venerdì 30 ottobre 2009

Bersani-Vendola: la sinistra riparte?


Al quartier generale del Pd, al piano di sotto, mentre al piano di sopra si fanno i primi incontri tra il nuovo segretario e i politici forti e piccoli che vogliono dialogare con Bersani: c’è una strana luce, una luce distesa, anche sui volti di quelli che passano, poche tracce delle guerre appena concluse. Ieri è stato il turno di Nicki Vendola, che è arrivato con sobrietà a parlare del futuro. Solo un’ora per fare i primi passi di avvicinamento. Ma un’ora di conversazione può dire molto: dipende non solo da quello che si dice ma da come lo si dice, e soprattutto dall’idea di politica che si ha. Nel gergo militare, viene detta “the golden hour”, l’ora d’oro, quella che separa la vita dalla morte: se un ferito grave viene soccorso entro i primi sessanta minuti, ha serie possibilità di farcela, altrimenti è spacciato. Ecco, il tempo andrebbe sempre misurato così.
Che cosa si sono detti Pier Luigi Bersani e Nicki Vendola in quei sessanta minuti? Hanno fatto le solite chiacchiere di circostanza oppure hanno aperto, insieme, una finestra da cui far prendere veramente aria al paese? Che linguaggio hanno usato? Che futuro si immaginano? Di quali soggetti politici intendono prendersi cura?
I due uomini sono molti diversi, come diverse sono le posizioni da cui partono: l’uno, Bersani, esce vittorioso da un match che lo dava già vittorioso in partenza, l’altro, Vendola, è in piena ricostruzione e lotta ogni giorno della sua vita per dare concretezza ad un progetto politico complicato e ambizioso. Non lo sappiamo ancora se sarà un vincitore, per il momento si muove con i pezzi mezzi rotti che trova sulla sua scacchiera all’alba di ogni nuovo giorno. E’ come se sulla giacca ci fosse un foglietto bianco con su scritto “Lavori in corso”. Insomma, uno è solido, l’altro precario. Il precario porta nella discussione (anche perché li conosce esistenzialmente) i bisogni dei precari, dei vulnerabili, dei sofferenti, di quelli che sono stati attaccati e calunniati, coloro a cui non è andata sempre bene ma che guardano avanti perché si sono assunti una responsabilità di fronte ai loro elettori, al paese.
Passano i sessanti minuti e i due uomini raccontano di essersi trovati d’accordo su più punti. Bersani parla un linguaggio politico, Vendola usa una lingua più immaginifica, ma sembrano in effetti dire cose molto simili. Per Bersani, la democrazia è indistinguibile dalle “grandi questioni sociali”, in questo legge “un interesse comune” con le forze rappresentate da Vendola, e insiste sulla necessità di “creare dinamiche di corresponsabilità”: “Bisogna pensare a larghe alleanze di progresso per costruire un’alternativa alla destra”. E piace, a Vendola, la parola “alternativa”, non perché indichi uno spostamento inerte del baricentro, ma perché mette in campo un cambiamento di prospettiva: “Le forze di opposizione vanno organizzate in modo da vincere e far cambiare direttiva al paese”. Chiamare in campo i soggetti sociali significa una cosa molto precisa: abbandonare la coazione all’ attacco personalistico contro il premier, in favore di una politica-politica. L’uomo Berlusconi si ridimensiona, fino quasi a sparire, mentre l’obiettivo inquadra altre realtà, il degrado, la povertà, la disoccupazione, il precariato: “La sinistra deve sapere dare una risposta a questo paese, che è un paese che soffre”.
Soffre anche perché non crede più alla politica. Come ridarle senso? “La politica deve tornare ad essere una specie di caleidoscopio, deve rendersi capace di decifrare il paese, e di consentire ai corpi sociali di organizzare la rabbia e la speranza”. Rabbia e speranza. Per Vendola queste sono parole chiave, attorno a cui ricostruire un “vocabolario della sinistra”.
Non è una pura questione nominalistica, ma un esercizio della mente. E non è forse questo il compito più importante della sinistra italiana? Pensare “differente”, alzare il tiro delle proprie idee, guardare dentro e intorno, configurare un altro immaginario da sostituire ad un mondo modellato sulla proliferazione di culi, banconote e grandi falli, potenti o impotenti che siano.
“Contrastare il berlusconismo è un’operazione complessa – riflette Vendola – Non bastano slogan urlati, bisogna sconfiggere la videocracy sul piano dell’immaginario. Questa è la questione politica”.
I due uomini sono d’accordo anche su questo. Nessuno dei due andrà al Berluscon Day il 5 dicembre, perché, lo dice Bersani, lo conferma Vendola, “le manifestazioni non sono dei party”.
Party non è una bella parola. Non ci appartiene. Eppure il Partito Democratico l’ha usata, non molto tempo fa. Come dimenticare il Democratic Party con tanto di immagine berlusconiana al lavoro?
Forse le cose però stanno cambiando. E allora fa bene Bersani a sentire quello che ha da dire Vendola, perché dietro quell’invisibile spilla con su scritto “Lavori in corso” potrebbe nascondersi la trama della più interessante rivoluzione linguistica, e culturale, che la sinistra italiana – con tutte le sue cadute

Pubblicato su "L'Altro" il 30 0ttobre

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