giovedì 4 agosto 2011
Edoardo Camurri, il giornalista-filosofo
E’ lunedì. Edoardo Camurri si è alzato alle 6 per entrare negli studi di via Asiago a comporre la sua Pagina 3. Poi andrà verso la redazione di “Mi manda Raitre”, programma che conduce dal 29 aprile scorso, e ci resterà fino alle 8 di sera. Il venerdì si va in onda. A contarle una per una, sono 14 ore di lavoro. Dal lunedì al venerdì. Poi la sera ci sono i libri da scrivere e da curare. E soprattutto c’è una famiglia: una moglie e una bambina di un anno a cui leggere le favole, ma solo quelle di Tommas Landolfi, che hanno la parola più alta e il suono più bello. Adesso sono le 9.30 del mattino. Un pezzo di strada è già fatta, molta ce n’è ancora da fare. Ma non si avverte nessuna stanchezza, soprattutto non prevale quel senso di aristocratica noia che abbiamo imparato a leggere al volo sui volti di tanti professionisti della notizia. Al contrario, quest’uomo sembra felice. Non solo allegro. Proprio felice. Lo annotiamo perché quando si legge questa predisposizione alla felicità in un altro essere umano vale la pena di segnalarlo ai lettori. Per quanto ci sforziamo di dirci che è persino strano, non sembra il frutto di un artificio, una condizione dettata da notizie o fatti extra-ordinari, un volo d’ala del momento.
Camurri, lei è davvero così come sembra?
Così come?
Felice.
Si. Naturalmente, come tutte le persone felici e allegre, ho i miei momenti saturnini che mi rendono insopportabile, ma sono rari.
Segno zodiacale?
Vergine, ma non ci credo nell’oroscopo. So che poi tutto il segreto è nell’ascendente, e non lo so.
Lei ha studiato da filosofo. Prende filosoficamente anche il giornalismo?
Si, anche perché questo mestiere l’ho iniziato nel modo più semplice e casuale.
Dicono tutti così.
Davvero. Io ho studiato filosofia teoretica con Gianni Vattimo, a Torino. Ma l’idea di continuare a lavorare all’università non mi convinceva. Cominciai a mandare delle lettere al “Foglio” e Ferrara mi fece scrivere il mio primo pezzo da dotto. Ma non durò a lungo perché io proponevo pezzi come: una rilettura del “Simposio” di Platone o riflessioni sull’ultimo Hegel...Non erano proprio notizie dell’ultima ora.
Direi di no, però capisco la tentazione.
Poi nacque l’esperienza del “Riformista”, in un modo un po’ bizzarro. A Milano presentavano la nuova edizione di “Sentieri Interrotti” di Heidegger...
Anche qui l’ultimo best-seller americano....
No, però c’era un’idea.
Quale?
Di andare a raccontare l’evento (a cui partecipavano tutti i più grandi filosofi italiani) in un modo personale, quasi comico. Insomma, funzionò, e poi è arrivato tutto il resto, “Il Sole 24 Ore”, “Vanity Fair”....
Che effetto le fa vedersi in tv?
Io la penso come Pascal, quando parla dell’”odioso io”. Non mi piace questo io, e non solo il mio. E comunque alla fine non è che televisione. Non penso mai che gli occhi del mondo siano puntati tutti su di me. Cerco di vivere l’esperienza relativizzandola.
Come vive le critiche?
Le risponderò come le risponderebbe Miss Italia: se la critica mi aiuta a farmi crescere, allora ben venga la critica. E se la critica è strumentale, va bene pure.
Mi sta dicendo che lei non si arrabbia mai contro chi si mostra ostile?
Non mi sembra.
Il giorno in cui debuttò nella conduzione televisiva dichiarò: “Tornare all’antico sarà la novità”. Dopo quasi due mesi, direbbe la stessa cosa del suo “Mi manda Raitre”?
L’affermazione che feci allora oggi è inadeguata. Sono entrato in punta di piedi. E volevo rispettare la storia del programma. ma adesso ho capito che bisogna essere più contemporanei.
Mi faccia un esempio di tradizione.
Occuparsi dei temi sempreverdi: le pensioni, le truffe, le bollette.
E un esempio di avanguardia?
Occuparsi delle Partite Iva, dei giovani imprenditori. Ma anche di un’Italia più strana, irrequieta.
Il Paese che lei ha fotografato in un libro del 2007, “L’Italia dei miei stivali”, diventato da poco un documentario...
Si, mi interessa andare a scovare gli aspetti più mostruosi del paese.
Ogni tanto lei si diverte a giocare con le parole che cadono e le parole che restano. Allora, quale parola salviamo oggi?
Sprezzatura.
In che senso (filologico) va intesa?
E’ una parola che proviene dai poemi cavallereschi e indica la facoltà di starsene un po’ sopra le cose senza farsene coinvolgere.
Quale parola facciamo cadere invece?
Facciamo cadere “sinergia”. Non ne posso più di sentirla.
Considerando i suoi percorsi, lei qualche libro sul “pensiero debole” deve averlo letto, e si deve essere a lungo esercitato dell’arte del dubbio e del ragionamento. Bene. Oggi si trova a soli 37 anni a lavorare 14 ore come conduttore di programmi televisivi e radiofonici, il che significa che è chiamato a prendere più di una decisione al giorno, e non può permettersi di dire ai suoi capi: mi prendo una settimanella per pensarci...Come trova l’equilibrio quotidiano tra “pessimismo della ragione” e “ottimismo della volontà”?
Proprio perché la vita è breve, l’uomo è assurdo e la natura è ostile, occorre vivere tutto questo con sprezzatura e con sorriso. E’ proprio in nome del pessimismo, che bisogna stare con la schiena dritta e col sorriso.
E’ buddista?
No, non sono buddista.
Sembrava.
Sono agnostico, però non sono ateo. Ammetto che mi piacerebbe aver fede. Sono molto affascinato dal pensiero mistico. Penso che ci sia una certa somiglianza tra il misticismo e lo scetticismo. Lo scettico trova costantemente ragioni che smentiscono ogni singola affermazione. Il mistico afferma che Dio non è né un’affermazione né una negazione. Non è un caso che Giuseppe Rensi, uno dei più grandi filosofi italiani dei primi del Novecento, ad un certo punto della sua vita sia passato da posizioni scettiche a posizioni mistiche.
Che cosa significa per lei abitare la velocità?
Interessante domanda. Ci devo pensare un po’.
E che cosa rappresenta per lei Radio 3?
Adoro Radio 3. Mi consente di fare cose altissime. Ho la possibilità di parlare di Heidegger e di Schumann ma con leggerezza, senza appesantire il messaggio. La cosa più sbagliata da fare è di porsi di fronte all’ascoltare con fare educativo, ammaestrante. Mai fare il trombone.
In un certo senso Rai 3, è l’università di oggi, perché quella vera è piena di tromboni.
Direi di sì.
Cosa le manca di Torino?
Torino è una città che amo, dove ho vissuto fino a sei anni fa, ma che trovo insopportabile. Si compiace troppo di se stessa. Ed è davvero nera, un po’ inquietante, come si dice. Per descrivere Torino, Piovene parlava delle cioccolaterie, del modo con con cui veniva incartato il cioccolato: avvolto nella carta dorata ed esposto in vetrina tra drappi di velluto nero. Come fosero stati sepoliti nella vetrina delle pompe funebri.
Come le è apparsa Roma la prima volta?
Un bivacco di rovine.
Ancora oggi le appare così?
Si, è rimasta per me un magnifico bivacco di rovine. Quello che adoro di Roma è la sua convivialità. A Torino, se si esce in due, si resta in due. A Roma, se si esce in due alla fine si chiede un tavolo da dieci.
Le è mai successo di essere in dubbio su un caso da affrontare a “Mi manda Raitre”?
Non ancora. Ma in quel caso c’è una redazione, ci sono gli autori. E’ impossibile che si vada in onda con una storia non verificata al millimetro.
Ma personalmente lei non ha mai avuto un dubbio?
Quando si parla delle grandi truffe, la dinamica interessante è quella che si viene a creare tra il truffatore e il truffato. Qualche volta ho la tentazione letteraria di tifare per il truffatore. In questo senso mi piacerebbe talvolta uscire dalla logica manichea e rendere la storia più ambigua, perturbante. Ecco, forse è questo che intendevo dire rispetto alla possibilità di rendere la trasmissione più contemporanea. Se la trasmissione si farà ancora il prossimo anno, vorrei raccontare anche il mostruoso.
Questo suo discorso mi fa venire in mente il caso De Cataldo. Come magistrato, è un moralista, come scrittore un “immoralista”. La sua creatura più nota, “Romanzo criminale”, affrontava dostoevskijanamente la questione del bene e del male reinterpretando gli atti processuali forniti dallo stesso De Cataldo in veste di magistrato. Poi è arrivato il film. Poi è arrivata la fiction tv, prima e seconda serie. Infine sono arrivati i gadget e le figurine. Adesso a Roma sono tutti pazzi per il Freddo e il Nero. I protagonisti della Banda della Magliana sono diventati, nell’immaginario collettivo, eroi positivi, tipi “fichi” che ci fanno salire l’adrenalina solo a nominarli...
Questa è una faccenda seria e va affrontata con l’unico strumento intellettuale che abbiamo a disposizione in questi casi: lo scetticismo. Lo scettico non vuole fondare il mondo, vuole decostruire un’icona. Vuole rendere il mondo più leggero. “Mi manda Raitre” va in onda contemporaneamente a “Quarto grado” su Rete 4. E’ difficile competere con qualcuno che ti sta facendo vedere (in simulazione, certo) Misseri che strangola Sarah Scazzi. E’ come battere un ciclista dopato. Questa è la forza della cronaca nera. Va a pescare nel limo primordiale. Pensiamo alla favola di Pollicino. E’ la più angosciante storia di terrore che sia mai stata scritta, eppure la leggiamo ai nostri bambini come se fosse normale. La soluzione non sta quindi nell’affrontare questo tipo di materiale in chiave sociologica.
Come va affrontato allora?
In chiave archetipica. Costruendo altre icone. D’altronde Nietzsche, quando scrisse “Così parò Zarathustra”, aveva come rivale San Paolo.
E quali favole legge la sera alla sua bambina?
Le favole di Tommaso Landolfi. Perché sono scritte in una meravigliosa lingua italiana. Adesso è troppo piccola per capire per capire il significato, ma può sentire la musica delle parole.
Che libri sta curando?
E uscito da poco Adelphi un libro di Rodolfo Wilcock , e mi sto occupando di un illustratore di gatti d’epoca eduardiana, Luois Wain.
Ama i gatti?
Si, ho un gatto che si chiama Spilimbergo.
Curioso nome per un gatto.
E’ un trovatello.
Allora, me lo dice come si abita la velocità?
Sì, ci ho pensato (lentamente). Più che abitare la velocità, il motto che posso tirare fuori per affrontare la velocità è un motto neoplatonicio: Festina lente, affrettatevi lentamente. L’immagine è quella di un’àncora su cui è avvoltolato un delfino. Ci indica come abitare le proprie contraddizioni. La verità, se c’è, si trova nell’autoeliminazione dei due opposti. E’ come dire: la materia si rispecchia e si annulla nell’antimateria.
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