sabato 3 ottobre 2009

Il teatro filosofico di Juan Mayorga


Una parola veloce per dire la relazione antica: “Swap”, lo scambio simbolico, si innesta nel mezzo della polis, mentre la sfida del contemporaneo non gioca tanto gioco astratto dei nuovi media quanto quello corporeo del teatro. La tredicesima edizione del festival “Quartieri dell’Arte” (diretto da Gian Maria Cervo e Alberto Bassetti) è dedicata al tema dello scambio. Scambio di lingue, di culture, di immaginari, ma soprattutto di identità, nel tentativo di sabotare il pregiudizio assiomatico del “ruolo”. Chi è l’autore e chi lo spettatore? Chi il critico e chi lo scrittore? Che esperienza facciamo del tempo ogni volta che ricostruiamo le scene di un’opera drammaturgica? Questo è un festival fatto di domande, questioni dettate e ricreate dall’esperienza percettiva che si crea nella relazione tra i vari “attori” dell’evento teatrale. E c’è molto da imparare dall’ultima opera dello spagnolo Juan Mayorga, Se sapessi cantare mi salverei, presentata in anteprima mondiale a Viterbo, con la regia di Adriano De Santis.
Nella biblioteca minuscola e tenebrosa dell’ex tribunale di Viterbo, alla presenza di soli venti spettatori, Francesco Brandi e Vito Mancasi danno vita ad un kammerspiel che mette a nudo la natura teatrale di ogni atto fenomenologico. Nella pièce, un drammaturgo reduce da un successo a teatro, vìola la stanza segreta del più importante critico di teatro, chiedendogli di assistere all’atto della scrittura: Scarpa (questo il nome dell’autore) vuole “vedere” Volodia mentre compone la recensione dello spettacolo a cui ha appena assistito e che detterà di lì a poche ore al suo giornale. La faccenda è profonda e complicata: sarebbe semplice dire che il drammaturgo vuole prendersi una rivalsa sul critico, che negli anni l’ha stroncato, riconoscendone delle doti ma giudicandolo alla fine incapace di creazione originale. Il supplizio reciproco a cui recensore e autore si sottopongono ci fa pensare che le due voci non sono che facce di uno stesso prisma, e che la materia vera dell’opera non è il sentimento di rivalsa, né la vendetta, o il tradimento, quanto il dispositivo scenico che è dietro ogni atto percettivo. Scarpa dichiara, ad un certo punto del dialogo, di aver osservato tutto il tempo Volodia seduto in platea, per leggerne il volto e la prossemica. Era quello lo spettacolo a cui lo scrittore voleva assistere, e non la messa in scena della sua stessa opera. Dal canto suo, il critico confessa di aver bisogno, per vivere, del drammaturgo. In mezzo a loro, il fantasma di una donna, un oggetto del desiderio su cui le due menti si incontrano: nell’atto di immaginarla e narrarla, ciascuno a proprio modo, Scarpa e Volodia nominano alla fine la natura teatrale della conoscenza.
Filosofo e matematico, studioso di Benjamin, Juan Mayorga non è solo un autore di teatro, o lo è nella misura in cui attraverso la parola drammaturgica si interroga continuamente sul nostro modo di percepire e di conoscere: non solo a teatro ma anche nella vita e persino quando nel silenzio della nostra stanza diamo vita allo spettacolazione della scrittura e della lettura. Viene in mente Goethe quando parlava di “teatralizzazione” della solitudine, sostenendo che ciascuno di noi non è mai veramente solo ma sempre attore e spettatore di una scena interiore. “Il teatro non accade in scena, ma nell’immaginazione di ogni spettatore..E’ quello il lavoro importante. Quando Scarpa entra nella stanza del critico, quello che vorrebbe fare veramente è aprirgli la testa e il cuore per vedere cosa veramente succede lì dentro” dichiara lo stesso Mayorga, che dopo aver assistito allo spettacolo (che ha giudicato “immaginifico”) ha incontrato il pubblico, accanto a Franco Quadri (critico di “Repubblica” e direttore della Ubulibri, editore italiano di Mayorga).
Il Festival “Quartieri dell’Arte” prosegue fino al 10 ottobre, tra Viterbo, Caprarola, Ronciglione e Tuscania, con novità drammaturgiche anche italiane, tra cui due testi teatrali da Tiziano Scarpa, Gli straccioni e Il professor Manganelli e l’ingegner Gadda, regia di Sandro Mabellini (29/30 settembre al palazzo Farnese di Caprarola). Sul fronte extra-europeo, incuriosisce la presenza dell’argentino Rafael Spregelburd, autore di un’opera-mondo composta tra il 1996 e il 2008, l’ Eptalogia di Hieronymus Bosch”: ispirata alla Tavola dei peccati capitali del pittore fiammingo e divisa in sette parti, adatta al presente la storia sociale dei peccati e dei tabù. Nelle serate tra l’8 e il 10 ottobre, a Tuscania, la regista Manuela Cherubini propone tre testi della Eptalogia: L’inappetenza, La stravaganza e Il panico che assieme a “modestia, paranoia, cocciutaggine e stupidità”, vanno a disegnare una nuova cartografia della morale: con l’intervento ancora una volta attivo dello spettatore che, a seconda dell’ordine con cui fruisce delle singole scene, è chiamato a comporre l’ordine estetico del degrado sociale.

Pubblicato su "L'Altro" il 30 settembre 2009

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