martedì 7 luglio 2009

Un appello a intellettuali e politici: rileggetevi Lucrezio, andate a vedere Sieni


“Hei ragazzi, tutto bene?” La voce di Nada arriva da lontano, dolce, straniata. Segue un verso dal sesto libro “De rerum natura” che racconta la porosità di tutte le cose, e i fenomeni che non controlliamo. Un movimento coreografico ipnotico attorcigliato su un sentimento sfinente, e il nastro ricomincia daccapo: “Ehi ragazzi, tutto bene?”, “Sui bambini esanimi si vedevano talvolta i corpi inanimati dei genitori, e all’opposto talora sulle madri e sui padri i figli esalare la vita”. I cinque gemelli che vediamo in scena stanno morendo, e si appoggiano l’uno all’altro in un ultimo angosciante passo di vita. Il respiro se ne va, la testa avvolta in una maschera bianca e sovradimensionata, di espressione più remota che aliena, cade all’indietro. C’è la volontà di farcela, ma il corpo è tenue e cede. I suoni ci dicono che la terra trema mentre il cielo si oscura scatenando sulla terra tuoni e fulmini. E’ la quarta parte di “Oro”, il nuovo spettacolo di Virgilio Sieni di cui abbiamo seguito una prova a Firenze e che debutta oggi (replica domani) al Ravenna Festival, per arrivare in autunno a Roma.
La voce che chiede indifferentemente se va tutto bene, mentre la scena che vediamo parla, senza possibilità di equivoco, di peste, si incolla con precisione al tessuto del reale. E ci porta alla schizofrenia del nostro modello societario, alla distrazione mortificante del linguaggio usato dai poteri forti, che elude l’esperienza dissestante dell’ amore e della morte, senza nominare mai – se non per via retorica, con una nota apatica che nulla comprende della parola detta– la complessità che abita l’uomo, scisso tra delizia e orrore.
Lucrezio interrogato da Sieni (il coreografo aveva tratto ispirazione dal “De rerum natura” anche per il precedente spettacolo, “La natura delle cose”, folgorante camminamento nelle immagini del “corpo di dentro”) diventa una miniera di ragionamenti sottili e visioni sullo stato delle nostre cose, oggi.
La lezione più importante ci arriva dal discorso sulla processione che il coreografo toscano ci fa in una pausa di lavoro: “Le quattro coreografie che compongono “Oro” creano degli spazi estremamente esigui tra tenuità e tempi: uomini e donne, bambini e anziani, impegnati nella ricerca del primo gesto, dell’ultimo gesto, nell’origine delle cose…Le presenze sono unite l’una all’altra come processioni: sono cordoni di persone sempre legati. Sono animali umani con dieci braccia, dieci gambe dieci occhi. Il gesto è un gesto che assiste l’altro”.
I danzatori storici della compagnia si mischiano - nella luccicanza dorata di questa nuova opera sulle età dell’uomo - ad una ex ballerina di 75 anni che ha lavorato con Nureyev (Elsa De Fanti) ad un gruppo di anziani e di bambini che vivono nel territorio di Ravenna. Mentre la terza parte rallenta ancora il più il ritmo di queste processioni mettendo in campo il corpo plurale di non vedenti: “E’ il corpo spoglio dalla dittatura dell’immagine, portatore di una bellezza diversa”.
Lo spettacolo, che si tiene ai Magazzini dello Zolfo, si sarebbe dovuto ospitare nella basilica di San Vitale, ma il parroco ha negato l’autorizzazione: “No, Lucrezio no”.
Cosa ha di così sconvolgente un testo scritto nel I secolo a.C., perché fa ancora paura, dove risiede il seme dello scandalo?
La risposta è nella rilettura fisica - e non comunicativa, ma puramente espressiva - che ne dà Sieni: “A me non è mai interessato comunicare. E non ho paura a dire che per sentire di nuovo voglio di nuovo danzare…”.
Se nel ventre tonante, smisurato, del “De rerum natura”, il coreografo ha trovato linfa vitale per un attraversamento della misura incarnata del tempo – dall’infanzia fino alla vecchia, non esclusa l’esperienza del morire –, mettendo in scena corpi diseguali e gesti non performativi (anche i suoi danzatori, pur essendo professionisti, non sono chiamati a fare una danza muscolosa, spettacolare, ma al contrario delicata e organica), è perché il Lucrezio c’è un isomorfismo tra la natura della cose e la struttura sintattica della lingua. Fisica e visibile, la lettera lucreziana può diventare materiale esplosivo, esperienza scandalosa, nel suo porsi come un modello sintattico (e mentale) che rende conto dell’organicità, della non scindibilità degli elementi. Proprio perché nomina direttamente, in una forma somigliante, la realtà. Lo diceva bene Calvino: “Per Lucrezio le lettere arano atomi in continuo movimento che con le loro permutazioni creavano le parole e i suoni più diversi….per cui i segreti del mondo erano contenuti nella combinatoria dei segni della scrittura…La scrittura modello d’ogni processo della realtà”.
Non solo. Nell’avvicinare corpi belli e brutti, giovani e anziani, l’uno all’altro, in processione, Sieni rende “materico” e soprattutto “vivente”, il discorso sui diritti e sulla solidarietà che è il centro del dibattito politico e delle domande anche angosciate che trovano ogni giorno spazio su questo giornale.
La sinistra deve rinnovare il proprio linguaggio: lo diciamo da anni. Bene. Che gli intellettuali, e i politici, si rileggano Lucrezio, che vadano a vedere Sieni, che si sintonizzino sulle note di Roberto Herlitzka - che da qualche tempo porta in giro la sua personale traduzione di due libri del “De rerum natura”, fingendosi un uomo del Trecento che ha trovato questa versione anomala di Lucrezio.
Non si possono dare lezioni di morale, né pretendere di sapere come deve andare il mondo, se non si re-impara a parlare, se non ci si avvicina, tenuemente, umilmente, al mistero dell’uomo, e alla natura delle cose.

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