mercoledì 2 dicembre 2009
Ragazze, la vita trema
“E’ un film per donne, non possiamo produrlo…e per farvi pubblicità contattate le riviste femminili”: è quello che Rai Cinema avrebbe detto a Paola Sangiovanni e Laura Cafiero, regista e produttrice di un bellissimo film documentario, Ragazze la vita trema, sulla grande stagione del femminismo romano, presentato quest’anno al festival di Venezia e oggetto di una serata speciale al Cinema Farnese organizzata dalla Provincia di Roma (e in particolare dall’assessore Cecilia D’Elia), in occasione della Giornata Mondiale contro la violenza sulle donne.
Dietro quest’ affermazione apparentemente innocua, banale, e a suo modo esplicita – “un film sul femminismo è un film per donne “, si cela un pensiero che non abbiamo paura a definire violento, e su cui vale la pena soffermarsi, a poche ore dalla grande manifestazione di domani.
Violenza è, indubbiamente, l’omicidio, lo stupro, lo scempio di un corpo violato, martoriato. Violenza è quella che gli uomini esercitano contro le donne dentro le case: violenza fisica, sessuale.
Poi c’è la violenza più impalpabile che l’altra violenza, quella sui corpi, rende possibile. E’ la violenza che si allea con le forme del potere, assestando le dinamiche del proprio successo e della propria forza su una miriade di piccoli sacrifici quotidiani. E’ l’abuso dei molti sui pochi, che trova alleanze silenziose e sorrisi complici negli innumerevoli gesti della micro-storia. “E’ nella natura di un gruppo e del suo potere rivolgersi contro l’indipendenza, che è proprietà della potenza individuale. … – scriveva Hannah Arendt in Sulla violenza – nel linguaggio quotidiano usiamo spesso la forza come sinonimo di violenza, specialmente se la violenza serve come strumento di coercizione”.
Immaginiamo la scena: due donne, un’artista e una produttrice, vanno a chiedere un sostegno per il loro film, entrando in uno dei luoghi deputati alla promozione della cultura. Sono convinte, queste due donne, che il loro documentario abbia un valore culturale, che vada visto da tutti. Invece la risposta è: rivolgetevi alle riviste femminili. Lo si dice con convinzione. Senza riconoscere di esercitare il male (lo sappiamo ormai quanto è banale, il male). Obbedendo ad una formula cinica, tipica della società degli uomini, che le loro compagne spesso sottoscrivono: questo è mainstream e questo no, e chi vuoi che se ne freghi di quattro signore che andavano alle manifestazioni nel Sessantotto. Che il ghetto si rivolga al suo stesso ghetto, e non ci molesti con le sue storie tinte di rosa….
Già.Perché, a causa di una colpevole “svista” del pensiero a breve durata, la testimonianza di quattro donne su quello che è stato ed è diventato il femminismo, è considerata “roba da femmine”.
Non importa come è fatto questo film, che volti narra, che parole nutre. Si ha fretta di decidere se dare o no i soldi in base al tema: bocciato, promosso, tre stelline, quattro stelline., marchio d’infamia. Entri il prossimo.
E se non è violenza questa, una violenza che tutti contribuiamo ad esercitare tutte le volte che giudichiamo in fretta mettendoci dalla parte dei più forti, allora che cosa è?
Ma veniamo al film, che rischia di finire nel macero delle quote rosa.
Sarebbe da rotocalco femminile la testimonianza di Alessandra Vanzi, nota attrice dell’avanguardia romana, che con lentezza racconta la violenza sessuale subita a undici anni ad opera di due ragazzi, è da rotocalco l’immagine della stanza in cui fu costretta ad entrare, il vuoto improvviso di memoria (“non ricordo se c’era o no una festa di là”), la calma terrifica con cui confessa: “questa cosa mi ha reso schizofrenica. E’ una cosa che non ho mai detto. Riesco a dirla solo adesso”?
Dovrebbe finire nella rubrica dei “consigli del cuore” il momento in cui Marina Pivetta cerca di descrivere la durezza maschile di una società, quella degli anni Cinquanta e Sessanta, che seviziava le ragazze dentro i tailleur, impedendole di unirsi ai ragazzi, ostacolandone l’intelligenza, la capacità di creazione: “Ci vestivamo come delle adulte. Non eravamo spontanee mai. Era pensare un pensare al tuo corpo in un modo ossessivo: in questo modo non puoi dimenticarti del tuo corpo mai”?
Sono le immagini d’archivio a dare concretezza epifanica a quelle sue parole.
Il divieto di esistere, l’autorità dei padri e delle madri, l’essere considerati niente, poco più che cosa, l’invidia che si provava verso i fratelli maschi, l’incapacità di parlare con una voce che possa dirsi propria, il desiderio di farcela, senza innescare altra paura, per non farsi suicidare dalla società.
E poi, poi la rottura, la rivoluzione. Si entra all’Università, si indossa l’eskimo, si combatte per le grandi conquiste civili a fianco dei radicali, si creano i primi collettivi femministi, e si sfidano gli sguardi dell’autorità. I racconti ipnotici, profondi, di Alessandra Vanzi, Marina Pivetta, Liliana Ingargiola e Maria Paola Fiorensoli, fluiscono nelle immagini di repertorio, e la grana di questo doppio film diventa sempre più densa, ombrata, piena di felicità e di dolore.
Sì, la vita ha fortemente tremato, in quegli anni che oggi ripercorriamo grazie alla sensibilità registica di una donna che allora era solo una bambina, Paola Sangiovanni. Poi la morte di Giorgiana Masi, era il 12 maggio del 1977, ha diffuso la paura. La marea si è ritirata. Ed oggi, che facciamo noi oggi? Non stiamo forse vivendo un nuovo clima di restaurazione? Non siamo più costrette a portare i tailleur stretti e a guardare in basso quando incrociamo lo sguardo di un uomo, ma la minigonna che oggi possiamo liberamente portare è diventata di nuovo un marchio d’infamia, il sintomo di un invito alla violenza e al disprezzo. Il corpo della donna viene macellato e scomposto in dettagli anatomici ogni giorno in tv e per strada. Nessuno dice niente. Il pensiero delle donne viene tenuto in frigorifero. Nessuno dice niente.
Negli anni Settanta queste bellissime donne occupavano una palazzo a via del Governo Vecchio. In pochi giorni, tutte andarono a trovarle, madri, figlie, sorelle, per parlare, per proteggersi, per agire insieme. “E’ stato un periodo di vita così entusiasmante, rivoluzionario nel vero senso della parola, laddove per tappe ottieni mutamenti, e mutamenti durevoli, che hanno cambiato il vostro delle nostre vite che del paese in cui vivevamo e in cui viviamo” dice Viviana.
Questo potente film che non ha ancora una distribuzione ce l’ha fatto sentire tutto, il terremoto della rivoluzione. Ragazze, la vita ha veramente tremato. E chiede di tremare ancora. Oggi, proprio oggi.
Pubblicato su "L'Altro" il 27 novembre 2009
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