sabato 17 aprile 2010

Fassbinder e Zoffoli, il mondo visto da un'aliena


In controluce, c’è Fassbinder, la sua pietosa radiografia del cannibalismo dei rapporti umani (Un anno con 13 lune). In primo piano, un’attrice di spessore (Annalisa Zoffoli), che si affanna a rovistare dentro le cose dell’anima con una dolcezza allucinata e familiare al tempo stesso. Dietro le quinte, un burattinaio pieno di dubbi (Gaetano Ventriglia), uno che alla frase rotonda e al messaggio non ci crede. Il risultato è un kammerspiel di materia trans-lucida, che dispiega su un pavimento grande come stanza e misterioso come un universo, tante piccole epifanie cosali. In E’ fuggita l’estate recitano, nell’ordine: una papera-matrioska, una stellina di natale, un foglio di carta, un cappello, una pistola, una ruota. Insieme a loro, una giovane donna che è insieme il macellaio, la moglie del soldato morto, la modella, il poliziotto e l’amante. Questa giovane donna è stata inviata da un mondo siderale a studiare la vita sulla terra. Siccome apprende i comportamenti umani in tempo reale, proprio sotto i nostri occhi, si comporta come un piccolo Kaspar Hauser che non ha mai visto la luce del sole e che non sa cosa sia violenza ma è solo capace di giocarla, di agirla. Ed è in questo preciso interstizio di luce nerissima che l’emozione si deposita, al confine tra inumano e umano, nella sfera degli elementi “macchinici”, in quella che Remo Bodei chiama “la vita delle cose”: “Il significato di “cosa” è più ampio di quello di “oggetto”, perché comprende anche persone o ideali, e più in generale ciò che interessa e sta a cuore…Il privilegiare la cosa rispetto al soggetto umano serve peraltro a mostrare il soggetto stesso nel suo rovescio, nel suo lato più nascosto e meno frequentato”.
E’ fuggita l’estate è stato presentato al Teatro Argot di Roma in forma di studio, non per questo ha mortificato lo spettatore con quel tipico andamento punitivo e autoreferenziale che in genere caratterizza i “lavori in corso”. Al contrario, è passato come un piccolo fatto attorno al cui segreto vale la pena indugiare. In un battito accecante, ci ha mostrato il sangue, il dolore, l’abbandono, la morte, la violenza, e l’amore. Nessuna spiegazione psicologica, nessuna catarsi, ma una felice, fulminea immersione nell’orrore. Aliena la ragazza, alieno il mondo, alieni noi stessi: in istantanee kantoriane, abbiamo spiato il tenebroso fascino dell’uomo-animale, la fabbrica del mondo e la sua apocalisse.

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