mercoledì 30 aprile 2008

Timpano? Un avanguardista degli Anni Venti


Tanto per cominciare, diciamo subito che Daniele Timpano non gioca mai in casa, semmai nella “sua” casa. Come fa a piacere subito uno che parla di Mussolini, anzi del corpo di Mussolini, del suo cadavere trafugato, dicendo “io”, confondendo il soggetto attoriale con il personaggio storico (“Dux in scatola”)? Come può conquistare il grande pubblico un ragazzo che canta le lodi dei cartoni animati giapponesi rifacendo le voci i suoni e gli effetti speciali di Mazinga mentre si avvolge nella bandiera giapponese (“Ecce Robot!”)? Non deve suscitare immediata simpatia un drammaturgo che di Cappuccetto Rosso fa una prostituta ed è vero che il lupo va in giro con una flebo e una mamma imbavagliata e gonfiabile (è il sogno di ogni bambino, ridurre così la propria madre), ma poi alla fine a Cappuccetto viene staccata impunemente la testa (“Per amarti meglio”). Eppure non è difficile capire come il trentaquattrenne artista romano faccia un lavoro assolutamente controcorrente (“non scuola romana” la chiama il critico teatrale Nico Garrone, che accanto a Timpano fa scorrere i nomi di Andrea Casentino, Lucia Calamaro, Mirko Feliziani e Antonio Tagliarini, assimilati ad una nuova-nuovissima spettacolarità che se ne frega dei padri e fa a pezzi i codici). Controcorrente e antico. Sì, antico. Antico come il suo volto, che sembra ritagliato dal cinema muto, con gli occhi neri, il pizzetto e una mimica molto comica e molto tragica. Mentre il suo modo di recitare ricorda i primi radiodrammi riascoltati però a 45 giri.
Con lui bisogna avere pazienza. A prima vista, sembra un marziano attaccato ai propri miti di maschio bambino. Ma poi ti accorgi che, mettendoli in piazza in quel modo puerile e ossessivo, Timpano mostra una generosità fuori norma: è l’altruismo di chi accetta di farsi attraversare, mangiare e divorare dai feticci della propria infanzia, dal chiacchiericcio di una casa-scuola dove si trafficava indifferentemente con Euripide e Mazinga, gli anni di piombo e le fiabe classiche, la poesia crepuscolare e la Roma che fu di Petrolini. Un artista in fondo non può fare altro che farsi “cosa”, membrana sensibile, radiotrasmettitore dell’assurdo. Timpano non fa ridere, eppure a tratti si ride. Non racconta, ma fa dei monologhi in cui accetta di farsi letteralmente vivisezionare dalle parole e dalle immagini che la sua mente febbrile ha collezionato facendosi ferite invisibili su un corpo che da solo giudica imperfetto (ingiustamente, parla di sé come di “uno scheletro con la pancetta”). E’ un avanguardista, ma degli anni Venti e non degli anni Settanta, anche se è da lì che viene il materiale. In “Ecce Robot!” l’attore ci fa a ritmo accelerato “la cronaca di un’invasione”, mimando una scena apocalittica di “Mazinga Z” in cui i bambini si fanno vendicatori di un nonnetto geniale fatto fuori dal dottor Inferno. Il testo ipersonorizzato - da un corpo-macchina adeguatamente invasato - viene intercalato con brani serissimi di storia del costume: tra il 1978 e il 1990, ci ricorda Timpano, le tv nostrane trasmettono oltre 350 cartoni giapponesi, la maggior parte firmati da Go Nagai, e parallelamente a questa invasione che manda in estasi i piccoli italiani sotto i sei anni, inizia una crociata di educatori genitori e opinionisti contro “l’orgia della violenza annientatrice”, “l’ipnotizzazione collettiva”, “i satanassi made in Japan”, demonizzazione conformista a cui si oppongono solo le menti anarchiche di Marco Ferreri e Gianni Rodari.
Anche in “Caccia ‘L drago” il materiale prescelto (l’opera di Tolkien) viene decostruito e performato con la grazia straniante di un artista che lascia tutto inconcluso e non ha paura dei silenzi.
Timpano è una macchina solo apparentemente artificiale, una supermarionetta che ha a noia le retoriche e le distrugge in presenza di altri. Sia che parli di Mussolini chiuso in un baule, sia che riscriva la storia di Oreste (anche lui infilato in uno scatolone), la sua ossessione è sempre e solo l’infanzia, che lo porta a costruire geniali sistemi di protezione e difesa contro l’invasione degli adulti moralizzatori.

Pubblicato su Queer/Liberazione il 30 marzo

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