lunedì 28 giugno 2010
Fabrizio Gifuni: "Viviamo in epoca di post-genocidio”
Poteva diventare un divo. Ha scelto di essere un uomo. Come uomo, fa l’attore. Come attore, riporta in vita le parole dei nostri autori e le fa vivere in modo duraturo, drammatico, scorticante. In teatro, ha scolpito parola per parola l’universo di Pasolini e di Gadda. Al cinema, tutto lo ricordano per aver recitato ne La meglio gioventù. In tv, ha raccontato attraverso con il suo volto la vita di Alcide De Gasperi e di Franco Basaglia. Fabrizio Gifuni non è in senso stretto un interprete, ma un giovane adulto per cui la storia italiana ha un senso profondo. E’ sceso in piazza in difesa dei tagli alla cultura. Mica tanto per dire, ma per fare. E’ tutto fuorché un nichilista, non nasconde però di aver paura del presente. Per dire questa paura, si rivolge ai padri nobili, chiedendo, semplicemente, aiuto.
Quindi tu hai paura, come molti di noi….
Si, ho paura di quel che può succedere. Mai abbiamo passato un periodo così buio, opaco e pericoloso. Momenti come questi in genere preludono all’avvento di un nuovo corso, che potrebbe essere peggiore del ventennio appena trascorso. C’è la volontà di eterodirigere il corso della storia d’Italia, e di rendere indistinguibile una vicenda dall’altra, in modo che in questa palude non ci siano responsabili.
Il tuo intervento alla manifestazione nazionale del Pd ha dato a qualcuno l’occasione per attaccare l’uso dei termini “compagno e compagna”. Cos’è successo?
La ragione che mi ha portato a fare quell’intervento l’altra mattina risiede nella necessità e nell’urgenza che sento di testimoniare un malessere rispetto ad un certo stato di cose oggi in Italia. Ero stato chiamato da Bersani a pronunciarmi in materia culturale, e ho fatto un discorso a favore del senso da dare alle parole. Non posso perciò fermarmi sull’uso che qualcuno ha fatto del termine “compagno” e “compagno”. Perché non voglio contribuire al processo generale di svuotamento della parola, e del discorso. Se qualcuno vuole usare la mia espressione per beghe di partito o per scopi mediatici, faccia pure. Io però non voglio cadere dentro questa trappola.
Guardando da fuori la tua carriera, sembrerebbe che ad un certo punto sia scattato dentro di te qualcosa, come un avvertimento... come se Pasolini ti avesse parlato all’orecchio e ti avesse detto qualcosa di terribile e di innominabile.
In un’epoca in cui tutto va in una direzione contraria all’aggregazione collettiva, credo che diventi ancora più importante il valore della testimonianza individuale. Tutto è iniziato una decina di anni fa, quando, dopo aver lavorato come scritturato con grandi registi come Castri, ho sentito la forte necessità di fare il punto sul presente. Ho incontrato Pasolini - le Lettere Luterane, gli Scritti Corsari, le ultime interviste - e ho capito che l’esattezza e la profondità di quelle parole potevano servirci per capire quello che eravamo, cosa siamo diventati e in fondo cosa siamo sempre stati. Da queste riflessioni è nato Na specie di cadavere lunghissimo (regia di Giuseppe Bertolucci)…
Cosa farebbe Pasolini oggi, cosa direbbe? Tutti ce lo chiediamo, un giorno sì e un giorno no.
Credo che la risposta sia contenuta in quello che Pasolini ha scritto negli ultimi anni della sua vita. Oltre a tutto quello che si lega al mistero della sua morte, aveva detto chiaramente di non voler più stare in questo mondo. Perché non si riconosceva più. Non riconosceva più i corpi. Non aveva più interlocutori. Tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta, aveva visto quello che oggi è sotto gli occhi di tutti. Pasolini non aveva nessuna capacità profetica. Diciamo che sapeva leggere i segni. E attraverso la lettura dei segni, sapeva leggere il genocidio che si stava consumando in Italia. Oggi siamo in un’epoca di post-genocidio. E’ stata rubata l’anima di un popolo.
Forse non è inutile ricordare l’Idea che Pasolini aveva del “nuovo” fascismo: “L’Italia sta marcendo in un benessere che è egoismo, stupidità, incultura, pettegolezzo, moralismo, coazione, conformismo: prestarsi in qualche modo a contribuire a questa marcescenza è, ora, il fascismo”.
Si, Pasolini era convinto che questo nuovo fascismo sarebbe stato molto più pericoloso del fascismo che questo paese aveva conosciuto durante il ventennio, perché aveva a disposizione strumenti più sofisticati. Quando parlava di un nuovo potere che aveva sostituito quello di matrice clerico-fascista, parlava di questo.
Dopo Pasolini, è iniziato il corpo a corpo con Gadda. Stavolta una figura diversa, un conservatore illuminato…
Na specie di cadavere lunghissimo rappresentava la prima parte di un dittico che è stato completato dal lavoro su Gadda (ndr.L’ingegner Gadda va alla guerra, ancora una volta regia di Giuseppe Bertolucci), che ha appena debuttato e che girerà la prossima stagione. Per una mia passione personale, ho voluto accostare il pensiero di Gadda a quello di Pasolini. Fra l’altro, mentre delle parole di Pasolini si abusa quotidianamente, Gadda è un universo sorprendente per tutti. Non solo è il più grande scrittore del Novecento, ma rappresenta quello che ci piacerebbe fosse un vero uomo di destra, un vero liberale. Gadda pensava che ciclicamente il nostro paese fosse in grado di entrare ma anche di uscire dalle pastoie della Storia, e che l’uscita fosse qualcosa di indipendente dalle fedi messe in campo dalle persone in quel preciso momento storico.
Non è fatalismo questo?
Non lo è. Io, per esempio, non credo che la generazione che ha vissuto gli anni Sessanta e Settanta fosse una generazione migliore della nostra, che avesse maggiori meriti. Diciamo che si è trovata a vivere una determinata congiuntura storica.
Già, non è detto che noi quarantenni siamo inadeguati e deboli rispetto ai tempi. Forse è il momento storico che è inadeguato rispetto a noi…
Si, basta con la storia della nostra inadeguatezza. Molti padri non hanno fatto i padri. Pasolini lo dice espressamente quando ragiona sul teatro greco e sul tema dell’ineluttabilità delle colpe dei padri che ricadono sui figli. Nel momento in cui si sentiva di essere diventato padre spirituale, aveva fatto un atto di assunzione di responsabilità. Ma non l’ha fatta nessuno, tranne lui. Ecco, in questo Pasolini e Gadda erano molto simili. Hanno acquistato uno statuto morale solo dopo aver fatto a pezzi se stessi.
In che modo Gadda si è fatto a pezzi?
Aveva partecipato alla prima guerra mondiale da convinto interventista, pensando alla guerra come una sorta di prosecuzione naturale del Risorgimento. Come tutti gli altri ragazzi, ne uscì distrutto. Dopo di che, venne spedito nei campi di prigionia. Appena tornato a casa, gli comunicarono la morte del fratello. Queste le sue parole: “Sono un automa sopravvissuto a se stesso. Non scriverò più nulla. Spero che la mia vita passi più in fretta possibile”.
Dopo, però, scrive le sue opere più belle.
Gadda è costretto a scatenare una nuova lingua per reagire a quella morte in vita.
Anche tu hai avuto bisogno di una crisi profonda t per arrivare a scegliere il proprio terreno di “combattimento”?
Io sono partito dalla palude in cui mi trovavo a vivere, dal tempo che non ci siamo scelti. Ma dobbiamo vivere. Non solo dobbiamo vivere, ma dobbiamo farlo con un sentimento forte e propositivo. In questo senso, mi sento più vicino a Gadda che a Pasolini. Credo che ci sia la possibilità di reagire a tutto questo.
Al Valle, nella stagione prossima, era prevista una monografia dedicata al tuo teatro che comprendeva i lavori su Gadda, Pasolini, Dante e Pavese. Ecco, tutto questo il pubblico romano rischia di non vederlo, perché nel frattempo è stato soppresso l’Eti.
Si, a causa degli odiosi tagli contro la cultura, è stato trattato l’Ente Teatrale Italiano come se si trattasse del Club delle Giovani Marmotte. Questo è soltanto l’ultimo atto di una lunga serie di interventi fatti contro la cultura. Se vogliamo essere onesti, non possiamo non riconoscere che questa storia ha attraversato trasversalmente governi di centro-destra e governi di centro-sinistra, e parte da molto lontano.
Da dove?
Dal momento in cui si è cominciato a distinguere il tempo delle cose serie dal tempo libero. Tutta l’arte è sprofondata nel tempo libero, o almeno è così che oggi viene percepita. Nell’antica Grecia, andare a teatro era un atto civile. Mentre adesso viene concepito come puro gioco. Non si esce da questa pastoia convincendo gli altri che l’arte è anche mercato, e che in quanto prodotto culturale è vendibile e consumabile. La schiavitù del tempo libero coincide ora con la schiavitù del mercato. Bisogna cercare dei nuovi strumenti di lotta.
Non è difficile leggere una linea paterna (ndr, Gaetano Gifuni è il segretario generale del Quirinale), in questo tuo forte senso della storia e delle istituzioni…
Ogni persona è il frutto dell’ambiente in cui è cresciuto, e quindi mio padre ha avuto un peso significativo. Il fatto di essere stato abituato fin da piccolo a vivere la storia ed avvertire la presenza dello Stato, non poteva non influenzarmi. Poi naturalmente ho indirizzato tutto verso una mia linea artistica personale
Come ti comporti invece da padre?
Con Sonia (Bergamasco) abbiamo due figlie, Valeria e Maria, di 4 e 6 anni. Ogni giorno sperimentiamo nuove forme educative, cercando di seguire un po’ l’istinto un po’ la ragione.
La tv, gliela fate vedere?
Non ancora. Solo film di animazione. Ma fra un po’ dovremo farlo. Con il proibizionismo, non si va da nessuna parte. Tutto quello che possiamo mettere a loro disposizione è l’ironia e l’intelligenza, per cercare di smantellare quello che di regressivo e razzista arriva da fuori.
Scuola pubblica normale?
Sì, scuola pubblica normale.
Meno male…
Una delle due bambine fa lezione addirittura nella stessa aula della mia vecchia scuola (“Dante Alighieri”)…da questo punto di vista, per noi è cambiato poco rispetto a quando andavo a scuola io.
La storia d’Italia l’hai incontrata anche da interprete tv, quando hai raccontato, per esempio, la vita di Alcide De Gasperi…
Negli ultimi dieci anni, oltre ai progetti teatrali pensati fin dalle fondamenta, ho continuato a lavorare da interprete al cinema e alla tv. Scelgo i personaggi a seconda del mio orientamento civile ed estetico. Aver fatto De Gasperi non mi ha lasciato soltanto il piacere di raccontare certe pagine della nostra storia, ma molto di più, qualcosa che non si scrolla più di dosso.
Che segni ti ha lasciato invece il personaggio di Franco Basaglia?
Sono appena tornato da Shangai dove il film su Basaglia ha vinto il primo premio come miglior film per la tv (n.d.r, fiction di Rai Uno, regia di Marco Turco). Avevo da poco ritirato anche un premio a Montecarlo, sempre per la stessa opera… La rivoluzione che Basaglia ha fatto nel campo della psichiatria è stata una delle più grandi rivoluzioni sociali fatte in questo paese…Attraversare quel pensiero e quell’esempio, mi ha fatto sentire in un altro modo il rapporto con l’Alterità, con l’Altro da te, con l’Estraneo, lo Straniero…I manicomi sono stati chiusi, ma quel genere di mostruosità si presenta anche oggi, negli ospizi per anziani, o nei centri d’accoglienza per clandestini. Ogni volta che, per nascondere la nostra cattiva coscienza, alziamo un muro.
(Pubblicato su "Gli Altri" il 24 giugno)
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