giovedì 4 settembre 2008

Il sex appeal di un carillon


Perché un oggetto si fissa nelle nostre vite più di un altro? Cosa ci spinge a conservare un pupazzo mezzo rotto e senza occhi dimenticando l’esistenza di giocattoli più preziosi e in buona salute che sono appartenuti alla nostra infanzia? E non volendo per forza mettere di mezzo le pratiche stregonesche dei bambini (che facilmente vengono “posseduti” dalle cose, che a loro volta animano), anche in età adulta accade che, senza una particolare ragione, si venga attirati dalla forma di una caffettiera o dall’opacità di un tessuto, come se in quel preciso disegno assunto dalla materia si fossero depositate le scorie di riti magici che appartengono chissà perché alla nostra vita immaginaria. La memoria cosciente non sembra conservare traccia di quelle forme, alle quali obbediamo però come se rispondessimo ad una “chiamata”. Il dio oggetto, lo chiama Marc Augè, quando descrive la metamorfosi dello sciamano in “cosa”. Al livello più alto del rito di possessione, si diventa altro da sé, inanimati, immobili, fermi. Come morti. Il sex appeal dell’inorganico, che Perniola mette in relazione con un particolare stato di reificazione sessuale (“l’esercizio irriguardoso e senza pudore del proprio e dell’altrui corpo è congiunto con un sentimento di delicata venerazione, di dolce sollecitudine, di struggente dedizione nei confronti di cose destinate a deteriorarsi, corrompersi e scomparire”), ha molto a che fare con il “morire” (più che con la morte stessa) e con “il cadere”, con un cambio di stato, dove l’ombra della pietrificazione si proietta sul flusso vitale dei nostri gesti incolpevoli.
Questo discorso era molto chiaro a Carmelo Bene, che operava una continua trasfusione scenica tra materiali organici e inorganici, arrivando ad attribuire umori precisi alle stoffe e alle lenzuola che usava nel “Macbeth”, procurandosi, viceversa, ferite e cadute in modo da precipitare nella “cosa morta” che eravamo all’origine, prima della vita.
Mirko Feliziani, uno dei giovani artisti “Iccp” - Iconoclasti Comici Concettuali Poeti - presentati all’ultimo festival di Radicondoli e appartenenti quasi tutti alla cosiddetta “Non Scuola Romana” di Nico Garrone (anche direttore artistico del Festival), ha spinto il tema della connessione tra il sentire e l’oggetto fino alle estreme conseguenze, creando uno spettacolo ruvido e struggente, chiuso nella sua poetica irriducibilità. I protagonisti di Assunta Pertuso (e le splendide illusioni dell’amore) sono i due pupazzetti di un carillon perso tra i rifiuti. Costretti a reiterare in estasi maniache i numeri di un avanspettacolo metafisico, le marionette mettono in scena il desiderio impossibile d’amore, operando una continua metamorfosi di generi. Mirko Feliziani (anche autore e regista) raddoppia, nel suo travestimento, la fantasmagoria della seduzione agìta per prima dalla sua compagna (Beatrice Ciampaglia), creando nell’innesto una figura più femmina che maschio, dove le dinamiche di potere e sottomissione oscillano continuamente dall’uno all’altro corpo.
Ed è affascinante ascoltare la loro ballata triste: il racconto di come passarono di mano in mano, da una strega ad una famiglia di zingari, sballottati sui sedili di una vecchia mercedes. Sembrava la storia di una liberazione, la realizzazione di un sogno. Ma poi succede qualcosa, una dimenticanza, una piccola violenza, e la mano dello zingaro divenuto nel frattempo feticcio d’amore (bell’inversione: è la marionetta antropomorfizzata a fare dell’uomo la “cosa” desiderata), non si poserà più sul carillon, costringendo i pupi a celebrare all’infinito il rito d’apparizione e sparizione dell’oggetto amato.
Il pubblico in sala non sa bene come reagire a questa favola straniata, che non concede nulla all’intrattenimento e dove persino le canzoni napoletane vengono sottoposte ad un procedimento di distillazione mentre la recitazione si incunea in pose da biomeccanica, dilatandosi all’infinito. Ma se si ha la fortuna di sintonizzarsi con questi “strani figuri”, si viene alla fine premiati, condotti verso quel preciso piacere estetico che si determina nel momento in cui gli elementi organici entrano in fusione alchemica con i detriti del mondo inorganico: ed è proprio dall’oggetto - in questo caso un carillon di luminescenze ipnotiche -, e non dal soggetto, che arrivano i battiti di un cuore inascoltato.
Difficile non pensare a Che cosa sono le nuvole di Pasolini, dove una compagnia di marionette recita l’Otello di Shakespeare finché alcune di loro non verranno fatte a pezzi e gettate in una discarica, costrette a guardare il cielo dal livello più basso dell’esistenza.
Assunta Pertuso replica a novembre (dal 5 al 9) al Rialto Sant’ambrogio di Roma.

Pubblicato su "Queer/Liberazione" il 28/09/2008

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