mercoledì 26 agosto 2009

Le mani sull'amore, il romanzo di Sandro Lombardi


Per chi l’ha visto tante volte a teatro e ne conosce la fibra intellettuale, delicata, è come entrare dalla porta degli artisti, quella laterale, dentro il camerino della sua anima scorticata e vigorosa. Per i pochi, invece, che non conoscono da vicino Sandro Lombardi attore, drammaturgo, regista e capocomico (inventore con Federico Tiezzi di quel teatro di letteratura pittorica, violento e fragile, che nasce con i Magazzini Criminali convertiti presto in Magazzini e oggi più semplicemente raccolti attorno alla formula sobria della Compagnia Lombardi-Tiezzi), per chi non ha osservato l’ossimoro di un corpo disincarnato che entra con pudore ma senza paura nelle stanze di Pasolini, di Testori, di Artaud, bucando con la sua voce non confondibile un tessuto fatto di parole assolate o lunari, ecco, per questi lettori avere oggi tra le mani il romanzo di Sandro Lombardi, segnerà probabilmente un’occasione rituale, e cioè la possibilità di varcare al contrario la soglia di un trapassatoio, partendo dalla scrittura e arrivando fatalmente al corpo.
Le mani sull’amore (Feltrinelli, 130 p. 14 euro) mette in scena il corpo di un sopravvissuto che, dentro una stanza d’ospedale, si trova costretto all’esercizio sfinente del ricordo. Dopo aver tentato il suicidio, il protagonista del romanzo ripercorre tutti i momenti di un incontro asimmetrico, dalla timidezza iniziale fino alla maledizione del sesso (“Credo sia stato il sesso a rovinare tutto”), e poi all’abbandono. Il destinatario del diario è Lucio, l’aguzzino (o la vittima?) che ha terremotato l’esistenza di un padre-figlio con la vitalità rabbiosa dei suoi ventinove anni: “Io t’indicavo la strada per diventare artista e tu mi insegnavi a vivere. Ma in realtà regredivo. Quando mi cingevi il collo e mi dicevi “Vieni qui”, attirandomi sul tuo petto, scivolavo nel gorgo dolceamaro dell’infanzia…E non pensavo alle acque nere in cui ti avrei perduto”.
Se, per un verso, ricorda i racconti di letteratura fantastica del primo Ottocento (Hoffmann in particolare), per la sua natura epistolare e per il lento rivelarsi del carattere demoniaco all’azione spirituale dell’uomo - lasciando però grazie al superbo finale una sconcertante ambiguità sulla identità di questo uomo-diavolo - , Le mani sull’amore ci riporta rovinosamente anche al mondo di Fassbinder, a Le lacrime amare di Petra von Kant, perché descrive con nettezza quel disperante bisogno che un essere umano non più giovane ha di un corpo giovane - apparso e scomparso come fosse un fantasma - , quell’insistito chiedere ancora il veleno, in un delirio di ossessione amorosa che lambisce la ferita originaria.
La scrittura di Lombardi è piana e pacificata, ma è quel tipo di pace solitaria che segue lo sconquasso dei sensi, la sofferenza più estrema, come dice Emily Dickinson in uno dei suoi versi più veri: “Dopo un grande dolore, i nervi siedono come tombe, e ci si chiede se fu ieri, o secoli fa”. L’infermo, l’artista, l’uomo che ha voluto morire ed è invece rimasto in vita, sembra chiedersi se fu ieri o secoli fa. Eppure il modo analitico, sensuale, con cui, intubato dentro una flebo, ridipinge ogni particolare del ragazzo amato (“Era bello guardarti nel sonno. Poche cose al mondo sono pacificanti come avere accanto il proprio amato che dorme”), indica la spaventosa minaccia di una nuova crisi.
Non molto tempo fa, a Roma, abbiamo ascoltato Sandro Lombardi leggere alcuni brani del romanzo, in un combattuto corpo a corpo con la sua materia intima (al Teatro Belli, all’interno di Garofano Verde, rassegna di teatro omosessuale). Vestito di nero in uno sfondo nero, l’artista toscano aveva rinunciato in quell’occasione a qualsiasi nota recitativa, accettando con una arrendevolezza dolorosa di far scorrere nuovamente nelle proprie vene, dolcemente, inesorabilmente, quel fiele di cui aveva disseminato le pagine del libro.
Per chi assisteva, era come entrare nella mente del creatore, varcare insieme a lui la porta che conduceva a quella stanza d’ospedale, vegliare sui suoi pensieri, averne cura.
Alla fine, si poteva solo ringraziarlo per aver visitato insieme gli inferi dell’anima innamorata, con la promessa di uscirne vivi.

Pubblicato su "L'Altro" il 14 agosto 2009

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