lunedì 20 giugno 2011

Radio Argo di Peppino Mazzotta: una avvincente variante del mito degli Atridi


Andava in scena alle undici di sera, all’interno della Primavera dei Teatri di Castrovillari. Rischioso orario, per l’attenzione. Ma poi. Poi accade che c’è una scena da teatrino onirico. Ci sono grandi fiori bianchi e rossi alla base delle aste dei microfoni. C’è una cabina di regia radiofonica, al centro del palco. C’è una sedia a rotelle. La luce incornicia le cose come una pittura hopperiana. Entra un essere avvolto dentro un impermeabile arancione più grande di lui. Il viso si percepisce appena, se non per due strisciate di trucco rosso perpendicolari alla zona degli occhi. Evocano la cecità del destino. Infine, arriva la voce, una voce di uomo-bambina che parla al suo papà come fosse cappuccetto rosso stritolato dalla macchina tragica del sangue. Il nostro occhio che guarda fuori, chiama immediatamente l’occhio di dentro. Gli dice che qui non si dormirà affatto. Qui c’è da stare svegli, che saranno grandi le cose che vedremo. L’attore emerge dall’impermeabile, e con lui la piccola Elettra a cui aveva dato voce. Peppino Mazzotta va ora in cabina di regia, indossa le cuffie e dalle frequenze di “Radio Argo” (è il titolo dell’opera, scritta da Igor Esposito con lo stesso Mazzotta, musiche di Massimo Cordovani) narra pezzi della storia degli Atridi, dopo il ritorno in patria di Agamennone con la sua schiava Cassandra. Il resto della vicenda noi lo conosciamo, dall’ “Orestea” di Eschilo molti ci hanno trafficato, Sartre, Yourcenar, Pasolini, Ritsos e tanti altri ancora. Come si fa a mettere le mani su un racconto archetipico di questo genere? Che cosa potrà accadere mai di nuovo? E invece. Accade, per esempio, che la voce di Peppino Mazzotta (conosciuto al grande pubblico come il Fazio del Montalbano televisivo) può condurci dove vuole. Nella stanza in cui un Egisto parassita dorme la sua morbosa vita, ed è seccato che adesso si debba uccidere il re. O nella piazza pubblica dove Agamennone, prima di essere ammazzato, fa un discorso terrifico sul potere che noi riconosciamo bene per averci avuto a che fare anche recentemente. “Radio Argo” è una variante a tutti gli effetti del mito di Oreste ed Elettra. E’ la perfetta variazione fonetica, che non eccede mai in musicalità. Non fa rime, non cerca allitterazione. E’ di un’asciuttezza incendiaria. Taglia con un coltello assolato la membrana spessa della storia mitica, facendo pronunciare sul finale al personaggio di Oreste un discorso sull’inutilità del tragico: dopo tanto sangue, di tutte queste vicende non resterà niente, perché gli uomini dimenticano ogni cosa e come se nulla fosse accaduto riprenderanno la loro vita quotidiana, senza incubi, senza sogni, magnificamente vuoti.
Peppino Mazzotta (anche regista) è il demiurgo potentissimo di un teatro da camera dove la voce disegna spazi verticali e fa invertire le lancette del tempo. Un esempio impressionante di recitazione sensitiva e di intelligenza scenica che ci fa fare, senza i bagagli pesanti della psicologia, ma con gli i soli mezzi inventivi della creazione artificiale, una passeggiata per i viali e i giardini spaventevoli di quell’Ade che ogni notte, ignari, visitiamo.
”Radio Argo” replica il 3 e 4 luglio a Castiglioncello e il 20 agosto a Taormina Arte.

(Pubblicato su "Gli Altri", rubrica "La testimone")

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