
L’ultima sensibile opera dei Motus, “X(ics), Racconti crudeli della giovinezza”, si insinua in una zona nevralgica del presente: la vita degli adolescenti abbandonati in grandi spazi vuoti, le banlieues francesi italiane e tedesche, ventose macchine d’incubazione di malesseri e svenimenti, dove il confine tra il morire e il vivere si scioglie, estenuato, nel tempo dell’attesa. E’ su questo tempo/non tempo che Daniela Nicolò ed Enrico Casagrande hanno costruito il secondo movimento del loro viaggio, “X. 02” (visto al Teatro Studio di Scandicci, lo spettacolo andrà a luglio al Festival Armonia di Castiglioncello). Più che teatro è un romanzo cinematografico, dove i suoni si assottigliano, i personaggi si attaccano alla strada, alla terra che li ha generati, e fai fatica a distinguere il rumore indistinto del “fuori” - lo sfrecciare delle macchine su strade infinite - dalla voce che lentamente, con dolore, affiora dalle pareti del corpo. Le immagini si sporcano del catrame che rubano alle periferie del mondo, e tutto ciò che è bello nasce dal modo in cui qualcuno si è piegato ad ascoltare, dalla delicatezza di un padre e di una madre elettivi (Enrico e Daniela) e di una sorella maggiore (Silvia) che fa da interprete tra genitori e figli incontrati per caso.
Telecamera nascosta, sguardo obliquo e tangenziale, spesso muto, il primo movimento (“X.01”) si snodava lungo la statale Adriatica, da Ravenna a Cattolica, in quella stessa Romagna dove i Motus hanno cominciato il loro teatro in luoghi dimenticati da Dio e dagli uomini, vecchi spazi industriali fatiscenti, minuscole sale di periferia (in realtà ancora oggi, diventati nel frattempo internazionalmente noti, sono costretti a provare senza scenografie, per mancanza di spazio, in un posto difettoso di Longiano). Nei centri commerciali della Bassa Romagna gli artisti riminesi hanno intercettato i dialoghi di ragazzi buttati come fagotti in mezzo a merci che non possono comprare e tutti gli altri affannosamente comprano. Lì Silvia Calderoni - il biondo accecante dei capelli (”Ah tutto quel biondo!” urlava il padre al figlio in Affabulazione: Pasolini figurava così l’accecante potere della giovinezza) su un corpo talmente sottile che sembra disegnato -, con i suoi rollerblade e i suoi volantini (“Mi sto cercando. Se anche tu ti sei perso scrivimi un sms”) ha conosciuto Sergio di Buenos Aires: “La sua espressione di attesa era così intensa che l’abbiamo trascinato sul palco, con il suo basso”. Poi a Valence, in Francia, nel mezzo del nulla, dove è nato il secondo movimento, Silvia ha attraccato un altro fratello, si chiama Mario, è filippino, ha vissuto a Parigi ma oggi è cittadino italiano. Sergio Policicchio e Mario Ponce-Enrile oggi sono in scena, accanto a Silvia, sempre più luminosa e ispirata, e a Dany Greggio, attore storico dei Motus, presenza simbolica di padre capace d’amore. Perché è dell’amore che parla “X.02”, e della morte.
Nelle notti interminabili che giungono dopo giorni interminabili passati a guardare un sacchetto di plastica mosso dal vento, arriva a volte un gesto di tenerezza: è l’abbraccio di chi fruga in un altro corpo acerbo per cercare quiete. Qualche volta la trova. Qualche volta invece non arriva niente. Qualche volta si muore. Uccisi, suicidati dalla società. E c’è un momento di “X. 02” in cui Dany Greggio ulula per la morte di un ragazzo, ecco quel momento non si scorda. Come tutto il resto, avvitato ad un ritmo acefalo, ineguale, trainato dalla strada, da ciò che Enrico e Daniela hanno visto e con umiltà hanno voluto registrare rinunciando a quella composizione ad orologeria in cui sanno di essere maestri.
Le immagini della banlieue francese, riprese tra parchi di cemento e sale prove in cui si formano, spontanee, band di quattordicenni capaci di suonare un punk rabbioso, sono di una bellezza scorticata, amara: spiate attraverso un reticolato che è insieme prigione e lente d’ingrandimento, fanno da basso continuo allo spettacolo. In proscenio, solo una panchina. E’ qui che gli adolescenti passano il tempo e dopo ore di immobilità e piccoli giochi incolpevoli, sentono, poco a poco, la vita svanire: “Noi siamo erbacce che muoiono e nascono identiche da un’altra parte”.
A questo punto attendiamo con ansia il terzo movimento (dopo un periodo di residenza ad Halle Neuestadt, “X.03” in Italia debutterà a luglio al Mittelfest di Cividale), ma ancora di più il film in preparazione, primo lungometraggio dei Motus, che farà scivolare l’uno nell’altro, assecondandone le derive, questi folgoranti racconti della giovinezza. Con crudele dolcezza.
Pubblicato su Liberazione/Queer il 6 Aprile
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