giovedì 22 aprile 2010
Vinci, Matrix e la guerra
Dal carattere, e spesso anche dal nome, prende forma il destino. E’ un vecchio mito, particolarmente vero. Vinci è un nome da combattente. Il carattere di chi quel nome porta è sveglio e allenato al peggio: un uomo di nervi saldi e di mente razionale. Nel suo studio romano di viale Aventino, nella palazzina di Mediaset, Alessio Vinci, 42 anni, conduttore di Matrix, ha raccolto i cimeli del suo passato da inviato della Cnn. Valigie nere e pesanti, decine di accrediti stampa in tutte le parti del mondo: Giappone, Corea, Jugoslavia,ex Unione Societica, Berlino: “Queste sono tutte le storie che ho vissuto”.
Dalla sua scrivania, Alessio guarda ogni giorno un manichino con la tuta militare (creata appositamente contro le armi biologiche, chimiche e nucleari) dotata di giubbotto antiproiettile e maschera antigas. E’ quella che indossava ai tempi della sua missione in Iraq, quando lavorava come giornalista “embedded”: c’è scritto Vinci su una manica. Non bisogna essere Dostoevskij per vedere in quel manichino una specie di doppio, una figura che trattiene l’anima da esploratore di questo “ragazzo” di grandi qualità, un professionista molto invidiato e spesso criticato.
Nell’era del dopo Mentana, Vinci da più di un anno ogni entra nelle nostre case verso mezzanotte con una misura tutta sua, anglosassone e italiana insieme. La sua parola d’ordine è una sola, e se la detta da solo: “Calma”.
Vinci, cosa le ha dato e cosa le ha tolto “Matrix”? Com’era la sua vita prima?
Per dirla all’americana, prima ero un pesce piccolo in un grandissimo acquario, adesso sono un pesce più grande in un acquario più piccolo. Prima facevo l’inviato di guerra - ho seguito le storie più importanti di questi ultimi dieci anni - e avevo poco tempo libero per me stesso. Adesso seguo molto di più le storie italiane e continuo ad avere pochissimo tempo libero per me stesso. Quando facevo l’inviato, curavo un pezzo di tre quattro minuti, e la mia giornata finiva lì. Con Matrix mi sento costantemente coinvolto, sono sempre all’erta.
Come vive la notorietà?
Non posso negare che mi fa piacere se per strada mi fermano per farmi i complimenti. Per fortuna nessuno finora mi ha insultato!…Comunque, non sembra, ma io sono abbastanza timido.
Per la verità, un po’ sembra…
In tv, con i miei ospiti non sono timido. Cerco di essere rispettoso. Se inviti qualcuno, è perché lo vuoi fare parlare, perché vuoi saperne di più. Lo stesso chiede il pubblico a casa. Quello che pensa il conduttore è marginale.
Le sarà capitato di avere un’intuizione o un’opinione forte rispetto ad un suo ospite che è magari anche imputato in un processo. Come fa a controllarsi in questo modo, a non lasciar trapelare nulla?
Mi convinco che la star è l’intervistato, non l’intervistatore. E poi faccio un’altra cosa: mi immedesimo nella persona che sto per intervistare. Per esempio, nel caso di Alberto Stasi mi sono chiesto: come mi sentirei io se per due anni e mezzo fossi considerato dall’opinione pubblica l’assassino della mia ragazza? Come mi sentirei io se, appena assolto in primo grado, le persone continuano a pensare che sono l’assassino?
Quando, più di un anno fa, è arrivata la telefonata che le annunciava che avrebbe preso il posto di Mentana, quale è stata la sua prima reazione?
Un brivido lungo la schiena. Per due motivi fondamentali. Primo, la consapevolezza che si trattava di una offerta incredibile a cui era impossibile dire di no. Secondo: con Mentana avevo un rapporto non solo professionale ma anche di amicizia. E considerando che io ho pochissimi amici, per me era una faccenda delicata.
Perché ha pochissimi amici?
Per me “amico” è una parola importante che va usata con parsimonia. I veri amici sono delle persone con le quali discuti a livello profondo e vivi esperienze significative…Ci vogliono anni per creare un vero amico e per diventarlo.
Enrico Mentana era uno di questi suoi amici veri?
Diciamo che era un’amicizia legata alla professione. Io ero stato diverse volte e casa sua e lui era stato spesso ospite a casa mia, ma sempre di lavoro si parlava. E’ una persona che stimavo e che continuo a stimare molto.
Allora, ricordo di aver pensato: non vorrei essere al posto di chi eredita quel lavoro…. Diciassette anni di Mentana avevano comunque lasciato un segno forte, in un modo o nell’altro, nel nostro immaginario…
Quando sono arrivato, Mentana era già fuori. Se non avessero preso me, avrebbero preso un altro.
Cos ne è stato poi della vostra amicizia?
Si è intiepidita… era prevedibile che sarebbe accaduto. Matrix è stata la sua creatura e al di là di quello che Enrico possa pensare sul modo in cui io la sto portando avanti, questa sua creatura, posso capire che la senta ancora come sua.
Come è riuscito a conquistare la fiducia della redazione?
Facendo capire che questo nuovo Matrix non era il Matrix di Alessio ma di tutti quelli che ci lavoravano, del gruppo.
Lei ha spesso dichiarato di sentirsi un “marziano”. Un marziano però uno se lo immagina un po’ diverso, uno tipo E.T:, un essere che fa fatica a stare in questo mondo e per questo comunica solo con i bambini. Lei invece è stato sempre in prima linea, prima come inviato di guerra e oggi come conduttore di una delle più popolari trasmissioni d’informazione della tv italiana...Come misura il proprio grado di “marzianità”?
Quando dico che mi sento un marziano, mi riferisco soprattutto al mondo del giornalismo italiano, che devo ancora metabolizzare. Perché vengo da fuori, perché ci sono una serie di gerarchie da rispettare, perché sono una persona diversa rispetto al giro di giornalisti che “comandano” in Italia. Sono anche molto giovane. Per tutte queste ragioni mi sento marziano. E soprattutto ho ancora difficoltà a capire certi meccanismi. Mi diverto ancora molto a notare che sul Corriere della Sera, se io batto Vespa, si scrive che è il soggetto della mia puntata (e non io) ad aver battuto Vespa, mentre se accade il contrario è Vespa che ha battuto Vinci. Insomma, è come se Matrix fosse Matrix, mentre Vinci è una cosa a parte. Invece io le mie battaglie le faccio: a volte le vinco, a volte le perdo, ma fa parte del mestiere.
Come sceglie i suoi ospiti e come conquista la loro fiducia? Perché Stasi per esempio ha voluto parlare solo con lei?
Bisognerebbe chiederlo a Stasi…Quello che posso dire è che molti dei miei ospiti mi dicono più o meno tutti la stessa cosa, cioè che non si sentono mai inutilmente attaccati, che non si sentono trattati come merce di scambio, né coinvolti in un trucco….Un programma televisivo come Matrix per me è come un concerto: gli ospiti sono uno strumento, i giornalisti un altro diverso, e tu sei il conduttore. Non è obbligatorio che io suoni uno strumento. Io devo far suonare questi due elementi.
La sua frase ricorrente è “Calma, sennò da casa non capiscono niente”. Una “abitudine” abbastanza rivoltosa per la tv italiana…
E’ una frase che ripeto spesso perché la dico a me stesso. Se non capisco io, figuriamoci i telespettatori! Non bisogna mai dare nulla per scontato, bisogna ripetere tutto, dal nome dell’assassino al luogo dell’omicidio…Quando gli ospiti litigano e si beccano sulla macchia di sangue e sul dettaglio, la gente non ti segue più…In genere, tendo a dare spazio a tutti. Dopo di che, se c’è chi supera la soglia di decenza nei confronti di un altro ospite, sono costretto ad intervenire…
Ne deduco che in fondo lei non crede al fatto che in questo paese ci sia stata una trasformazione antropologica e genetica irreversibile, cioè che la Videocracy, la tv chiassosa, il pollaio come lo chiama lei, non abbiano rimodellato il volto e la mentalità di questo paese…che in fondo gli esseri umani sono fatti sempre allo stesso modo…
Questo paese è tante realtà diverse. E’ chiaro che quando fai una trasmissione come Matrix, parli a gente diversa per estrazione sociale e culturale. Poi c’è l’audience. Spesso se in tv si litiga lo share sale. Ma non sempre quando lo share sale significa che ci stai capendo qualcosa….L’importante è che all’interno della trasmissione ci sia un po’ di tutto, e non solo il litigio.. Tutti noi giornalisti abbiamo un compito preciso: quello di far capire quello che sta succedano attorno a noi.
Quando ha capito che avrebbe fatto il giornalista?
Da sempre. Il desiderio di viaggiare e di raccontare storie credo sia nato con me.
Giovanissimo, lei ha realizzato il sogno americano di molti giornalisti, entrare alla Cnn. Come è successo?
Molto semplicemente. Sono nato a Lussemburgo da genitori italiani, ma ho studiato a Milano. Dopo due anni d’Università, ho fatto uno stage alla Cnn ad Atlanta e ci sono rimasto a lavorare. Avevo ventidue anni. All’iniizo i miei genitori non l’hanno presa tanto bene…. andavo veramente molto lontano! . Non era ancora scoppiata la guerra del Gofo, e la Cnn non aveva la fama che ha oggi. Loro mi hanno messo nelle condizioni di andare, ma non capivano bene cosa facessi, anche perché all’inizio non apparivo in video e era difficile spiegare il lavoro dietro le quinte.
Quante lingue conosce?
Inglese, tedesco, francese e russo. Sono tutte lingue che hanno avuto un’importanza fondamentale nelle mie scelte. Per esempio arrivai a seguire la guerra nei Balani, perché già lavoravo nell’ufficio di corrispondenza di Berlino della Cnn (che copriva anche i Balani), e a Berlino non sarei mai arrivato se non avessi parlato il tedesco. Così come il russo, che ho imparato negli anni di corrispondente a Mosca, mi è servito poi per seguire la guerra in Cecenia…
In che circostanze le è accaduto di avere paura?
E’ accaduto spesso, ma me ne sono accorto sempre dopo. Sul momento mai.
Il momento più tragico?
Il 23 marzo 2003 a Nassirya. Quando siamo entrati, l’intelligence americana ci aveva detto che Nassiriya, essendo sciita, stava dalla parte nostra. Eravamo convinti che ci avrebbero accolti bene, invece hanno decimato i marines che io seguivo. E lì abbiamo visto di tutto: sparatorie, razzi, granate. Sono morti diciannove marines in tre ore. Ma neanche in quel caso ho avuto paura subito. In quei momenti è più forte l’adrenalina e la voglia di raccontare.
E’ sposato?
Ho una compagna con cui convivo e da cui ho avuto una bambina, che ora ha tre anni.
Quante ore dorme a notte?
Bella domanda. Ho sempre pensato che dormendo si perda tempo. In genere, non riesco a dormire se non ho finito tutto quello che devo fare. Per me una buona dormita c’è soltanto alla fine di un’operazione…Quando finiamo di registrare la puntata, torno a casa ma non riesco a prendere sonno.
Come vive le critiche?
Le adoro. Veramente.
Non si è mai sentito ferito dalle parole degli altri?
Mi infastidiscono le critiche senza cognizione di causa. Spesso chi critica lo fa un po’ per invidia un po’ per pigrizia. Per esempio, all’inizio sono stato accusato di fare puntate leggere, ed è una cosa che ancora dicono su di me benché di puntate leggere a Matrix non se ne vedono più da tempo.
Letture preferite?
La lettura approfondita dei giornali non mi lascia tanto tempo per il resto. Anche perché la sera quando non lavoro preferisco stare con mia figlia.
(Pubblicato su "Gli Altri", 23 aprile 2010)
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