?


Non ho una giornata senza letteratura, nel suo più ampio spazio possibile.

L’ultimo rapporto Censis sull’informazione ci dice che i giornali soffrono di pessima salute, seguiti dalla tv. Regge la radio, Internet è il primo medium a cui gli italiani si affidano...Che rapporto ha lei con tv?

Da sei mesi ho deciso di non partecipare più ai talk show, non perché ho avuto qualche battibecco, ma perché la dimensione argomentativa è scomparsa. Faccio solo un esempio: mentre leggevo una sentenza della Corte Costituzionale, il Ministro dell’Istruzione una volta mi ha detto che era falsa. Non che io abbia nostalgia della tv di Bernabei, ma era una tv in cui si riusciva ancora ad argomentare. Quando i comitati promotori dei referendum sull’acqua hanno chiesto di partecipare ad “Annozero” e “Ballarò”, hanno avuto questa risposta: “Noi facciamo una trasmissione politica, e invitiamo chi vogliamo noi”. Quegli argomenti e quelle facce anonime sono considerati noiose.

Io rivaluterei la categoria del “noioso”, anche perché è diventato sinonimo di “censurabile”...

Assolutamente. Si può fare benissimo buon intrattenimento culturale, basti pensare all’ascolto che ha avuto Paolini sulla Sette senza pubblicità. Io sono a favore della divulgazione. Quando ho cominciato a scrivere per i giornali, i miei colleghi hanno giudicato il mio gesto una forma di prostituzione intellettuale. In Inghilterra gli accademici regolarmente scrivono sui giornali e vanno in televisione. Il fatto è che da noi sta diventando sempre più difficile riuscire a fare un discorso senza interruzioni o interferenze.


MaLuhan sosteneva che, a differenza del libro, il giornale è un medium sonoro. Lei lo vive così?

Si, con il libro si ha un rapporto di grande intimità, di totale abbandono. Per questo non amo parlare dei libri che leggo. E’ la mia zona segreta. Invece quando quando si legge un articolo di giornale, mi viene naturale commentarlo, parlarne con qualcuno. Il giornale ha una sua sonorità condivisa.

Facebook è il capolavoro ultimo di medium sonorizzato...

Di facebook conservo un’impressione di grande vitalità. All’inizio ero convinto che fosse una sorta di Second Life, ma mi sono dovuto presto ricredere.

Lo chiedo a lei che è stato è stato per così tanti anni il Garante della Privacy. Non è proprio la privacy il grande buco nero dei social network?

Ormai lo sappiamo tutti: facebook è il terzo paese al mondo dopo la Cina e l’India. Non possiamo ignorarlo. Parliamo di 700 milioni di persone. Per quanto riguarda la privacy, Zuckerberg ha fatto molti passi in questa direzione ed è proprio su questo punto che si giocherà la partita del futuro. Google sta facendo il suo fb puntanto proprio sulla promessa di un minore controllo.

Ma se io le chiedo l’amicizia su facebook, lei me la dà?


Io sono stato messo da mia nipote Zoe che ha 15 anni ed è la mia guida nel mondo dei social network. Mi dispiace: non sono stato legittimato a dare o chiedere amicizia.
(Pubblicato su "Gli Altri")

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