martedì 27 ottobre 2009

Il libro di Scarpellini sulla perdita della realtà


Le immagini si schiantano nel proprio vortice: esplosioni, fiamme, corpi che seducono e corpi che cadono, senza attrito: sacrifici estetici, che saturano la vista e fanno scivolare nelle vene una droga visiva capace di uccidere lentamente. Il condannato (lo spettatore) ne chiede ancora e ancora. A tutti piace vedere la morte bella, e nessuno pensa che sta fissando la propria. Perché l’uomo che precipita dalle Twin Towers con le gambe ad angolo non è vero, le fiamme non sono vere, e neanche gli aerei. Il montaggio delle attrazioni non ha fine e invece di perpetuare “la guerra con altri mezzi” si riproduce solo “lo spettacolo con altri mezzi”. Le emozioni si ibernano, il ritmo è tutto, e chi se ne frega degli altri: gli altri non sono che figurine di un cielo iper-sonorizzato che dispensa morfina colorata. Una pletora di esteti nichilisti maniaci pazzi e incoscienti grida al capolavoro (Stockhausen parlò di “perfetta esecuzione” il giorno dopo la caduta delle Torri): alla fine, non c’è guerra né realtà, ma solo sguardo accecato. Il libro di Attilio Scarpellini, saggista e critico teatrale, L’angelo rovesciato - quattro saggi sull’11 settembre e la scomparsa della realtà (Edizioni Idea, 18 euro), si pone con lucidità e pìetas un problema ineludibile – la sparizione della realtà, appunto – che forse proprio in quanto ineludibile viene eluso da tutti: non una parola da parte dei grandi giornali (e neanche dei piccoli), non un cenno dai colleghi. E allora noi ci chiediamo: di che cosa si occupa in Italia la critica, quali eterni favori è intenta a scambiarsi, da quanto tempo non cerca per conto suo anche tra le case editrici piccole un guizzo, un’infrazione alla norma, un pensiero costruttivo che non flirti con il girotondo dissanguato delle immagini e delle parole isomorfe alle immagini?
Ecco, L’angelo rovesciato non è isomorfo ai mondi che descrive, non cerca la scorciatoia del tono sdegnato ma parte da una cura antica del dettaglio, si appoggia ad una scrittura sapiente - tra critica letteraria e reportage -, per avvistare in luoghi tra loro non omogenei tutti i riusciti tentativi di osmosi tra arte e crimine.
E sono di volta in volta la fotografia, il cinema, la letteratura, la performance, il teatro della realtà, gli oggetti dell’indagine filosofica di Scarpellini, volta a catturare quel punto di sutura e di nullificazione, l’accecamento dello sguardo mimeticamente addossato alla cosa mostruosa che guarda. Citando Paul Virilio, l’autore identifica nella “sparizione” “l’emozione sovrana dell’epoca”, là dove l’arte e il terrore si identificano. Sull’onda del pensiero di Camus e Malraux, puntualmente cerca i resti dell’umano nella mutata condizione umana.
Folgorante la riflessione su quelle avanguardie che in molti casi flirtano con il potere, in nome di un nichilismo estetizzante che annulla la “presenza” degli altri, issando sull’altare l’eterno spettacolo della morte. Un po’ come accade con il denaro, che si pasce di se stesso. Ed è curioso che, viaggiando con la mente, Scarpellini legga in Alexsandr Sokurov ( e non per esempio in Ken Loach), raffinato orchestratore di dispositivi cinematografici capaci di abitare le stanze del potere e i movimenti dell’occhio interno (Arca russa, Il sole), una fibra militante: “Al lato opposto del prodotto visivo- è il regista russo a parlare - l’arte comincia dove c’è la coscienza, anche politica, del ruolo dell’arte stessa. Senza questo filtro interpretativo, il male diventa incontrollabilmente affascinante e seduttivo”.
Ora, questo libro importantissimo rischia di finire ingoiato dallo sguardo opaco di una civiltà morente che, nella furia di assimilare e abbellire lo sterminio del reale, perde i dettagli, i corpi e i gesti dei vivi, i sintomi di “un pensiero veramente pensato” (Heidegger) che non può che produrre un movimento di decelerazione. L’angelo rovesciato è una raccolta di saggi (alcuni inediti, altri giù pubblicati su riviste come “Nuovi Argomenti”), che contiene riflessioni degne di Guy Debord, eppure nessuno ci fa caso, e non solo perché l’autore in questione non va in televisione. Basta dare la colpa alla televisione. Il problema non è della televisione, ma dell’apatia dei singoli e dei gruppi, della mancanza di pensiero autonomo, della febbre del consenso di chi pratica, per ruolo riconosciuto e contrattualizzato, il dissenso culturale. Questo accecamento non è solo dei media e della critica, ma anche dell’arte stesa, come racconta con competenza anacronistica Attilio Scarpellini. Il suo non è un libro di denuncia, eppure quanto brucia questo pensiero militante. Non è un volume che parla di politica eppure sì che fa politica. L’angelo rovesciato è un’opera che riattiva il piacere conoscitivo di chi legge, perché fa scorrere tra le sue pagine il suono silenzioso del pensiero di chi scrive. Ma i nostri critici sono troppo occupati a rafforzare “il circuito integrato della cultura”, a guardare da tutte le parti e da nessuna, per essere capaci di leggere, con pazienza, un libro come questo che, essendo dotato di corpo e di ombra, è poco assimilabile ala circolazione euforica degli oggetti senza peso: “Il vero modello è l’assorbimento dello sguardo nel flusso delle reti – scrive Scarpellini - dove ogni banalità è sorretta e legittimata dallo sguardo complice degli altri (riceventi ed emittenti, fruitori e creatori a un tempo) e ogni oggetto diviene “concettuale” solo in virtù della sua messa in connessione”.


Pubblicato su "L'Altro" il 25 ottobre 2009

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