martedì 30 dicembre 2008

Lo spettacolo dal vivo al tempo del grande crac

MILANO. Esiste un esercito silenzioso di “eretici” di cui non scrive nessuno perché non anelano a farsi mangiare vivi sul pubblico patibolo di “Amici”. Invece di “farsi spazio”, “fanno luogo” (secondo una felice intuizione di Marco Martinelli). Nell’era della Grande Depressione, cercano di non cadere in depressione. Si alzano presto la mattina e vanno a letto tardi e con le armi incendiarie della creazione (il fuoco di cui parla Eugenio Barba quando fa “l’elogio dell’incendio”, simbolo di trasformazione e resistenza) lottano strenuamente per non dargliela vinta a politici amministratori apocalittici integrati cattivi maestri e taglieggiatori della cultura. Sono le centinaia di ragazze e ragazzi che in Italia, oggi, in questo preciso momento della Storia, un momento senza precedenti che vede un taglio al Fus (Fondo Unico per lo Spettacolo) del 35 per cento, fanno teatro. Teatro in senso antico. Teatro come prassi comunitaria del vivere. Teatro come creazione di reti e di relazioni. Teatro come creazione di immaginario ed esercizio operoso, irriducibile, della critica. A Milano, negli spazi della Scuola Paolo Grassi, se ne sono visti tanti, di questi ragazzi e ragazzi. Ciascuno con la propria lingua e la propria storia ha risposto all’appello lanciato da Mimma Gallina e Oliviero Ponte di Pino che, da cinque anni, invitano i teatranti a raccontare le loro “Buone Pratiche”. “Lo spettacolo dal vivo ai tempi del grande crac” il tema dell’incontro organizzato dalla redazione di “ateatro” (a cui hanno partecipato, tra gli altri, Carlo Cecchi, Marco Martinelli, Gigi Gherzi, Mimmo Sorrentino). Con un tema così, bastava poco per finire tutti dal lettino dello psicoanalista a farsi curare l’anima. Che ci voleva a dichiararsi tutti “magnificamente malati” e deporre le armi? Il rischio era alto, anche considerando il drammatico e sincero appello lanciato on line dallo stesso Oliviero Ponte di Pino, che con una lettera aperta annunciava qualche mese prima “La fine del nuovo teatro”, arrivando a chiedersi: “E allora vale la pena di continuare con “ateatro” e di rifare le Buone Pratiche”?.
“Quando ho letto il suo intervento, ho pensato che fosse una provocazione. Questi tempi bui di cui parla Oliviero sono gli stessi tempi bui dei tempi di Brecht, e la condizione degli artisti (e non dei servi prezzolati) è quella di confrontarsi sempre con i tempi bui. Per me la grande glaciazione è cominciata negli anni Ottanta e Novanta e non oggi – riflette il regista Marco Martinelli, che ha tre anni si confronta a Scampia con “la turbolenza dionisiaca degli adolescenti napoletani” (i progetti “Arrevuoto” e “Punta Corsara”) – In un mondo in cui domina il pensiero unico e i grandi media fanno di tutto per ridurci a consumatori, io incontro tutti i giorni tanti soggetti, tante facce di eretici: sono gli organizzatori, i tecnici, e gli artisti del teatro che si dedicano indefessamente al “fare luogo”, al creare luoghi in cui circola il sangue”.
“Fanno luogo” gli ideatori di “Cambio Palco”, “un progetto che nasce nel 2007 dall’Associazione Culturale Amnio per trovare una risposta alle esigenze di visibilità di tutte quelle realtà teatrali che non hanno accesso ai circuiti distributivi: per fare qualcosa e non piangersi addosso”.
“Fanno luogo” i “Teatri della Legalità” di Mario Gelardi e Luigi Marsano, che vanno a disinnescare il torpore e la rassegnazione della provincia napoletana.
“Fanno luogo” le decine di realtà toscane tra cui Spam, lo Spazio per le Arti Performative Contemporanee a Piana di Lucca, e gli spazi milanesi come il Teatro dell’Argine che apre giorno e notte alla gente comune.
“Chiedono luogo”, invece, le donne che combattono per un’uguaglianza di rappresentatività del pensiero teatrale femminile (“Patto teatrale di genere”).
Arrivano dalla Sicilia i racconti di più forte resistenza, le Buone Pratiche che rovistano in quella “palude definitiva” che è la politica violenta e mortale degli amministratori. Chiamata ad inaugurare la prossima stagione della Scala di Milano, a Palermo Emma Dante non ha uno spazio, e nasce allora “il progetto Vicaria”, “una casa-teatro aperta al confronto e all’incontro”. Sempre a Palermo, i giovani artisti di Spazio Zero hanno occupato il 3 gennaio dello scorso anno i cantieri Culturali della Zisa rimasti chiusi per un decennio, portando in soli 3 giorni 10.000 spettatori. “Poi ci hanno fatto sloggiare dal Capannone, tuttora abbandonato - – racconta Giuseppe Provenzano- ma ogni tanto ci ritorno di nascosto, per fare le prove degli spettacoli. Tutto dipende dal guardiano che trovo. Ce ne sono alcuni che fanno i cani da guarda di un potere metafisico, altri più benevoli con cui è facile prendere un caffè”. Per celebrare l’anniversario dell’occupazione, il giovanissimo Provenzano medita di tornare il prossimo 3 gennaio sul luogo coinvolgendo quanto più possibile quella parte di città che chiede vita, e poesia.
(Il forum intorno a “Lo spettacolo dal vivo ai tempi del grande crac” su www.ateatro.it).
Pubblicato su "Liberazione Queer" il 21/12/2008

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