
In controluce, c’è Fassbinder, la sua pietosa radiografia del cannibalismo dei rapporti umani (Un anno con 13 lune). In primo piano, un’attrice di spessore (Annalisa Zoffoli), che si affanna a rovistare dentro le cose dell’anima con una dolcezza allucinata e familiare al tempo stesso. Dietro le quinte, un burattinaio pieno di dubbi (Gaetano Ventriglia), uno che alla frase rotonda e al messaggio non ci crede. Il risultato è un kammerspiel di materia trans-lucida, che dispiega su un pavimento grande come stanza e misterioso come un universo, tante piccole epifanie cosali. In E’ fuggita l’estate recitano, nell’ordine: una papera-matrioska, una stellina di natale, un foglio di carta, un cappello, una pistola, una ruota. Insieme a loro, una giovane donna che è insieme il macellaio, la moglie del soldato morto, la modella, il poliziotto e l’amante. Questa giovane donna è stata inviata da un mondo siderale a studiare la vita sulla terra. Siccome apprende i comportamenti umani in tempo reale, proprio sotto i nostri occhi, si comporta come un piccolo Kaspar Hauser che non ha mai visto la luce del sole e che non sa cosa sia violenza ma è solo capace di giocarla, di agirla. Ed è in questo preciso interstizio di luce nerissima che l’emozione si deposita, al confine tra inumano e umano, nella sfera degli elementi “macchinici”, in quella che Remo Bodei chiama “la vita delle cose”: “Il significato di “cosa” è più ampio di quello di “oggetto”, perché comprende anche persone o ideali, e più in generale ciò che interessa e sta a cuore…Il privilegiare la cosa rispetto al soggetto umano serve peraltro a mostrare il soggetto stesso nel suo rovescio, nel suo lato più nascosto e meno frequentato”.
E’ fuggita l’estate è stato presentato al Teatro Argot di Roma in forma di studio, non per questo ha mortificato lo spettatore con quel tipico andamento punitivo e autoreferenziale che in genere caratterizza i “lavori in corso”. Al contrario, è passato come un piccolo fatto attorno al cui segreto vale la pena indugiare. In un battito accecante, ci ha mostrato il sangue, il dolore, l’abbandono, la morte, la violenza, e l’amore. Nessuna spiegazione psicologica, nessuna catarsi, ma una felice, fulminea immersione nell’orrore. Aliena la ragazza, alieno il mondo, alieni noi stessi: in istantanee kantoriane, abbiamo spiato il tenebroso fascino dell’uomo-animale, la fabbrica del mondo e la sua apocalisse.
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