mercoledì 3 ottobre 2012

Rossana Campo: "Sono una buddista emotiva innamorata del buio"

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«Ero a Parigi e una notte sogno che andavo in cantina. Sento che c’era qualcuno che dovevo andare a trovare. Lì sotto trovo una ragazza scarmigliata, con delle ragnatele addosso. Vado verso di lei. L’abbraccio e mentre la abbraccio capisco che lei non è pazza. Mi guardo tutto intorno a questa cella- caverna e  vedo tutte pagine di poesie e disegni che lei  stava facendo».  Nel raccontare il sogno fondativo della sua vita, Rossana Campo, 49 anni, scrittrice e artista visiva, si mostra disposta a scendere con noi in quella stessa cantina dove si sta in due: chi soffre e chi prende la forza da quel dolore, chi se ne sta chiuso e chi gioisce per il solo fatto di essere vivo, chi frequenta l’abisso e chi deve a tutti i costi uscire alla luce del sole. Siamo nello studio che Rossana Campo condivide con il suo compagno storico, Nanni Balestrini, attorniati da pastelli e opere incompiute. L’autrice di In principio erano le mutande (16 ristampe, 200.00 copie vendute) a cui sono seguiti negli anni altri dieci romanzi, ha appena dato alle stampe un libro autobiografico, intimo, che narra il suo incontro con il buddismo, Felice per quello che sei, confessioni di una buddista emotiva, (Giulio Perrone, 10 euro). Leggerlo, ci ha fato lo stesso effetto del cubo blu di Lynch che in Mulholland Drive apre altri mondi che non sapevamo di avere. Solo che i colori sono più chiari.

Un libro sulla spiritualità in una collana che si dice delle passioni e che si traduce “le nuove onde”. Confessioni duna buddista emotiva. Sembrano paradossi….
Ma non lo sono. Quando mi è stato chiesto di trattare da romanziera un tema che non era di fiction, la mia passione dominante, non è stato facile orientarsi. Come studiosa, mi sono anche interessata al buddismo tibetano e al buddismo zen, non solo al buddismo di Nichiren Daishonin che poi ho scelto…. Ma non pensavo fosse utile fare un libro storico. La questione era: come parlare per un verso ai  miei lettori storici che mi seguono da vent’anni sia a lettori che magari si interessano al tema del buddismo? Così  ho deciso di cominciare da me, dalle origini. Fondamentalmente io racconto storie che  non sono mai la cronaca esatta di quello che ho vissuto, ma non possono che legarsi al vissuto. In questo caso, mi sono guardata indietro ripensando a come è cominciato tutto, sedici anni fa….
Quindi Genova, i primi anni, i primi amori sbagliati, un dolore precoce, l’inizio di una erranza che non si sapeva ancora dove avrebbe portato.
Adesso quando ripenso ai miei anni genovesi, ci penso con tenerezza e malinconia, ma sono stati anni belli tosti. Mi ero appena laureata, avevo cominciato a scrivere i primi racconti e lavoravo in una cooperativa. Vivevo in una casa cascante nei vicoli. Storie d’amore infelici, una peggio dell’altra.
C’era una coazione a ripetere gli stessi errori?
 In principio erano le mutande era costellato di infami: il primo infame, il secondo infame, il terzo infame….Adesso, dopo sedici anni di pratica buddista, chiaramente non vedo più così le cose. Saranno stati pure stronzi e  infami, il fatto è che ero io che me li andavo a cercare. Se non era un caso clinico, non lo volevo. I bravi ragazzi neanche li guardavo.
Ad un certo punto la fascinazione per il tipo “infame” è caduta, ma ha comunque continuato a raccontare di sbandati e outsider.
Come romanziera, sono interessata ovviamente ai conflitti, agli incontri con i borderline. La storia: “Ho incontrato un bravo ragazzo, ci siamo spostai e siamo finiti da vent’anni” non interessa a nessuno.
Che persone sono i suoi genitori?
Intanto sono due persone del sud emigrate al nord. Proletari. Essere emigrati al nord negli anni Sessanta e Settanta era come essere oggi arabi e africani. C’era allegria a casa, ma si discuteva anche tanto. Era difficile vivere in quelle condizioni di povertà. Ricordo molte scene di umiliazione.
E come è successo che ad un certo punto sceglie Parigi come sua città adottiva?
Erano i primi anni Novanta e volevo andarmene dall’Italia. Ero disposta a fare qualunque mestiere (la baby sitter, la cameriera) per campare, ma poi è successa una cosa inaspettata: il manoscritto del mio primo romanzo, In principio erano le mutande, viene  scelto da Carlo Feltrinelli, e lì la vita cambia completamente. D’improvviso ero una giovane scrittrice riconosciuta che poteva pensare di poter continuare a fare la scrittrice a Parigi. Certo ci sono stati anche degli ostacoli, perché ho dovuto lottare contro quelli che a Genova chiamiamo “i bulacchi di merda” che venivano lanciati contro me che come donna scrivevo di desiderio e di amore (anche non stavamo certo parlando di un romanzo erotico)….Per fortuna, da subito, ho stabilito un legame con i miei lettori, soprattutto lettrici, che si sentivano rispecchiate nei miei romanzi. Non esiste una soddisfazione maggiore per chi scrive. Anche se io ho dato sempre grande importanza al fatto stilistico.
D’altro canto lei arrivava dalla scuola di Sanguineti…
Sanguineti è stato un vero maestro, e lo dico con cognizione di causa, essendo buddista e conoscendo il significato della parola maestro. La grande lezione dell’avanguardia  stata quella di insegnarci a fare opera di rottura rispetto ai linguaggi codificati.  In quel momento circolavano romanzi di persone di trent’anni che si esprimevano con un linguaggio ammuffito, che non mi interessava. Io ho cercato di andare in un’altra direzione, più vitale. Le donne soprattutto, volevo raccontarle per come le vedevo io e non come mi arrivavano dalla letteratura, o dal cinema.
“Bambine chiuse, ragazze chiatte e mamme bisbetiche” è il titolo di una delle sue mostre.
E’ così che le vede le donne?
Da piccola, guardavo le donne della mia famiglia e non riconoscevo in loro le donne lacrimose e sottomesse che la letteratura ritraeva. Mi sembravano, piuttosto, delle belve: donne forti, sanguigne, incazzate nere. A partire dai loro corpi, dalle loro presenze fisiche. Al contrario degli uomini, che sentivo molto fragili.
Ritorniamo a quella ragazza di 28 anni che arriva a Parigi con la sua valigia. Cosa vede?
Parigi era stata annunciata dalla Parigi letteraria che avevo frequentato attraverso certi miti letterari: Henry Miller, Gertrude Stein. Trovo una città meravigliosa. Faccio amicizia con greci, africani , iraniani…Il mondo mi si rivela così. Sento che sono finalmente uscita dalla provincia.
Lei è così estroversa come sembra?
Da un lato sono un po’ orsa, amo andare al cinema da sola e mi capita di evitare il contatto con gli umani. Poi però se decido di entrare in un bar e parlare con la gente, succede che le persone si avvicinano e cominciano a raccontarmi la loro vita. Diciamo che instauro subito un contatto profondo.
Cosa rappresenta Roma per lei?
Sono arrivata qui una decina d’anni fa, ma ci vivo più stabilmente solo da tre anni, anche se continuo ad andare spesso a Parigi. Questa zona attorno a piazza Vittorio somiglia molto alla Parigi che conosco e che amo. In più, c’è la lingua. Per uno scrittore è importante immergersi nelle sonorità della lingua in cui scrive. Parigi mi ha dato la libertà dell’anonimato, Roma mi piace per il tipo di relazione che si crea tra le persone. E per la luce. Il mio corpo si sente più a suo agio qui.
In questo studio ci sono le opere di Rossana Campo e le opere di Nanni Balestrini. Come vi dividete gli spazi e i tempi del lavoro?
Abbiamo orari diversi e modi di lavorare complementari. Comunque ci mostriamo tutto solo alla fine: questo accade sia per i libri che per le opere artistiche. Pur essendo molto diversi (lui è lombardo di madre tedesca), io d’origini del sud, abbiamo lo stesso tipo di pudore rispetto alla creazione. Sappiamo stare insieme ma sappiamo anche stare da soli.
Come ha incontrato il buddismo?
Negli anni parigini, nonostante fossi una scrittrice e realizzata e avessi iniziato a vivere il grande amore con Nanni, sentivo una specie di inquietudine. Cercavo qualcosa. Già a Genova ero entrata in contatto con il buddismo, ma a Parigi accade un incontro fondamentale. E come scrivo nel libro, vado a sentire una conferenza di un monaco zen francese e rimango colpita dalle cose che dice e dal modo con cui le dice.  Quelle parole mi risuonano in profondità.
Le persone che vedevo da bambina e andavano in chiesa mi sembrano ipocrite. Quella volta invece sento qualcosa si sincero, di autentico: le cose che diceva il monaco zen venivano da un posto profondo. Ho cominciato allora a fare i miei studi e alla fine sono approdata al buddismo giapponese di Nichiren Daishonin. Mi piaceva anche il fatto che agli incontri potessero trovarsi insieme, per esempio, una contessa francese e un taxista antillese. Anche questa parte umana, democratica, non è trascurabile nella pratica. Si parte da sé, dalla sofferenza che si vive.
Nel suo libro, lei parla di una gemella “un po’ scuretta che abita dentro di me” e che non si deve smettere di nutrire….
Accogliere la propria gemella scura è la vera grandezza. E questo me l’ha insegnato il buddismo quando parla della preziosità di ogni vita umana, la tua e di ogni essere senziente. Tutto ciò può rimanere astratto, ma quando impari, durante la meditazione, a calare quest’insegnamento dentro di te, capisci che non bisogna rinunciare a nessuna delle nostre parti, neanche quelle che ci ricordano le umiliazioni e le ferite subite. Prima mi facevano male, ora mi fanno sentire più viva. La differenza è che oggi non alzo un muro rispetto a quelle sofferenze ma le curo, le innaffio.
Dopo lo sconfinato amore per Celine, sono sorte altre grandi passioni letterarie?
Ce ne sono molte altre, ma come si fa ad essere più grande di Celine?
I materiali che lei usa (letterari e artistici) vanno a disegnare due differenti confini del corpo?
La mia poetica in fatto di pittura ma anche di scrittura, nasce da un’attrazione per l’elemento vitale e “brutale”: da Picasso a Matisse, da Dubuffet al gruppo Cobra. C’è una parola bellissima in francese che è gaucherie e che significa l’essere maldestri. Mi sono sempre interessata anche come osservatrice a tutto quello che scappa dal perbenismo, dalla corazza culturale, dall’adattamento sociale…Ho ricominciato a dipingere nei primi anni Duemila e ho voluto esplorare anche la parte emotiva, corporea, tutto quello che siamo “sotto”.
Perché “buddista emotiva”?
Come donna, come buddista, come artista e come scrittrice, ho sempre cercato di tenere viva la mia parte infantile ed emotiva. Senza per forza dover finire alcolista (non la cito a caso perché è la dipendenza tipica, la malattia professionale degli scrittori), ma diventando una persona in grado di mantenere il contatto con la propria emotività senza farsene travolgere.
Felicità è una parola schiacciante. Lei sinceramente pensa che sia possibile essere felici?
Si. Io la provo spesso. E’ una felicità autogenerata, che non viene dall’esterno.
Ha paura di morire?
Come scrittrice, ho sempre avuto un’attrazione per la perdita. Non temo il perdersi e neanche il morire. Jung parla spesso di questa condizione panica che è stranamente felice e che io avevo fin da bambina. Cade l’ego e ti senti unito all’universo.
Che rapporto ha con il cibo?
Sono vegetariana. Quando sono a Genova, vado pazza per la focaccia e le trofie al pesto. E poi sono golosa di dolci, gelati soprattutto.
Frequenta la società letteraria romana?
Non molto.
E cosa pensa del gruppo TQ (generazione trenta-quarant’anni)?
Non molto. 
(Pubblicato su "Gli Altri")

1 commento:

Andrea Consonni ha detto...

Rossana Campo è una scrittrice importantissima per mia sorella maggiore. Coi suoi libri le ha tenuto compagnia nei momenti neri. credo che li abbia proprio tutti.