giovedì 21 ottobre 2010

Franco Giordano, Nicki Vendola e l'invasione dei gatti


L’anno scorso uscì un libro dal titolo apocalittico: Nessun Dio ci salverà. L’autore di quel pamphlet politico non era l’ultimo epigono dell’esistenzialismo francese, ma un italianissimo ex segretario di partito, un partito che, a dispetto del suo nome altisonante, non sarebbe riuscito a ricucire neanche i brandelli di se stesso, figuriamoci a rifondare del comunismo. A capo del Prc dal 2006 al 2008, Franco Giordano ha passato altri due anni a metabolizzare prima la sconfitta personale, poi quella storica. Nel frattempo, da comunista-operaista, è metaforicamente tornato a lavorare in fabbrica. Una fabbrica più stramba e immaginifica di quella di una volta. La fabbrica di Nichi. Ed è da un angolo ancora un po’ chiaroscurale di quella nuova casa, che oggi Giordano ci racconta un pezzo di storia politica. Scegliendo con accuratezza le parole. Scartando quel linguaggio un po’ astratto che lo caratterizzava a favore di una lingua più calda che nomina gli “affetti” e le “relazioni umane” prima delle “ideologie”: è un movimento di quella “grammatica delle passioni” che sta prendendo forma nel laboratorio più avanguardistico d’Italia, la Regione Puglia.


Giordano, è sempre convinto che nessun Dio salverà la sinistra italiana?

Se dovessi riscrivere quel libro, lo intitolerei allo stesso modo. Però amplierei una parte del discorso, quella sulla deriva del capitalismo. Io credo che il capitalismo stia non solo disintegrando il conflitto sociale, cercando di negare la soggettività del movimento (in questo caso operaio), ma che abbia attentato ai legami sociali, alle forme primarie della comunicazione tra esseri umani. Quello di cui la sinistra deve occuparsi oggi è, da una parte, il conflitto sociale, dall’altra la necessità di ricostruire i legami tra le persone.


E’ quello che dice Vendola.

Vendola interpreta il bisogno di rifondare in Italia una sinistra, senza ripercorre le vie del passato né praticare strade a tutti i costi “nuoviste” L’attuale Pd è contemporaneamente “vecchista” (nel senso che affonda le sue radici nel Novecento) e “nuovista”, nella misura in cui si muove in un vuoto di orizzonti. Con le fabbriche, invece Nichi sta provando a ricostruire una nuova idea di società a partire dalla difesa dello Stato democratico che è stato mutilato da più parti. Penso che Sel sia un luogo importante da cui portare avanti questa ricerca.

Allo stato attuale però, a fronte di una crescente visibilità (e leggibilità) della figura di Vendola, nella percezione comune rimane piuttosto oscuro il lavoro che si sta facendo dentro Sinistra e Libertà. Ai più appare come un “non ancora partito” già carico dei conflitti e delle spaccature di un vecchio partito.


I partiti, che sono nati come luoghi di solidarietà e di aggregazione sociale, sono diventati col tempo delle pure macchine elettorali, dei luoghi in cui far carriera ed esercitare la competizione al massimo grado. Sinistra e Liberta lo fa un po’ meno, se non altro per perché dispone di scarse economie, ma non è completamente estraneo a questi meccanismi. In questo senso, credo che le fabbriche siano un’esperienza positiva. Se i partiti vogliono ritrovare linfa vitale, devono cambiare modalità e lavorare alla cooperazione (altra parola importante). La cultura della non violenza che abbiamo introdotto con Fausto Bertinotti all’interno di Rifondazione, è stata una delle ultime lezioni di civiltà.

Lei è rimasto molto legato a Bertinotti...

Su di lui si sono costruite così tante immagini rovesciate! Per quanto mi riguarda, penso che Fausto sia uno degli intellettuali più raffinati che l’Italia abbia avuto, un politico in grado di rimettersi sempre in discussione. Fausto mi ha insegnato una cosa rara in politica: cioè che puoi accettare una mediazione se quella mediazione ti può servire per migliorare le condizioni di vita dei soggetti che vuoi rappresentare. Viceversa, Fausto è il più grande nemico delle mediazioni che non cambieranno mai quelle condizioni di vita.

Ma al momento di tentare la mediazione o il compromesso come vogliamo chiamarlo, non sapremo mai quale sarà la ricaduta di quel gesto nella realtà. Come si fa a determinare a priori l’effetto concreto di un accordo? Chi stabilisce se una mediazione è nobile o meschina?

Certo, non si può sapere prima. Per questo dipende dal tipo di mediazione. Faccio un esempio: bisogna andare in treno a Milano. Ecco, Fausto firmerebbe un accordo che ti fa fermare a Firenze ma non un accordo che ti fa andare a Napoli per poi arrivare a Milano.

Con Nichi, invece, siete amici fin da ragazzi....

Si, siamo tutte due di Bari e siamo nati lo stesso giorno (il 26 agosto) ma con un anno di differenza, cioè io sono nato nel ’57, lui nel ‘58. Ricordo benissimo la prima volta che lo incontrai. Io ero segretario della Fgci di Bari, lui si iscrisse ad una delle discussioni e dichiarò nel suo inconfondibile linguaggio che preferiva stare dalla parte di Solidarnosc che dalla parte della repressione di Jaruzelski. Per questo, fu pubblicamente criticato da Giorgio Amendola. All’inizio ero arrabbiato con Nichi perché per iscriversi aveva saltato tutte le burocrazie, ma poi dopo quel discorso mi fece immediatamente simpatia e presi le sue difese. A Roma, abbiamo anche vissuto nella stessa casa per tre anni.


In quella casa, ne accaddero di tutti i colori, invasioni di gatti comprese (episodio raccontato nel libro di Gian Antonio Stella)...

Si, abitavamo insieme in un appartamentovicino Ponte Lungo. Nichi stava lavorando nell’altra stanza. Io ero nella mia stanza a letto. Ad un certo punto, dalla finestra entrarono decine di gatti. Io rimasi scioccato e chiamai Nichi. Lui entrò, vide la scena, e per tutta risposta chiuse la porta a chiave. Si mi chiuse dentro con i gatti e da fuori mi urlò: “Abbaia!”. Non potendo contare sulla solidarietà di un amico, non mi restò altro che abbaiare sul serio.

Poi ci fu il viaggio a Mosca...

Erano gli anni della Perestrojka. Intervistati da Gad Lerner sull’”Espresso”, i dirigenti dell’Organizzazione Comunista Giovanile Sovietica (che di giovane non avevano niente: si aggiravano sui cinquanta sessanta anni l’uno) dichiararono che non avrebbero mai stretto la mano ad un comunista gay. Noi dovevamo andare al festival Mondiale della Gioventù Comunista e naturalmente ci organizzammo affinché Nichi fosse eletto capo della nostra delegazione. Come promesso, ci trattarono malissimo. Appena arrivati, ci divisero. Io fui mandato a Mosca, Nichi a Samarcanda, costretto a mille peripezie. Infine, ci negarono il ritorno in aereo. Quel viaggio in treno fu un incubo. Era il 1986. In Italia non ne parlò nessuno.

Di recente, lei ha raccontato al “manifesto” la morte di Benedetto Petrone, le cose che le disse prima di morire. Chi era Benedetto e perché ha tenuto questo segreto con sé tutti questi anni?

Benedetto Petrone era un giovane comunista di Bari figlio di una famiglia poverissima della Città Vecchia, che fu assassinato il 28 novembre del ’77. Aveva 18 anni, Io ne avevo 20 ed ero segretario della Fgci di Bari. Lui la mattina venne da me e mi disse che aveva paura perché aveva subito delle intimidazioni dai fascisti. Lo consigliai di non uscire dalla Città Vecchia. Fu ammazzato quello stesso pomeriggio. Ho deciso di ricordarlo solo ora perché mi sembrava una cosa troppo personale da dire. La morte di Benedetto Petrone ha fortemente segnato la vita di noi giovani comunisti a Bari. Tra questi c’era Nichi.

Che cosa rappresentano Bari e la Puglia per lei?

Io sono figli di due bidelli, che non mi hanno fatto mancare nulla ma naturalmente non rappresentavano la classe borghese. Con la città ho sempre avuto un rapporto contraddittorio. Ma le devo molto. E devo molto all’esperienza politica giovanile, perché a Bari il Pci non si confrontava tanto con la mitica classe operaia ma con i braccianti. Si formava in noi un’idea di classe, di società e di capacità umana proprio a partire dall’esperienza bracciantile pugliese. Poi sono molto legato ad alcune figure di intellettuali pugliesi. Uno di questi è Franco Cassano: trovo che la sua idea di “pensiero meridiano” sia uno dei più efficaci strumenti di critica al capitalismo contemporaneo.

E’ vero che per la politica ha rinunciato ad una carriera calcistica?

A 17 anni lavoravo nella formazione giovanile del Bari, ma poi ho voluto smettere perché ho creduto che avessero truccato una partita. In verità dopo molti anni ho scoperto che non si trattava di quello, però io allora l’ho creduto e questo mi è bastato per andarmene sdegnosamente e scegliere la politica.

Lei ha una moglie sudamericana...Dove vi siete conosciuti?

Si, la mia seconda moglie, Griselda, ci siamo conosciuti in Italia...è la donna che ha cambiato la mia vita. E nata a Buenos Aires ma vive in Italia da quando aveva 18 anni. Siamo insieme da dieci anni e le devo tutto. Ha cambiato la mia vita nel senso letterale del termine, nel senso che adesso sono più attento alle relazioni umane, al tempo che scorre. Prima ero completamente assoggettato alla politica intesa come un dover essere. Adesso mi accorgo di avere un diverso rapporto con la politica stessa. Se alzi lo sguardo sul mondo e ti accorgi della povertà della politica italiana, allora capisci che è proprio in un’altra direzione che bisogna andare.

A questo punto devo chiederglielo. Non crede che questo suo sguardo così distaccato, chiamiamolo filosofico, sul mondo, sia stato reso possibile proprio dalla caduta? Cioè che si sia potuto affermare solo nel momento in cui lei ha perso una battaglia importante?

Naturalmente, io ho fatto esperienza di quel fallimento. Ho visto tante di quelle cose inaccettabili e pesanti nella vicenda politica di Rifondazione, che mi hanno decisamente cambiato. Guardando oggi il tumulto del mio partito, non posso che sorridere.

Ma allora è stato doloroso?

Si, è stato doloroso. Ho visto l’inganno, l’ipocrisia, la falsità delle persone. Si, mi ha fatto molto male.

E cosa ha significato invece la nascita di Rifondazione?

Un momento di grande partecipazione e speranza. Dopo la Bolognina, si erano affermate due tesi: quella di chi voleva rifondare il Pci, e l’altra di chi desiderava costruire un soggetto politico che potesse mantenere aperta la strada di rifondazione culturale del Paese. Questo conflitto poi ha continuato a resistere anche dentro Rifondazione, fino alla fine. Cè chi ha sempre osteggiato il nostro progetto di innovazione e ha impedito la naturale evoluzione di un grande progetto di sinistra. Con Fausto, abbiamo tentato di ribaltare il partito e le sue istanze reazionarie come un calzino. Non ce l’abbiamo fatta. Adesso però vedo che sono ridotti a ben poca cosa.

Ha sofferto anche la perdita del ruolo?

Quello no. Io non volevo fare il segretario di Rifondazione: me l’ha chiesto Bertinotti. e io non sono mai riuscito a dire di no a Fausto. Non è il ruolo che mi manca anche se devo dire la verità: quella posizione mi dava la possibilità di esprimere le mie idee. E’ sempre più difficile trovare un luogo da cui parlare e creare forme nuove di partecipazione. Però posso dirmi fortunato. Ogni tanto vado a parlare con Fausto. Spesso vedo Nichi. Loro sono le persone con cui mi confronto meglio. Se oggi dovessi scrivere un altro libro, lo imposterei tutto sull’importanza delle relazioni umane.

Che libri sta leggendo?

Sto leggendo tre libri che in qualche modo parlano tutti della qualità delle relazioni tra le persone. Il primo è di Thomas Dumm, un sociologo americano, e si intitola Apologia della solitudine. Il secondo è di Enzo Bianchi ed è sulle beatificazioni. Sì, lo so, sembra strano ma anche quello parla delle relazioni umane. C’è tutto il discorso sulle migrazioni e sulle bestialità che in nome del cattolicesimo sono state compiute contro i migranti. Infine, l’ultimo libro di Christa Wolf, Con uno sguardo diverso, devo dire molto inquietante... E’ un libro sulla crisi del capitalismo ma è soprattutto una riflessione sull’esilio interiore. In qualche modo, io mi sento così: in esilio da me stesso.
(Pubblicato su Gli Altri)

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