venerdì 3 giugno 2011
Banchetto liturgico per Caligola: quando la forza è nell'equipe
Caligola segna spesso la soglia dall'introversione all'esplosione, il momento in cui un giovane artista, pronunciando le parole di Camus, esce da se stesso e si consegna, incosciente, all'altro. E' stato così per Carmelo Bene, che debuttò con il Caligola nel '59. E in un certo senso anche per Roberto Latini, il nostro artista più “carmelobeniano”, quel titolo ha significato il punto di svolta. Era il 2001 e la critica dovette accorgersi per forza della furia romantica con cui l'attore-regista romano si faceva possedere da tutti i personaggi del dramma, giocando con gli specchi in una reggia, solitaria, intima. Oggi con l'opera di Albert Camus si misurano, come registi, Ilaria Drago e Tiziano Panici, ma con un intento completamente diverso. Rispetto ai sui precedenti storici, Caligola si riconferma rito iniziatico e tragedia della giovinezza. In Corpore - banchetto liturgico per Caligola si scrive su una partitura sinestetica, plurale. In primo piano, i movimenti scenici di Tiziano Panici che ha venticinque anni e, nonostante qualche fragilità tecnica, riesce ad uscire fuori dal proprio perimetro di dolcezza per mettere sul tavolo anatomico del “corpo-monstre” di Caligola androginia e ossessione estetica, desiderio narcisistico e possesso, eros e thanatos. A differenza di altre operazioni concentrate solo sull'attore, qui la figura dell'interprete si muove all'unisono con gli altri linguaggi, fino a dare l'impressione di essere spesso agìto dalle musiche (Marco Guidi), e soprattutto dalle immagini (bellissime) di Andrea Giansanti, che ha elaborato una raffinata - e altamente significante - scenografia virtuale, facendo animare sei specchi sottili con le proiezioni di corpi in continua metamorfosi. Se, per un verso, è evidente la mano di Ilaria Drago, la precisione emotiva con cui l’artista va a tagliare la parola e l'aria attorno a sé, è altrettanto visibile l'orizzonte poetico di Panici, che ha frequentato gli scrittori americani e oggi legge Camus attraverso Easton Ellis (“Una specie di astrazione, che tuttavia non ha nulla a che vedere con chi sono veramente, è solo un'entità, un qualcosa di illusorio, e anche se riesco a nascondere il mio sguardo freddo e potere stringermi la mano e sentire la mia carne che stringe la vostra e magari potete anche immaginare che il mio stile di vita sia simile: io semplicemente sono un altro”). Ne risulta un'opera nietschiana (nella direzione che Nietzsche imprimeva alla tragedia), dove lo spirito orgiastico/dionisiaco si distilla in una visione apollinea.
Presentato in forma di studio alla Sala Uno di Roma, In Corpore troverà una sua forma ulteriore nel periodo di residenza sardo (al festival di Montevecchio dal 20 al 26 agosto) per poi debuttare a novembre al Teatro Argot. E' un lavoro che vale la pena seguire, se non altro perché è un raro esempio di opera collettiva, una partitura per corpo-voce-immagini-suoni dove se si toglie un pezzo crolla tutto.
(Pubblicato su "Gli Altri", rubrica "La Testimone")
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