sabato 22 maggio 2010

Ninni Bruschetta: "Faccio politica con Boris"


Una antica leggenda racconta di un soldato saraceno che, convinto di vedere i propri nemici sulla riva, per salvarsi, si tuffò in mare. Fu così che il mare lo inghiottì. Il nemico in realtà era molto lontano, ma a lui “sembrò” che fosse proprio dietro di lui. A Messina, si vedono cose che non esistono, e quelle che esistono si fa fatica a farle vedere. Sono strani fenomeni di rifrazioni: naturali e innaturali. E’ così che inizia la nostra conversazione con Ninni Bruschetta, regista e attore siciliano: “Nel 2008, avevo scritto per “il manifesto” un articolo sui cento anni del terremoto a Messina, che intitolai “Fata Morgana”: parlava proprio di questi strani flussi di venti, che possono donare alla città una particolare luce ma che arrivano anche a metterla severamente in pericolo”. Una particolare luce, una particolare sensazione di pericolo. Bruschetta le ha trascinate con sé, anche ora che vive a Roma e che la televisione assorbe gran parte della sua creatività. La luce la trattiene sempre a teatro (come metteur en scene), il pericolo lo porta in tv (come attore). Il coraggio transita dall’una all’altra sponda, con leggerezza, e vigore.

L’ultimo suo spettacolo teatrale, Lavori in corso (che ha debuttato a Messina e andrà in tournèe la prossima stagione) affronta la questione spinosa, drammatica, e per certi versi persino comica, del ponte sullo Stretto. Ponte sì o ponte no?

Lo spettacolo è fortemente ironico, anche se tragico. La paura più grande è che senza la mafia il ponte non si possa fare. Ma con la mafia non si farà mai. Tutti lo sanno che non serve a nulla.

Uno dei protagonisti di Lavori in corsi è un operaio. Un punto di vista inusuale…

Nei testi contemporanei i personaggi appartengono sempre a mondi altolocati. Se li leggesse Shakespeare, si suiciderebbe, o ammazzerebbe gli autori…

Ancora una volta una collaborazione con Claudio Fava. Cosa vi affratella?

Abbiamo collaborato insieme varie volte. Devo dire che Il mio nome è Caino è uno dei libri più belli e dolorosi che mi sia capitato tra le mani. Ricordo di averlo letto in treno, sulla linea Salerno-Reggio Calabria. Quel giorno una donna si buttò dal treno (non il nostro) e naturalmente ci fermammo. Quando riprendemmo a viaggiare, dal finestrino vidi le scarpe della donna. La ritualità, la quotidianità dell’orrore erano tutte in quel paio di scarpe. Il dolore scatenato dalla lettura del libro e il suicidio fecero da eco l’uno all’altro…Figlio di un uomo ucciso dalla mafia, Claudio ha scritto un libro usando il punto di vista di quelli che il padre Giuseppe chiamava “gli uccisori”...Pazzesco. Questo è Claudio Fava.

Lavori in corso ha avuto come pubblico un’intera città. Questo vuol dire che quando si usano parole chiare e dense c’è tanta gente pronta ad ascoltarle…

In Italia non si vuole capire che il problema – non solo della politica, ma del sistema – è l’autoreferenzialità. Per questo stiamo fermi. A Messina lo stretto non lo vuole nessuno. Solo i bigotti, preoccupati esclusivamente di se stessi, lo vogliono.

Tornando a Shakespeare (che lei ha frequentato spesso come regista), di fronte alle espressioni del brutto, forse non si suiciderebbe, semmai ucciderebbe gli autori…Non era uno che amava fare la vittima.

No, Shakespeare non aveva tempo per fare la vittima. Lui cercava la perfezione. Io sono fortemente convinto che quella perfezione drammaturgica dipendesse dalle sue conoscenze metafisiche. Shakespeare aveva due qualità uniche che il teatro (e in particolare quello italiano) ha abbandonato: tutte le sue storie partono da fatti reali, da storie vere, ed hanno una costruzione magnifica. Nel nostro paese la percentuale di autori italiani rappresentati è bassissima, e si tende a dare spazio ad elucubrazioni inutili. Io vorrei sapere perché la mia vicina di casa dovrebbe uscire per andare a vedere un testo minore del Seicento…

Lei ha diretto lo Stabile di Messina dal 1996 a 1999. Che esperienza è stata?

Dirigere lo stabile della tua città a soli trentaquattro anni è un fatto importante, che ti àncora fortemente alla tua terra e ai suoi bisogni. Comunque, la situazione negli anni è peggiorata. A parte qualche rara eccezione, gli stabili sono ridotti a stipendifici.

E’ vero che persiste a tifare per il Messina, la squadra che non c’è più?

E già…Persino la storia della squadra di calcio (che è fallita) racconta la storia di ascesa e caduta della mia città.

Come attore di cinema e di fiction, trova sempre il modo di parlare della sua terra e della mafia. O perlomeno sono ruoli che le propongono spesso. Non pensa che in qualche caso le fiction banalizzino il fenomeno mafioso, rendendolo “tollerabile”?

Per me, più se ne parla e meglio è. Sia che ne parli Camilleri, sia che ne parlino gli autori di fiction. Prendiamo due esempi: Il Capo dei Capi e Squadra Antimafia – Palermo oggi. Il primo (dove non ho lavorato) è uno straordinario affresco storico della mafia corleonese. In sé, è un’operazione che ha valore politico. Mentre Squadra Antimafia, che è un’opera di “genere” (a proposito, il mio personaggio è stato appena ucciso), è nata subito l’instant movie su Provenzano. Raccontare una cosa subito può essere utile. Sono convinto che se adesso si facesse un film tv sulla morte di Stefano Cucchi, potrebbe essere molto importante. Poi c’è da dire un’altra verità: in Italia al cinema non c’è lavoro. Nessuno lo dice, ma il cinema è morto.

Quale è il suo giudizio su Camilleri e la sua rappresentazione della mafia?

Il mondo di Camilleri non mi attrae, però capisco la necessità dello scrittore. I suoi non sono libri di mafia, ma ovviamente ne parla. Fondamentalmente, Camilleri descrive il fenomeno mafioso come un fenomeno siciliano. Io invece penso che la mafia sia una cosa a cui i siciliani hanno dato un nome, mentre gli altri non l’hanno ancora trovato. Basta farsi un giro nei paesi dell’Est per capire che la mafia con la coppola non esiste.

Le ho spesso sentito parlare della “sacralità” della recitazione a teatro…

Vede, io non ho voluto fare l’attore di teatro perché ero privo di quella componente sacerdotale. In scena, non ho quel tipo di controllo di me stesso.

In chi vede invece quell’aura sacerdotale?

In mia figlia Anna che ha dodici anni. La sua insegnante di drama (studia in una scuola inglese) deve aver intuito in lei quel “controllo naturale” da farla recitare in un liceo. Pur essendo poco più di una bambina, è capace di stare perfettamente immobile in scena. Ricordo che quando ci provavo io, mi tremavano le gambe.

E a parte sua figlia Anna, quali altri attori posseggono questa sacralità, un controllo assoluto dello spazio teatrale?

Totò Onnis è un attore poco conosciuto ma meraviglioso: porta in scena una grandezza spirituale. Un’altra attrice che è capace di abbandono nel rito teatrale è Anna Maria Guarnieri. Quando l’ho diretta in Medea di Franz Grillparzer, non potevo fare altro che ammirarla.

Come attore, sta per girare il film di Boris (ndr, nella serie tv interpreta il ruolo del direttore della fotografia). Cosa ha significato per lei trovarsi a muoverli a dentro, i fili di questa straordinaria macchina inventiva?

Boris è una brillante operazione politica e una straordinaria esperienza linguistica. Per usare le parole di Godard, “io non ho fatto cinema politico, ma ho sempre fatto cinema politicamente”. Boris è un modo per esserci politicamente in questo paese. E’ la più seria critica fatta alla nazione attraverso un racconto televisivo. I tre sceneggiatori di “Boris” – Giacomo Ciarrapico, Mattia Torre e Luca Ventruscolo - sono i veri eredi della grande commedia all’italiana.


Lei non pensa che in questo paese si respiri un clima di censura? Mi riferisco al commento di Berlusconi su Gomorra e al rifiuto di Bondi di andare a Cannes assieme a Draquila, giudicato un film di propaganda antiberlusconiana.

Io sono convinto che quella battuta a Berlusconi sia scappata:

Gli è scappato di dire che il libro di Saviano fa da supporto promozionale alla mafia?


Sì, gli è scappato…. Io sono sempre stato di sinistra e vorrei a questo proposito lanciare un appello alle italiane e agli italiani: sono appena stato a Lecce e non ho dubbi: la nuova sinistra in Italia deve ripartire da Nicki Vendola! Detto questo, non bisogna per forza essere “contro”. Berlusconi ha dimostrato in varie occasioni di apprezzare il libro di Saviano. La frase che ha pronunciato non significa nulla. E poi devo dire anche un’altra cosa: le fiction per cui lavoro ultimamente sono tutte firmate Mediaset. All’interno delle aziende Mediaset, che sono gigantesche, si respira una certa libertà. E’ un antico assioma marxista: si accentra la ricchezza nelle mani di pochi, poi le aziende diventano talmente grandi e autonome che i capitalisti non contano più nulla e si fanno spazio principi rivoluzionari…. Per quanto riguarda Bondi, secondo me aveva paura di prendere l’aereo.

Bondi non è andato a Cannes perché aveva paura di prendere l’aereo?

Sì, l’ho sentito dire da un giornalista e mi sembra una cosa verosimile. Io so cosa vuol dire aver paura dell’aereo, non l’ho mai superata. Però lo prendo lo stesso.

Nel corso di una conferenza, ha dichiarato che la vera malattia è la vanità, la mancanza di umiltà, che ha contagiato tutto il mondo del cinema. Lei si considera umile?

Se mi ritenessi umile, non lo sarei. Se si fa un mestiere come il mio, si è continuamente sottoposti all’aggressione della propria vanità. Fondamentalmente, si cerca di controllarla. E non è semplice. Però devo dire che negli anni sono riuscito a correggere abbastanza la mia inclinazione naturale. Prima mi osservavo molto di meno, parlavo molto per esempio… Ora invece credo di aver sviluppato una discreta capacità di ascolto. E non si può fare l’attore né il regista se non si conquista questa qualità. Il pubblico se ne accorge subito, se ce l’hai o non ce l’hai.

(Pubblicato su "Gli Altri" il il 21 maggio)

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