sabato 19 febbraio 2011
David Lynch e Clint Eastwood: il segreto della Meditazione Trascendentale
Lo dice da anni: “Lascerò il cinema per la Meditazione Trascendentale”. Se leggessimo questa frase priva di contesti e di nomi, probabilmente penseremmo ai voli di Theo Angelopoulos o al ritmo lento delle stagioni di Kim-Ki-duk. Invece il richiamo ad una vita spirituale arriva dal più assiduo frequentatore delle tenebre, dal creatore di spaventose red rooms dove trovano cittadinanza desideri di morte e tortura, dal maestro dell’inconscio, David Lynch. Il regista americano pratica la Meditazione Trascendentale da trentasette anni e da cinque dirige la “David Lynch Foundation for Consciousness-based Education and World Peace”, con il compito di lenire e guarire certi traumi fisici e psicologici causati dal contatto con il pericolo (la strada, il campo di battaglia...) attraverso l’insegnamento della MT.
Nonostante l’impegno pubblico, non è inusuale che molti fans si presentino alle sue conferenze ignari di quello che li aspetterà: da qualche tempo, Lynch gira infatti con un neurofisiologo (all’occasione tira fuori dalla sua valigia di prestigiatore anche il compositore Donovan), assieme al quale racconta del funzionamento del “quarto stato della mente”: lo stato meditativo, che integra gli stati di veglia, sonno e sogno. Nessuna illuminazione sulla stanza rossa di Twin Peaks o sulla scatola e la chiave blu di Mulholland Drive (che peraltro, per sua stessa ammissione, pare non significhino niente di razionalmente comunicabile), ma un fiume di parole sull’antica conoscenza vedica: “Per usare tutto il cervello, devi trascendere...E’ un’esperienza olistica. Il cervello è attivo al cento per cento. Più sperimenti il campo unificato, e più la coscienza cresce, più questa condizione diventa duratura. Non avviene nel giro di una notte, ma giorno dopo giorno, sempre di più. La scienza vedica ha sempre sostenuto che questo campo esistesse e che si potesse sperimentare. Ora la scienza moderna, una scoperta dietro l’altra, sta confermando questa tesi” (David Lynch sulla MT).
Per chi non ha partecipato a queste conferenze, basta leggere il suo piccolo libro pubblicato in Italia nel 2006, appena riedito da Feltrinelli, In acque profonde (meditazione e creatività), per rendersi conto di quanto seria sia la faccenda. Qui non stiamo parlando di un’infatuazione, di una moda passeggera. di un gesto esoterico e spettacolare, ma dell’attraversamento di una soglia.
Per quanto ancora non universalmente nota, la relazione tra Lynch e la MT si sta facendo spazio nel nostro immaginario, in virtù dell’impegno pubblico del regista. Più segreta (almeno per noi europei) è invece la relazione tra Clint Eastwood e la pratica meditativa: esattamente come Lynch, Eastwood si concentra venti minuti la mattina e venti minuti la sera ogni giorno da circa quarant’anni, convinto di aver trovato la sua strada d’accesso alla creatività. “Per me ha sempre funzionato benissimo. Anche quando sto lavorando, trovo sempre il modo per praticare. Ho un comportamento quasi religioso nei confronti della meditazione, perché è un modo infallibile per trovare conforto in se stessi” (da un’intervista rilasciata da Clint Eastwood a GQ magazine nel dicembre 2009).
In verità, negli Stati Uniti Clint Eastwood rese pubblica questa sua scelta di pragmatico ascetismo nel 1970, quando si presentò al popolare Merv Griffin Show assieme a Maharishi Maharesh Yogi, il fondatore della Meditazione Trascendentale. In quell’occasione, Maharishi, “il guru dei Beatles” che negli anni Sessanta trapiantò in California gli antichi insegnamenti della meditazione indiana, sfoggiò una risata sana e contagiosa. Era un esserino piccolo, e allegro, Maharishi (è morto nel 2008 a 90 anni), curioso verso tutte le cose del mondo. La sua Meditazione Trascendentale è, non a caso, chiamata “l’arte della gioia”, essendo concepita come una tecnica di concentrazione attraverso la quale si arriva sentire “il fondo dell’oceano sotto il tumulto delle onde”. Democraticamente, può essere praticata da tutti, in seguito, ovviamente, ad un’iniziazione; dopo di che si rimane, felicemente, soli. Chi la conosce, sa che quaranta minuti al giorno bastano per smuovere senza traumi zolle profonde di terra. Anche le più dolorose, le più pesanti.
E’ per questo che il 13 dicembre scorso, a New York, Eastwood e Lynch hanno lanciato insieme un’iniziativa che promette di intervenire, grazie alla MT, sul PTSD (Post Traumatic Stress Disorder) di cui soffrono i veterani di guerra.
Perché la pratica della Meditazione Trascendentale porterebbe benefici su persone così seriamente ferite? In verità, non si parla di un rimedio miracoloso, ma di una semplice tecnica che, grazie ad un “suono-pensiero-vibrazione” (è così che Lynch chiama il mantra) permette di accedere ai livelli di sottili del pensiero e di trovare così quello stato di attenzione e tranquillità che serve non a ritirarsi in se stessi, ma ad abitare con coscienza il mondo.
In varie occasioni, il cineasta ha raccontato come fu proprio l’incontrato con la MT a decidere della sua arte. Le riprese di Eraserhead (la mente che cancella) durarono cinque anni. Senza un soldo, con un fallimento annunciato all’orizzonte, Lynch trovò nella meditazione l’energia e la concentrazione necessarie a terminare quello che poi lui stesso giudicherà il suo film “più spirituale”.
Spirituale Lynch? Sì, spirituale Lynch. Di una spiritualità diversa da quella sempre più fiabesca di Clint Eastwood. Nel suo ultimo film, Eastwood ci fa entrare con delicatezza nel regno dell’ Aldilà. Anche se la parola inglese che dà il titolo al film è più bella: Hereafter. Letteralmente “qui-dopo”.
Ed è, nella sua forma di composizione, un “qui-dopo” tutto il cinema di Lynch, che con il suono prima che con le immagini evoca inquietanti presenze calamitate in un vortice dove tempo e spazio si vampirizzano a vicenda. In uno dei suoi primi cortometraggi, Grandmother, vediamo un bambino umiliato da mostruosi genitori che sul suo bianco lettino semina un albero, da cui una notte uscirà una vecchia donna. Una volta ricongiunti, la nonna e il bambino, la morta e il vivo, si alleeranno difendendosi dal mondo di fuori. Sono racconti di “trapassatoi” e dispositivi d’apparizioni tutti i suoi sconvolgenti film, da Eraserhead fino all’ultimo, Inland Empire, dove la protagonista, Laura Dern, incontra gli spettri di un passato a lei sconosciuto negli antri angosciosi di Hollywood: “Amo vedere le persone emergere dalle tenebre – scrive Lynch - Ma nella vita amo le persone piene di luce. Siamo simili a lampadine. Se la beatitudine comincia a crescere dentro di te, è come una luce: ha un effetto immediato sull’ambiente circostante”.
(Pubblicato su "Gli Altri"
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