sabato 5 dicembre 2009
La favola di Emma
E’ sicuramente una favola, ma con le sue strane, ispide varianti. La protagonista è una ragazza dura che affascina per le cose che dice e che pensa. Viene dal profondo Sud e nella sua Palermo ha dovuto lavorare per anni in condizioni precarie, nel centro sociale ex Karcere. E anche oggi che ha aperto una spazio alla Zisa, il suo nuovo spettacolo non debutta comunque nella sua città, ma a Napoli. Questa ragazza, un giorno, viene chiamata alla Scala di Milano, non a fare la ballerina (come vorrebbe la favola classica), ma la regista, cioè la creatrice dello spettacolo inaugurale, la temibile Carmen di Bizet, un’opera-mondo che lei, senza farsi intimidire, non leviga né edulcora ma converte al proprio immaginario, piazzando sulla scena una croce che sta sempre per cadere e i suoi mimi-attori dai forti connotati antropologici: debutto 7 dicembre. I giornali palermitani titolano: nemo profeta in patria. Grande Emma Dante. Ha poco più di quarant’anni e, con la forza del suo lavoro, si conquista una delle vetrine più lussuose e internazionali d’Europa. Una donna che prende il ruolo tradizionale di un uomo. Dialogando con altri uomini, tra cui il direttore d’orchestra Daniel Barenboim, da pari a pari. Senza troppe carinerie. Perché Emma Dante, bisogna ammetterlo, non ha mai usato la simpatia come strumento di comunicazione. Lunatica, ispida, inflessibile (è di quelle persone che, a qualunque ora, al telefono ti rispondono sempre scocciate, come se avessi appena svegliato una diva che stava dormendo), si rivela però una persona generosa se riesci a trovare un filo di connessione che non debba per forza essere benevolente nei suoi confronti, ma sincero sì. La sua favola moderna e un po’ gotica si è nutrita degli odori e delle camminate sghembe della Vuccirìa, dove Emma si è persa mille volte per trattenere nella mente il ritmo ancestrale delle figure che andava disegnando, per farci ridere e stordire, piantando sulla carne dei suoi meravigliosi attori l’assurdo velenoso di un mondo che è decisamente tragico. Come la terra che l‘ha partorita e da cui non si è mai staccata: Palermo grande madre dai fianchi larghi e dalla parlata inconscia, città di corpi bucati dal vento di scirocco; Palermo che scrive una litania assordante nei passi lenti dei giorni e delle notti. Per chi è nato in Sicilia (anche noi ci siamo nati, come Emma), è difficile evadere dalla sua linea d’ombra, anche se fa male stare sempre esposti alle passioni.
Un Sud misterioso, ferino, irriducibile che è fatto di madri cattive e cannibali (anche e soprattutto quelle di mafia) e di donne scorticate, come Le Pulle - le prostitute, trans e travestiti che, in un bordello dalle tende damascate, contemplano madonnine vestite di piume di struzzo – ma anche di uomini soli - come il protagonista di Acquasanta, che di fronte al porticciolo di Palermo, guarda il mare ricordando la sua vita di uomo di mare. E’ a questo universo carnale che la regista-drammaturga non ha mai smesso di volgere lo sguardo, con una coerenza stilistica che è stata premiata e l’ha portata fino alla Scala di Milano, dove lunedì debutta questa sua Carmen violenta imparentata non solo con Siviglia ma con un’idea di Sud profondo: “Ho letto Nietzsche e soprattutto i Greci –ha dichiarato l’artista palermitana - perché quest’opera clamorosa, enorme, grandissima, ha molti legami con l’antichità, e reca in sé tanti mondi diversi, non solo la Spagna, ma pure la Francia, l’Africa, il Sud America. Quello di Carmen è un mondo femminile atroce, dove le donne sono guerrigliere e la zingara sgozza un uomo senza neanche pensarci un istante”.
Ecco, questo è il tratto creativo di Emma Dante che più ci interessa: l’irriducibile asprezza, l’ audacia nel mettere le mani nel sangue e nella carne della storia. “La carnalità è l’elemento più importate del mio teatro – ci aveva detto recentemente nel corso di un’intervista – Ogni parola che l’attore pronuncia è generata dalla sua carne. Non è mai una parola detta, ma un balletto, ma un’esibizione gestuale. Ha a che fare con qualcosa di peccaminoso, di sconcio. L’attore va a sporcarsi al posto nostro, mettendo a nudo il nostro sudiciume e le parole che ci portiamo dentro”.
Non sono tanti coloro che potranno vedere la Carmen di Emma Dante: per fortuna a gennaio l’Eti-Teatro Valle di Roma le dedica una delle sue monografie d’artista. Per quasi un mese, il pubblico romano potrà immergersi nelle sue epifanie terrestri, sintonizzandosi con le vite di quei personaggi che vivono al livello più basso della condizione umana, da Le Pulle fino a Vita mia e Acquasanta, arrivando però alla fine a dire sì alla vita: “I miei personaggi non sono strettamente neanche sottoproletari, ma sono resti di qualcosa, incompleti sempre. Non hanno nessuna parentela umana, e non per questo sono peggiori di noi. Al contrario, nonostante tutto, hanno ancora voglia di esserci”.
Pubblicato su "L'Altro" il 5 dicembre 2009
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