lunedì 24 gennaio 2011
Antonio Dietro: "I have a dream...io e Nichi"
Nella sede centrale dell’Italia dei Valori, a Santa Maria in Via, ci sono decine di giovani al computer. L’atmosfera è calma, nonostante tutta la mole di lavoro che li aspetta. Anche il loro presidente ci accoglie con tranquillità. Ci stupiamo che ci metta a disposizione un’ora e mezzo del suo tempo. I suoi assistenti giurano che non si ferma mai. Ma a lui sembra normale. Non gli va di passare per un fuoriclasse, uno snob, un maniaco del lavoro. Una delle parole che ripete di più è “umiltà”. Ecco, l’umiltà della persona è qualcosa che è sfuggita per anni alle telecamere. Antonio Di Pietro ha lo sguardo investigativo che tutti abbiamo imparato a conoscere in decenni di esposizione pubblica, ma dal vivo c’è qualcosa di diverso che non avevamo colto prima: una curiosità viva, una specie di combattimento interiore con l’interlocutore, colui che gli sta di fronte e che – come tipo psicologico e umano – gli parrebbe di riconoscere ma che al tempo stesso non vuole imbrigliare dentro un file multimediale da archiviare subito in un cassetto dei suoi. Muratore, poliziotto, magistrato, politico, sa di poter contare sulle esperienze acquisite nei vari campi della vita. Ciò nonostante, non si attacca ai ruoli rivestiti nel tempo. Il parere dell’altro sembra interessargli veramente: l’incontro è il suo modo per conoscere il mondo. Forse è per questo che ama così tanto i blog, l’“a tu per tu”.
Di Pietro, è vero che ha lavorato anche durante le vacanze?
Non è vero. Come sempre, passo il giorno Natale a Montenero, con la famiglia, anzi con coloro che sono rimasti della mia famiglia. Adesso devo fare una piccola tournèe per le città d’Italia per una serie di incontri...
Ma anche questo è lavoro. Quante ore dorme a notte?
Mi stresserebbe dormire le classiche otto ore solo perché vanno dormite. Vede, le persone mi vedono sempre un po’ passionale e interattivo, per questo pensano che io sia stressato. Invece sono solo partecipe. Non sono stato stressato neanche quando ho dovuto sostenere la legittimità dei miei atti, e mi capita spesso. Solo per farle un esempio, il 23 dicembre, alla vigilia di Natale, il giudice ha archiviato il procedimento avanzato dal pm su denuncia di Elio Veltri e Achille Occhetto, ritenendo corretta sia la posizione contabile sia il mio comportamento, e considerando “irrilevante la distinzione tra Associazione e Movimento Politico Italia dei Valori ai fini del soggetto elettorale avente titolo ai rimborsi”... Ecco, leggo dalla copia dell’archiviazione, la può tenere e ne può parlare sul suo giornale, dal momento che nessuno ne ha scritto.
Quando si è fatto riferimento ad una questione morale all’interno dell’Italia dei Valori dopo la lettera de De Magistris, Alfano e Cavalli, cosa ha pensato?
Non esiste nessuna questione morale all’interno dell’Idv. Stiamo solo parlando del comportamento amorale di pochi. Il nostro partito ha sempre espulso coloro che hanno avuto problemi giudiziari o di rappresentabilità. I due parlamentari che hanno “tradito” se ne sono andati proprio perché, a nostra insaputa, erano finiti sotto processo, e noi prima o poi li avremmo allontanati.
È pensabile che Scilipoti e Razzi, i due transfughi dall’Idv, dormano oggi sonni tranquilli?
Non avevo rapporti personali con loro, ma politici sì: stavano dentro l’Italia dei Valori da dieci anni. Erano più dipietristi di Di Pietro. Ad un certo punto hanno contratto la malattia e si sono venduti per trenta denari, ma solo per salvare la pelle.
Chiariamolo una volta per tutti: cosa pensa di De Magistris e quali sono oggi i vostri rapporti oggi? È vero che vuole prendere il suo posto?
Ci sentiamo venti volte al giorno. La vicenda è completamente chiarita.
Quel che si legge come una diaspora degli uomini dell’Idv, può significare dall’altro lato anche un’apertura al nuovo. Perdere pezzi della classe dirigente non è necessariamente un cattivo segnale, se il compito dell’Idv è guardare anche alla società civile, ai movimenti. È così?
Non c’è stata una vera e propria diaspora, e l’Idv è sempre più radicata nel proprio elemento. Negli ultimi decenni sono nate solo due realtà nuove: la Lega e l’Idv. Gli altri partiti, anche se con nomi diversi, sono il frutto della scomposizione e ricomposizione di realtà precedenti. Per noi raggiungere in dieci anni ventimila iscritti e un otto per cento dell’elettorato, è una cosa enorme.
Quello che è successo il 14 dicembre scorso in Parlamento, scatenando i relativi moti fuori dal Palazzo, difficilmente si può cancellare dalla memoria. Pubblicamente, la politica ha mostrato le sue viscere infette, la compravendita dei corpi, la ferocia di cui è capace. Qualcosa di peggio della legge della giungla. Dopo quello che si è visto, perché dovremmo credere ancora alla politica? Ce lo dica lei.
Bisogna ammettere che la legge della giungla ha creato tanti proseliti, e che oggi fa più paura il berlusconismo di Berlusconi stesso. Ad andare in metastasi è il sistema culturale del paese. Ci sono state molte persone che nel vedere la compravendita di parlamentari godevano assieme a loro. Ora, rispetto a questa metastasi del paese, sono tre le reazioni possibili: 1) chiudersi in se stessi (ma significherebbe che a scegliere non sei più tu, ma qualcun altro); 2) fare la presa della Bastiglia (che escluderei); 3) creare una alternativa di centrosinistra per evitare il ritorno al regime. Se questa alternativa non si coagula, si ritornerà al ’68. La violenza che abbiamo visto per le strade il 14 dicembre scorso (non giustificabile) non è la causa, ma l’effetto. Dobbiamo credere ancora alla politica, ad una politica senza compromessi, se non vogliamo abdicare al caos.
Quali sentimenti le suscita una figura come quella di Nichi Vendola?
È una figura positiva della politica riformista con cui bisogna confrontarsi e allearsi. È chiaro che né Antonio Di Pietro né Nichi Vendola possono avere l’arroganza di pretendere di essere autosufficienti. Dobbiamo avere l’umiltà di pensare che non tutto gira attorno a noi ed è indispensabile creare alleanze con altre forze politiche.
Sia da destra che da sinistra si tende a trattare il Pd come un unico blocco morto, “’na specie di cadavere lunghissimo” (per citare il titolo di uno spettacolo di Gifuni e Bertolucci). Ma è pur sempre un partito del 26 per cento. Sono cadaveri tutti quelli che ci stanno dentro?
Se rappresenta il 26 per cento del paese, vuol dire che c’è una parte del paese che non vuole il berlusconismo e si rifarà alle migliori idee liberali, laiche e popolari. È importante dare ascolto all’elettorato. Vede, fuori dal Pd e dentro il Pd si possono fare e dire tante cose diverse, ma per quel che mi riguarda aspetterò fino all’ultimo giorno utile per veder realizzare un’unica coalizione formata da Pd, Idv e Sel. Ogni giorno che passa è un giorno perso in cui qualcuno va a cercare la luna nel pozzo. Ma la luna nel pozzo non c’è mai stata.
E il terzo polo?
Il terzo polo si giustifica perché non sta né con la destra né con la sinistra. Piacerà o no ai deputati del Pd, ma all’ultimo momento Casini declinerà l’offerta.
Nel caso invece Casini non declinasse l’invito, l’Idv arriverebbe a prospettare le primarie anche senza Pd?
Le primarie hanno un valore solo se sono concepite come punto d’arrivo di un progetto comune di partiti e programmi. Bisogna pensarci bene a come fare le primarie; soprattutto nel caso in cui si andasse alle elezioni anticipate e si dovesse fare tutto in quaranta giorni, il rischio della farsa è alto. L’Italia dei Valori è comunque favorevole a trovare una soluzione in grado di rendere le primarie uno strumento effettivo.
Ecco, i programmi. Lei ha scelto di rivolgersi a tutti i lavoratori delle principali industrie e fabbriche italiane che oggi sono in difficoltà. Il tema del precariato è presente in molti programmi elettorali, non soltanto in quello dell’Idv. Lo chiedo a lei che si è sempre messo dalla parte del cittadino, del destinatario del messaggio: come fruitore di messaggi elettorali, come faccio io a distinguere il vero dal falso, l’intenzione propagandistica dal sincero coinvolgimento?
È come andare a Messa. Provi ad ascoltare l’omelia di un prete che racconta una storia a cui non crede neanche lui, e poi le parole di un missionario che conosce le cose di cui parla. Credo che non sia difficile percepire la differenza. È anche la storia personale di ciascuno di noi quella che più è in grado di raccontare un programma. Io ho cominciato da giovanissimo. Quando facevo il muratore, cercavo di fare il muro dritto. Quando facevo il poliziotto, cercavo di arrestare i delinquenti. Quando facevo il magistrato, mi sforzavo di accertare la verità. Adesso che faccio politica, cerco di difendere le classi sociali più deboli. Per sua definizione, la politica non può essere vista come un’attività imprenditoriale.
Guardando indietro, alla stagione di Mani Pulite e al ruolo inevitabilmente controverso che come magistrato ha assunto nella storia contemporanea italiana, c’è qualcosa che rivedrebbe?
Che possano esserci stati degli errori di valutazione, è nell’ordine naturale delle cose umane. È per questo che si prevedono, da che mondo è mondo, tre gradi di giudizio, perché sei occhi vedono meglio di due. In natura, sbaglia soltanto chi lavora. Solo chi non fa niente non fa errori. Per aver fatto un processo, io ne ho dovuto subire 352, di cui 320 come parte lesa e una trentina come soggetto indagato. E ho sempre vinto, considerando la vittoria non come una vittoria ai punti. Quello che non condivido è l’aver criminalizzato l’opera dei magistrati. Se ci sono stati dei magistrati criminali, è perché erano criminali prima che magistrati.
Nella tradizione di pensiero del centrosinistra, il garantisimo ha sempre avuto più diritto di cittadinanza del giustizialismo...
Il garantismo è la cosa più stupida che esista. Solo la garanzia è una cosa seria. Le garanzie processuali sono sacrosante e vanno rispettate. Mentre il garantismo, come tutti gli “ismi”, è una degenerazione culturale. Non si può, in nome del garantismo, non applicare la giustizia. Ogni tanto in carcere ci scappa il suicida. Ma cosa dovrebbe fare il magistrato? Per stare tranquillo, non dovrebbe più arrestare nessuno. Ogni volta che qualcuno si toglie la vita, è una sconfitta per le istituzioni, ma non può ogni volta il magistrato rinunciare a fare il proprio lavoro.
L’affermarsi di un immaginario berlusconiano è stato il frutto di un lavoro lento e meticoloso. Tra i modelli simbolici che si sono insediati nel paese, c’è un’idea di essere umano mai punibile (cosa che ci fa inorridire), che si può però anche tradurre facilmente nell’idea più accattivante di un uomo che, invece di essere colpevolizzato e spedito subito in prigione, può cadere facilmente in errore e arrivare quindi alla comprensione e al perdono da parte della comunità. Tutto questo noi non lo possiamo ignorare o archiviare sotto il file “sottocultura”. Abbiamo, invece, il compito di costruire un modello meno retorico e più sincero, ma di uguale peso simbolico.
Credo che la costruzione di un modello culturale alternativo abbia bisogno dei suoi tempi. Il modello del berlusconismo è entrato nell’immaginario collettivo anche per l’abuso che Berlusconi ha fatto dei mezzi di comunicazione. Non tutti hanno ancora capito che Berlusconi si è messo in politica per ragioni personali, per sfuggire alla giustizia. Anche il fenomeno del bullismo nelle scuole è figlio di questo modello basato su un’idea di incolumità e spregiudicatezza. Credo che ci vorrà molto tempo per fondare una nuova etica. Questo è il momento della semina. E poi, non lo dovrei dire io, ma una delle ragioni per cui una figura come quella di Vendola colpisce, sta proprio nel fatto che è in grado di incarnare l’idea di un sogno alternativo.
Un sogno che non soltanto demolisce, ma insieme fabbrica, guarda avanti...
All’interno dell’Italia dei Valori ci stiamo molto interrogando sul giorno dopo, sul day after. In effetti sentiamo anche noi questo compito: passare da modelli negativi da abbattere a modelli positivi da costruire. È per questo che abbiamo preso le difese degli operai della Fiom. Se si accetta questa involuzione nelle pratiche dei diritti civili e del lavoro, si finirà con l’accettare che le leggi del mercato si estendano non solo all’economia ma ad ogni sfera della vita sociale, ad ogni forma di coscienza. È un ragionamento che faccio da cristiano, non da comunista.
Nella sua amara lettera di dimissioni da direttore del “Riformista”, Antonio Polito ventilava “l’ultimo giro di valzer” per la carta stampata. Cosa significherebbe, per voi politici, la morte di questa tradizionale forma di dialogo quotidiano?
Io penso che con la tecnologia bisogna necessariamente fare i conti. Più si va avanti e più il sistema dell’informazione globale sarà travolgente e coinvolgente. Quello che non riusciranno a fare i politici e i giornali, riuscirà invece a fare la rete. No, non vedo in modo drammatico la trasformazione dell’informazione dalla carta stampata alla comunicazione “one to one”. Io sono stato tra i primi ad usare la rete, il blog. Detto questo, ogni mattina non posso fare a meno di comprare i miei dieci giornali quotidiani. Se non li leggo tutti dalla prima all’ultima pagina, non sto bene.
Pubblicato su "Gli Altri"
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