lunedì 8 agosto 2011
Nichi Vendola e l'invasione dei Mutanti
“Vorrei girare il mondo. Passare un anno a New York. Un altro a Salvador de Bahia. Vorrei scrivere libri, imparare, studiare”. Nichi Vendola rilascia questa dichiarazione a “Panorama” (numero del 2 agosto) e la frase viene ripresa da tutte le agenzie: il leader di Sel se ne va dalla politica. Che cosa succede in realtà? Se dobbiamo attenerci al testo dell’intervista, la risposta di Nichi arriva dopo 21 domande volte a mettere in difficoltà l’interlocutore (disavanzo nella sanità, problema rifiuti, braccio di ferro con il Pd). Chiunque, dopo un interrogatorio del genere, direbbe: io vorrei anche fare altre cose nella vita prima di farmi massacrare. Intendeva dalla politica. Ma anche, forse, dalla macchina delle notizie, che macera tutto e tende a far passare per vecchia l’esistenza di un neonato. Se poi vogliamo proseguire nella lettura senza prendere per buono solo il cerchietto rosso che evidenzia una manciata di parole soffocate, le cose che dice Vendola non sono le cose di un uomo che si è arreso: “Da qui al 2013 scoppierà una guerra: l’Italia uscirà dal Welfare e cambierà il contratto sociale. Ma io spero ci sia un governo di centrosinistra già dalla primavera del 2012. In autunno saremo già in piena rivoluzione”. “Saremo”, non “saranno”. Vendola vede se stesso come un giocatore in campo e immagina addirittura una rivoluzione a cui dovrebbe seguire un governo di centrosinistra. Non sono parole da apocalittico, queste. Non sono neanche discorsi da integrato. E’ questo il punto. Vendola non ha cambiato pelle. Dopo anni di esercizio del potere (come governatore della Regione Puglia), non ha subito quella mutazione antropologica che aspetta al varco tutte le vittime della politica e della forma-partito, destinate a capovolgersi subito in figure di carnefici capaci di ingoiare l’orrore a grossi bocconi. Perché non c’è bisogno di arrivare allo scempio di un Borghezio che vede nell’autore della strage di Oslo un uomo di idee giuste e condivisibili, per recintare con il filo spinato della paura (quella vera) quanto accade in Italia. Basta rivedere le scene della discussione in Parlamento della legge sul biotestamento (come ci invitata a fare Stefano Rodotà su queste pagine), è sufficiente risentire le parole ingiuriose nei confronti di un padre umiliato non una non due ma mille volte, rivedere il volto di Beppe Englaro - categoria “uomo” - in mezzo a tante ex creature umane animate oggi da violenza bestiale, per farsi un’idea di quale brutto affare sia la politica italiana. Rispetto a questo modello inglobante che riduce qualsiasi individuo dotato di ideali e aspirazioni anche legittime a una molla omicida dove però l’assassino è sempre un altro, quello che passa dalla potenza all’atto -il folle, il criminale, l’appestato-, Nichi Vendola rappresenta un fossile, un essere umano ancora intatto. La parte più interessante dell’intervista rilasciata ad Antonio Rossitto è semmai quella finale, in cui (con grande scandalo dei giustizialisti e dei fomentatori dell’aggressività “buona”, quella di sinistra), il leader di Sinistra Ecologia Libertà opera un processo di umanizzazione di Berlusconi, che non tratta da nemico inadatto ai sentimenti: “Berlusconi è sempre affettuoso nei miei confronti. Ha avuto delle delicatezze umane di cui gli sono grato. Mi è stato davvero vicino nel momento della perdita di mio padre”. Sì, questo è un uomo, che non privilegia l’odio sociale, politico, razziale, rispetto ad una idea di civiltà di cui non agita soltanto il vessillo ideologico. Alla presentazione del libro edito dalla Fandango, C’è un’Italia migliore, Antonello Dose e Marco Presta (Il ruggito del coniglio), dissero: “Abbiamo seri sospetti per arrivare a pensare che Nichi Vendola sia una brava persona”.
Ma Vendola è molto di più di “una brava persona”. Una brava persona può pure essere uno che si comporta bene, paga le tasse, non sporca, non alza la voce, ma alla fine si fa i fatti suoi. Ecco, da questo punto di vista, Nichi è di una specie diversa. Un tipo che della realtà tende a vedere il lato sghembo, obliquo, il punto di luce abissale sotto la superficie liscia. Rispondendo ad Angela Mauro (Gli Altri,10 giugno), dichiarava: “All’ideal-tipo riformista e all’ideal-tipo radicale verrebbe da dire: ci sono più cose in cielo e in terra di quante non ce ne siano nella tua filosofia. Serve spirito di apertura: siamo tutti quanti in mare aperto, tutti stiamo re-imparando a nuotare e non bisogna aver paura di riguadagnare futuro”. C’è chi la chiama retorica. Ma se è retorica, anche lei, è di un tipo differente, di un genere che ammette la paura come strumento di conoscenza e chiama in causa il coraggio. Più di una volta, Vendola ha testimoniato che quella mozione degli affetti a cui regolarmente si appella non è un involucro vuoto. E’ stato con un (troppo poco virile?) scoppio di pianto che il leader politico ha accolto la notizia della sua riconferma a governatore della Puglia, dopo tutto quello che era accaduto, tra nemici interni ed esterni pronti a chiederne la testa. Ora, la testa di Vendola è ancora ben piantata sul suo corpo, e non c’è sconnessione tra gesto e parola, a dispetto di chi vorrebbe liquidarlo come ventriloquio shakespeariano, voce poetica che parla nel deserto.
La prova ultima dell’integrità di questo strano essere umano resistito alle maree e ai terremoti della politica italiana, sta proprio in quella che, per fame di notizia patibolari, qualcuno chiama “fuoriuscita dalla politica”, e che invece bisognerebbe leggere come una lezione di umanità, e non come un manifesto di antipolitica. Non molto tempo fa, era il 5 maggio, Vendola raccontava a Norma Rangeri, direttrice del manifesto, di una ferita che si era fatto vivendo nella cosa pubblica: “Ho sempre vissuto con felicità a politica, ma da qualche anno è come una ferita: non ne posso fare a meno, perché è il senso della mia vita, però sento un dolore molto grande, grande perché sempre di più la politica è galleggiamento dentro la mucillagine, è negoziato con le lobby, con le corporazioni. Hai di fronte la battuta che noi leaders di sinistra puzziamo, che le donne di sinistra sono racchie e hai la sensazione che a tutto questo bisognerebbe contrapporre una mobilitazione forte, un grande cantiere, una grande azienda”.
Pensare in grande, preparasi alla rivoluzione, portare la propria differenza nella polis, allenarsi a smantellare l’idea del nemico brutto racchio e puzzoso. Non sono le idee di un uomo in fuga né di un retore perdente. Sono semmai le parole di un politico che ha accettato di non farsi i fatti suoi ma di prendere la ferita sul proprio corpo. Non sappiamo come andrà a finire. Questa figura di essere umano potrebbe naufragare, travolta da quell’esercito di mutanti con l’occhio infettato di sangue e la pelle spessa di lucertola. Ma sta a noi decidere se il modello incarnato da Vendola sia alla fine di un tipo “preistorico” o, come speriamo, di un genere “proto-storico”, segnale vivo di una nuova (e antica) fase della nostra storia.
(Pubblicato" su "Gli Altri")
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento