sabato 9 aprile 2011

Lucia Annunziata: "Ecco come ti smonto le forme del potere in Italia"


Non c’è musica. Non ci sono applausi. Né finti né veri (ma quali sono gli applausi veri?). La struttura è sobria, essenziale. Perché l’attore della scena è uno solo: la parola. La parola che apre mondi e li legge. Con determinazione. Cercando il dialogo e rinunciando ogni volta alla tentazione del monologo, e del giudizio che esso contiene. Lucia Annunciata non ha cambiato stile rispetto alla domeincale “In mezz’ora”, perché il giornalismo in senso classico se ne infischia delle mode. Con “Potere”, il nuovo programma in sei puntate partito a fine marzo (in onda il lunedì su Rai 3, ore 23), Annunziata conferma la sua vocazione ad una informazione rigorosa, pulita, che fa parlare i fatti e i discorsi intorno ai fatti. Senza fare chiasso.

Lucia, stavolta la missione era più difficile, ambiziosa. Disossare il Potere e le sue forme. Come si affronta una missione così?

L’approccio è di tipo strutturale. Non potevamo affrontare il potere in termini filosofici, psicoanalitici, etici. Abbiamo scelto di evidenziare le strutture che sottintendono la nascita e la caduta di grandi poteri. Dopo la Fiat, ci occuperemo di Rcs, Magistratura, Quirinale e Populismo. Abbiamo aperto con il tema della ricchezza e chiudiamo con il populismo, cioè con due concetti. Al centro non c’è la biografia di un uomo, ma di un paese. Non mi pongo il problema se Berlusconi è indagato, se la sua ricchezza è legittima. Mi limito a leggere i dati.

Come è stato accolto il debutto del programma dai vertici Rai?

Ho avuto una ramanzina da Masi che mi ha detto che non era il programma che si aspettava.

Che programma si aspettava Masi?

Si aspettava una trasmissione storica e basta. Non volevano un talk show. “Potere” non è un talk show, ed è una trasmissione storica ma calata nell’attualità. Non potevo affrontare la storia né in termini puramente documentaristici né in termini di cronaca. Quello che mi interessava era ragionare attorno alle strutture socio-economiche del potere.

Ragionare è un esercizio “antipatico”, perché è impossibile misurare le conseguenze del ragionamento. Se si ragiona senza montaggio tendenzioso e senza applausi preordinati, non si può controllare né l’intervistatore, né l’intervistato, né il pubblico da casa.

Il giornalismo che più amo (ma io non amo fare lezioni sul giornalismo) è quello che si attiene alla produzione delle analisi e lascia lo spettatore libero di tirare le somme, Che la ricchezza di Berlusconi rappresenti un motivo di oppressione per il paese, non lo devo dire io. Le domande che dovremmo farci sono sempre le stesse: a quale bisogno sto rispondendo? cosa ti sto facendo capire?

Studiando il caso Marchionne e la Fiat, che radiografia esce fuori?

Non mi interessava la biografia di Marchionne ma il processo storico che lo ha prodotto. Marchionne è il primo prodotto della globalizzazione, della fine dell’industrializzazione.

Insomma, c’è un modo “altro” per fare tv e informazione in tv.

Non lo so. Di sicuro il giornalismo somiglia parecchio alla persona che lo fa. Io non vengo dalla televisione e ho un’impostazione da pagina scritta: per me ci devono essere sempre un inizio, lo sviluppo di una tesi, e una conclusione.

Ha modelli televisivi?

Amo molto certe trasmissioni della Bbc. Per quello che riguarda l’Italia, Sergio Zavoli e la sua “Notte della Repubblica” non mi sono mai usciti dalla mente. L’impostazione era un po’ dark, ma la materia era così viva. Impossibile da dimenticare.

La sua intervista più difficile?

Indovini.

Non lo so. Beh, si, forse lo so...

Ci guardammo negli occhi e la situazione non si scioglieva....Come quando litighi con un amico e per un po’ tutto resta fermo. Era evidente che nessun di noi due avrebbe ceduto. Finché lui si è alzato. Lui, Silvio Berlusconi.

Le cose che le disse la ferirono?

Mi disse che quell’intervista sarebbe rimasta come una macchia nera nella mia carriera. Non lo so se è una macchia nera. Non credo, ma ci penso sempre. E’ una scena che non mi abbandona. Non so a cosa paragonarla. Ecco, forse è come quando sta deragliando il treno su cui viaggi. Cosa fai? hai trenta secondi per decidere cosa fare. Nelle ore successive, si scatenò un putiferio. Fui accusata anche da sinistra. Ma dopo tre giorni anche quella notizia diventò, come tutte le notizie, Old News.

Non è terribile questa legge che fa invecchiare e cadere in tre giorni qualsiasi notizia, anche la più catastrofica?

Quello che costruisci lo costruisci giorno per giorno, e non tutti i servizi e gli eventi sono memorabili. Alla fine quello che ricordi sono soltanto alcuni momenti. Penso a Lilli, a Lilly Gruber, e la vedo a Berlino nel 1989. Ed è così per tutti.

Che scenario si configura in Libia? Secondo la sua analisi, che fine farà Gheddafi e quale gioco sta giocando l’Italia?

E’ una “cosa” americana. L’ho scritto più volte. La Libia diventerà una specie di protettorato americano. Come abbiamo fatto gli Stati Uniti a conquistarsi rapidamente questa posizione non lo so. Su Gheddafi si tratta di decidere: vivo o morto, con quale parte della famiglia, dove, come....Per il resto la partita è già giocata. Per quanto riguarda l’Italia, Berlusconi avrebbe potuto rivestire un ruolo di mediazione. Ma è un ruolo che non può fare perché non gode del rispetto internazionale. La coalizione europea è dichiaratamente nord europea ma si muove sotto l’egida americana. L’Italia è tagliata fuori dalla partita. Anche a causa della non autorevolezza del suo premier. Draghi, Napolitano e Tremonti sono le uniche figure rappresentative a livello europeo.

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