sabato 3 ottobre 2009

Fast Forward Rewind, le vie del festival

Fast Forward. Rewind. Il nastro si avvolge, come quello di Krapp. Avanti veloce e poi indietro. Solo riascoltando con attenzione le parole che sono state incise, le immagini che qualcuno ha forgiato nel suo modo combattente e libero, si può andare avanti. Che ci vuole per scacciare play? Che tasti suona il tempo presente? Rewind. Fast Forward. Rewind. Ecco che la figura di Totò principe di Danimarca riappare come un fantasma benevolo, un segno di bellezza dolorosa e stracciona che tiene a battesimo il futuro. Dedicato a Leo de Beradinis, il grande artista scomparso un anno fa (omaggiato con la proiezione della versione televisiva del suo più celebre spettacolo e del film su Charlie Parker), la sedicesima edizione de “Le vie dei Festival” si distingue quest’anno per il timbro prettamente italiano e una concezione dilatata, sentimentale, refrattaria al consumo, del tempo teatrale.
La dominante acquatica in cui è immerso il film che Leo de Beradinis e Perla Peragallo costruirono alla fine degli anni Sessanta attorno alla figura di Charlie Parker ci conduce in un universo di segni rigoroso. E se c’è una costante in questa edizione del festival, sembra essere quella di una implicita riflessione sull’isolamento dell’essere umano incapace di adattarsi ad una società violenta e tronfia. Solo è Charlie Parker, musicista dalla vita tormentata. Soli sono gli adolescenti, gli uomini e le donne di Scampia, a cui la compagnia riminese Motus ha dedicato il quarto movimento della loro sinfonia visiva intitolata “X- Ics, racconti crudeli della giovinezza”. Soli Vladimiro, Estragone, Pozzo e Lucky richiamati in vita da Egumteatro, che nel programma di Aspettando Godot cita gli irriducibili versi di Beckett: “morto nel mezzo/delle sue morte mosche/l’alito di uno spiffero/dondola il ragno”.
Ma la solitudine che emerge da questa partitura qualitativa e quindi lacunosa (come tutte le cose pregnanti) del festival dei festival è di natura doppia.
La solitudine dell’artista è, alla fine, una benedizione. Cosa vedono Enrico Casagrande e Daniela Nicolò nel momento in cui arrivano a Scampia? Vedono periferie, reticolati, corpi in subbuglio. Ma soprattutto ascoltano, attraverso la presenza dirompente di Silvia Calderoni, l’attrice danzatrice che si fa medium tra i due mondi: ascoltano canzoni hip pop, respiri asmatici, versi suburbani, racconti di chi era giovane negli anni Cinquanta e parla alle nuove generazioni con arrendevolezza, e passione. La qualità fatale delle immagini in bianco e nero catturate da Motus si rafforza nella scelta acustica di uno spettacolo che non si adagia su un arco consolatorio del discorso ma continuamente anticipa o interrompe il frastuono sonoro di Napoli, per offrire allo spettatore la possibilità di camminarci dentro, fuori dai pregiudizi, con pudore.
La scomodità con cui, a dispetto della loro storia ventennale e della fama internazionale, i Motus sono costretti ad operare (non hanno uno spazio in cui provare, non godono di produzioni forti e hanno rifiutato da sempre la logica mortale ma euforica e tuttora dominante degli scambi) li mette, in qualche modo, in una condizione privilegiata di isolamento, in grado di produrre opere di non inequivocabile purezza estetica e di capacità rigenerativa, come tutto il progetto “X- Ics”.
Nella sua fase conclusiva, il festival insegue l’immaginario di un’altra artista inventiva e pensante, Cluadia Castellucci, presente con due lavori: Il regno profondo, sermone drammatico costruito su un doppio ordine temporale, quello della realtà attuale, solita e singolare, e quello della millenaria storia umana (25 settembre), e Homo turbae, il debutto di Mòra, la compagnia di ballo della Socìetas Raffaello Sanzio, che sulle note di Messian interpreta il racconto di Edga Allan Poe L’uomo della folla (26 e 27 settembre): “Questa folla è eterna, dall’inizio del mondo – riflette Claudia Catellucci – continuamente nuove persone si danno il cambio, nelle ore e nelle ere; ed è quest’eternità, ed è questa quantità che annichila: è la percezione che la propria individuale esistenza fa parte di un sistema che da sempre la include, solo per poterla escludere, solo per passare ad altro”.
Rewind. Fast Forward. Rewind. Nel tempo delle ere e delle ore. Nello spazio di una moltitudine che, mentre lo espelle, scolpisce la forma irriducibile dell’individuo, pezzo unico, oggetto d’arte non commerciabile.


Pubblicto su "L'Altro" settembre 2009

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