venerdì 11 dicembre 2009

ArgillaTeatri, dalla strada al salotto: riflessioni intorno al concetto di “classe”


Negli anni Settanta, facevano teatro di strada. Il loro riferimento era allora, come ora, Eugenio Barba, ovvero il guru di un teatro aperto, politico, incisivo, un teatro antropologico, che presupponeva un rapporto vivo con la collettività e con il territorio. ArgillaTeatri è nata così, e vale la pena ripescare alcuni frammenti della loro storia per capire quanto fosse disperatamente “non borghese” ogni loro gesto artistico. I laboratori in India e in Tibet, le performance in luoghi inusuali della capitale, l’attività di ricerca all’interno delle biblioteche di Cinecittà e Quadraro, le collaborazioni con artisti del Living e dell’Odin, sono alcuni dei movimenti che nel tempo hanno fatto di una compagnia dal nome morbido un fortino del pensiero combattente: “ArgillaTeatri nasce dall’esperienza di Lanterna Rossa che, dapprima come centro di aggregazione politica, poi come teatro autogestito, ha rappresentato negli anni Settanta e Ottanta uno dei primi esperimenti di teatro globale, ma soprattutto l’affermazione che il teatro reale si pone libero dai vincoli di classe, consentendo a ciascuno la possibilità di affrancarsi dalla strada segnata dalle condizioni sociali” si legge nel loro manifesto.
Bene, di tempo ne è passato e le metamorfosi sono spesso segni di vitalità e capacità di adattamento. Però colpisce profondamente il fatto che oggi Argillateatri operi in una piccola sala di un albergo lussuoso della via Flaminia, l’hotel River Chateau. Al cospetto di una borghesia (ma anche di una nobiltà) di quartiere agghindata come nei giorni di festa, la compagnia si è esibita nella lettura musicata e danzata del “Minotauro” di Durrenmatt, voce recitante Ivan Cozzi, contrabbasso Daniele Roccato, danzatrice Cinzia Ana Cortejosa. Sotto l’impulso potente, visionario, del contrabbasso che oscillava da pezzi classici (Bach) a brani scritti dallo stesso Roccato, la storia tragica del Minotauro, metà animale e metà uomo, ingannato da Teseo, perso in un labirinto di specchi, prendeva una propria vita, creando anche momenti di intensità, sottolineati dai movimenti lenti e ampi della ballerina di flamenco. Un reading che sarebbe stato perfetto per i Giardini della Filarmonica e che invece, curiosamente, si stendeva sulle pareti basse e un po’ claustrofobiche del grande hotel romano.
Non c’è giudizio in queste note, ma solo il segno di una riflessione sui tempi. Ivan Cozzi e Isabella Moroni (i fondatori dell’associazione Argillateatri) sono stati contenti della serata, ed è giusto che si sia riconoscenti nei confronti di chi ci accoglie e ci ospita. Ma la scena a cui abbiamo assistito è, quantomeno, ambivalente. Artisti di strada imparentati con Eugenio Barba, capaci di fare un teatro sempre animato da un discorso di classe e contro le classi, si trovano oggi a parlare ad una classe che certamente non è la loro e che forse nel passato avrebbe rappresentato il nemico di classe, una classe che però, a differenza di altre classi sorelle, si mostra più solidale e sensibile al lavoro degli artisti, che fa quello che può, compreso offrirgli una sala oppressiva e tutta sbagliata di un grande hotel pieno di ricchi turisti annoiati.
“Libero dai vincoli di classe” era il teatro che i nostri artisti facevano negli Settanta e Ottanta, un teatro colorato, festoso, doloroso, necessario, che coinvolgeva i lavoratori. Un teatro aperto e all’aperto, che oggi a malapena respira dentro una maschera da subacqueo e, timidamente, si accontenta di uno spazio qualsiasi per darsi ancora una prova della propria esistenza.
La questione non riguarda solo ArgillaTeatri, ma tutti noi. E’ un affare politico e culturale.
Dirò di più. Se questi bravi artisti di strada hanno accettato, col sorriso, di fare i loro spettacoli in un luogo così singolare, perché non seguirli in questa loro avventura? Sarebbe sintomo di immaginazione viva, di scelte non conformiste, di una intelligenza non mortificata dalla retorica, presentarsi il 22 dicembre all’Hotel River Chateau, scendere le scale e sedersi ad ascoltare “Les canciones Espanoles Antigas” di Federico Garcia Lorca: Maria Grazia Calandrone voce recitante, Daniela Ferri soprano, Luigi Ara alla chitarra.
(Per informazioni: argillateatri@gmail.com)

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