sabato 25 giugno 2011

Occupazione del Teatro Valle: è la rivolta delle "fanciulle in fiore"


Italian Spring, la primavera italiana: è così che i giornali stranieri hanno battezzato il nuovo vento che si è alzato in seguito alle elezioni amministrative e ai risultati dei referendum. Lo sguardo degli altri ci restituisce la raffigurazione di un paese che sta facendo entrare la luce nelle grotte del nuovo medioevo nelle cui stradine buie ci eravamo mossi per anni come ignavi. Alle immagini di un impero in decadenza che si pasce dei suoi stessi sudditi si sostituiscono, in poche settimane, visioni più luminose di resistenza pacifica e rigogliosa. Le “imago” di alberi di ciliegi soppiantano le fotografie interiori di ramoscelli morti. Il linguaggio, vorticosamente, cambia. Si abbassano i toni del requiem troppo a lungo suonato per far spazio ad altri motivi, rock, pop, soul, e new-romantic. Ecco, soprattutto new-romantic. Che estetica si porta questa nuova primavera italiana? Se l’occupazione del Teatro Valle, luogo simbolico della cultura e dell’arte italiana, ci dice qualcosa in questo senso, ci racconta l’avanzare di un piccolo compatto universo di giovani donne portatrici di messaggi differenti. Già dal primo giorno dell’occupazione (che le lavoratrici e i lavoratori dello spettacolo hanno scelto di non interrompere finché non si avrà una risposta chiara), colpiva la leadership femminile. Emerse dai palchetti e dalle quinte dello storico teatro romano, decine di ragazze hanno guidato la protesta presentandosi al pubblico con un linguaggio fermo, capace di declinare insieme la rabbia e il desiderio. E’ la rivolta delle fanciulle in fiore. C’è Eliana, che fa discorsi robusti sfidando le istituzioni di fronte ad una platea che applaude, stordita e anche un po’ intimorita da questa ragazza esile con i lunghi capelli neri. C’è Benedetta, che si occupa della comunicazione. C’è Manuela che, dopo aver citato il suo amato Spregelburd (“Come è triste la prudenza”), si candida a fare il guardiano del Valle, dimostrando che non c’è bisogno di avere un corpo massiccio e uno sguardo cattivo per far rispettare un teatro storico come questo (le maestranze assicurano che non era mai stato così curato e pulito). E poi ci sono Francesca, Silvia, Giulia, Giorgia, Tania e tante altre ancora. Vogliono essere chiamate solo per nome. Sono ragazze bellissime tra i 25 e i 40 anni, tutte combattive ma non aggressive, autorevoli e non violente. Sono attrici, registe, uffici stampa, organizzatrici, tutte lavoratrici dello spettacolo, in Francia si direbbero intermittenti, qui si dicono precarie. Conoscono il bisogno, praticano il sogno, per questo sono di fibra forte. In questi giorni al Teatro Valle sfilano anziani, studenti, abitanti del centro storico e delle periferie. I protagonisti sono loro, specchiati in Maddalena Crippa, Fabrizio Gifuni, Giovanna Marini, Elio Germano... Oggi sospeso nel vuoto, il Teatro Valle, prima direttamente gestito dall’Eti, è un luogo di nessuno sulla cui sorte, e sulla cui vocazione pubblica, le lavoratrici e i lavoratori dello spettacolo vogliono vigilare: per assicurarsi che il passaggio da una gestione all’altra sia trasparente. Chiedono uno stabile d’innovazione, e non un bistrot. Intanto compiono con serietà e dolcezza quella “rivoluzione culturale” di cui ha parlato Andrea Camilleri, una rivoluzione che ha una rosa tra i capelli e il rossetto sulle labbra.

(Pubblicato su "Gli Altri", rubrica "La testimone")

Nessun commento: