mercoledì 1 luglio 2009

Bellocchio vince, e le parole cadono


Curioso come dibattito. Spaesante. Divertente. Felice. Furioso. Persino violento, a tratti. Più rappresentazione che conversazione. Con le platee e le balconate di ben due teatri (Eliseo e Piccolo Eliseo, dove il dibattito si seguiva da un maxischermo) colme fino all’inverosimile. Nelle case, l’italiano medio si agita davanti al piccolo schermo, ma comportarsi come Vittorio Gassman allo stadio (in un celebre episodio dei “Mostri”) non gli impedirà di assistere alla disfatta della squadra nazionale. L’Italia prende una gran legnata dal Brasile. Nelle stesse ore, al teatro Eliseo si festeggia “Vincere”, il film di Marco Bellocchio su un archetipo italiano banale come il male che ha rappresentato (Mussolini), che è tornato sconfitto da Cannes. Un risarcimento, una festa per un grande artista che ha appena creato la sua opera più classica.
Sul “ring”, sfilano politici (Fausto Bertinotti, Marco Pannella), filosofi (Giacomo Marramao), critici (Morando Morandini, Enrico Magrelli) e psichiatri (Massimo Fagioli). Ciascuno di loro viene accolto da un lungo applauso. Quando parla Bellocchio, poi, sembra quasi che il pubblico abbia voglia di andarselo a prendere, issarlo sulle spalle e fargli fare il giro della città, e chi se ne frega di Cannes. “Vincere” ha stravinto, con una consacrazione molto laica e molto religiosa, sempre sul filo dell’eccesso. Inqualificabile, in un certo senso. Disturbante, perché no. Veloce, fulminea, senza pietà. Il lapsus di Pannella che invece di dire “manicomi” dice “matrimoni”, viene trattato come facesse parte del discorso, come è giusto che sia (l’inconscio all’opera anticipa spesso quello che la parola non ha ancora formalizzato).
Il film di Bellocchio lavora, ancora una volta, sulle strutture profonde: attraverso la storia di Ida Dalser e di suo figlio Benito Albino, che Mussolini farà marcire in manicomio (liberandosi così di una famiglia non allineabile ad un sistema di potere narcisistico), “Vincere” svela la mostruosa alleanza tra autoritarismo politico, Chiesa e psichiatria di Stato. Non un film storico, ma un’opera sui sistemi coercitivi – anche quelli meno visibili - che mettono a morte l’individuo, in questo caso donna. Il titolo del dibattito è “Ida Dalser e la Sinistra rivoluzionaria”.
Dal ventre di questo film sperimentale, esteticamente vertiginoso, capace di bucare il tempo presente, escono fuori immagini e sollecitazioni a catena. Pensieri antiretorici. Lame visionarie. Premonizioni d’artista. Parole da mettere sotto osservazione per rovesciarle, demolirne l’uso comune.
Ed è questo lo spettacolo fuori epoca che il Teatro Eliseo ci ha offerto l’altra sera: un sacrificio rituale di alcune espressioni e certe antinomie che, come in un “melodramma futurista” (è il modo in cui Bellocchio ha definito il suo stesso film), sono state decapitate pubblicamente e ricomposte in un ordine altro del discorso. Vediamone alcune.
Fascismo. Antifascismo:
“Io credo che questo film abbia la possibilità di parlare alle nuove generazioni che non hanno un antifascismo militante alle spalle, perché racconta di una minaccia imminente…Nella mia vita, ho usato spesso a sproposito il termine “fascista” e l’opera di Bellocchio ci aiuta a ragionare meglio su questi termini. “Vincere” è un film contro il potere che si sottrae alla critica dei sentimenti e dell’umanità. In questo senso è il più radicale film di critica al fascismo che io abbia mai visto”. (Bertinotti).
“Non sarà che questo fascismo leggero di oggi è peggio di quello palese di ieri?” (Fagioli).
Vincere. Perdere.
“Se il film l’avessimo intitolato “Perdere”, da parte di certa Sinistra depressa e sfigata avremmo avuto più consensi. Ho la sensazione che in certe fasce della Sinistra ci sia un autocompiacimento nell’essere sconfitti….Il film rappresenta una donna ribelle e resistente, e per questo spaventa” (Bellocchio).
Oggettivo. Soggettivo.
“Dobbiamo fare una rivoluzione culturale abbandonando l’alibi dell’oggettività. Bisogna ripartire dall’esperienza concreta dei soggetti” (Marramao).
Italiano. Anti-italiano.
“Mi dispiace di dover passare gli ultimi anni della mia vita in un paese come questo, dove c’è una destra capace di tutto e una sinistra buona a niente…”Vincere” è il più anti-italiano dei film di Bellocchio…” (Morandini)
Vedere. Ascoltare.
“L’ho visto quattro volte. La terza volta ad occhi chiusi. Perché è un film che induce lo spettatore all’ascolto” (Magrelli)
“E’ il primo film che vedo dopo quindici anni. Dopo tanto cinema d’essai, mi ero voluto prendere un periodo di silenzio, di riposo” (Pannella)
Corpo. Linguaggio.
“Sul corpo della donna, oggi si gioca una partita importante. Le grandi potenze avvertono che il corpo della donna annuncia il futuro, non tanto quanto generatore di figli, ma come generatore di un linguaggio di rivolta e di libertà” (Bertinotti)

“Vincere” non è quindi solo un film, ma una lezione di metodo empirico, un vero e proprio laboratorio linguistico. Come in tutti gli esperimenti – dell’arte della scienza – si procede con la consapevolezza che si può anche cadere in errore.
Ma a che serve stare al riparo delle proprie certezze?

Pubblicato su "L'Altro"

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