giovedì 16 ottobre 2014

Franca Leosini: "Le mie sedute psicoanalitiche con l'assassino"


Franca Leosini sa cosa  intendevano i latini per pìetas. Se non lo sapesse così bene, non potrebbe entrare in forme scardinanti dentro la complessa vicenda umana che  c’è dietro un  fatto  di  sangue. A proposito della nuova serie di ”Storie maledette" (in onda su rai3), trasmissione che  nel 2014 festeggia i suoi vent’anni di vita,  la celebre giornalista d’inchiesta racconta il suo  modo di  lavorare sul  noir. E mentre parla, pensiamo che la sua singolare voce (un impasto di elementi caldi e freddi) c’entri molto con il suo non tramontabile successo. C’entra l’eleganza, la cura del  lessico. Ma c’entra soprattutto il rigore, che è di tipo filologico. Notti passate dietro le carte processuali, dove quello che appare trle righe deve avere un peso altrettanto importante rispetto a ciò  che  l’inchiostro registra. Lo stesso rigore che porta poi quando, una volta iniziata la ”seduta”, si trova a tu  per  tu  con  la persona che  deve intervistare, qualcuno che la comunità si è premurata già di espellere e punire, ma che con le ”Storie maledette ritorna a farci visita, perché ha un’ultima ”cosa da  dirci: isuo segreto. Specie davvocato della psiche e di psicoanalista del diritto, Leosini è una giornalista che fa inchieste molto personali, con match uno ad uno. E nessuno intorno (è autore unico delle sue puntate, che  questa volta saranno cinque). In genere, è capace di portare a casa  confessioni che nelle aule di  giustizia non erano state fatte. Come  quella di  Stefania Albertani, che apre domani la nuova serie...

Ha iniziato la nuova serie con un ”cuore  di tenebra intermittente...
La storia  dStefania Albertani che ho voluto intitolare “Quando Stefania ha  il  cuore di tenebra” è  una vicenda che  non ha precedenti. Cioè è la prima volta che in Italia in un processo entrano le neuroscienze non solo per la valutazione della persona ma anche per l’esito della sentenza.  Nel cervello di Stefania Albertani è stata trovata un’anomalia della sfera  del cervello preposta agli atteggiamenti aggressivi e criminosi.

Un fatto così  può ribaltare la storia del diritto...
Questo è il punto. E la prima volta  che un tribunale ha accettato che fosse  esaminato il cervello di una persona che ha commesso tre gravissimi crimini. Ha  ucciso la sorella e ha bruciato il corpo. Ha tentato di uccidere i genitori e ha dato fuoco alla macchina con i genitori dentro. Ha strangolato la madre e ha dato fuoco al corpo della madre. La madre è stata poi salvata in extremis...

Non mi viene in mente nessun mito greco, nessuna storia  archetipica, che contenga questa precisa trama tragica.
E una storia che non ha precedenti in nessun senso. C’è anche una seconda peculiarità dquesta vicenda: Stefania Albertani è stata condannata a 20 anni più 3 di ospedale psichiatrico. Ho intitolato la puntata: “Quando Stefania ha il cuore di  tenebra”, perché ci sono momenti in  cui ce l’ha e altri in cui non ce l’ha. Ha una doppia identità.  L’ho intervistata a Castiglione delle Stiviere, in ospedale psichiatrico. Lei al processo ha taciuto, ha detto che non ricordava niente. A me ha raccontato tutto. Ha parlato solo con me. Quando sono andata a incontrarla, non sapevo cosa  avrei portato a casa.  E poi  invece si è aperta in un modo che ha sbalordito gli psichiatri stessi. Mi ricorderò sempre quel suo pianto senza rumore. E io stessa ho pianto quando mi sono trovata in sala di  montaggio con quelle immagini. Provo un grande affetto per  quella ragazza.

Quali canali si aprono durante queste  sue interviste-sedute psicoanalitiche? Quale  è la scena primaria?
Ogni volta è un caso diverso, ma si crea un campo energetico particolare. Il rapporto tra me e l’interlocutore è un rapporto criptico quasi, difficile da dire. Mi preparo in maniera quasi maniacale. E vado all’incontro sapendo che  si tratterà, appunto, di  una grande seduta psicoanalitica.

Quale  è la sua idea  del garantismo?
Direi una sola parola: certezza. Io sono dell’idea che bisogna avere la certezza dell’imputabilità. Incerti si può essere solo sull’innocenza di una persona.

Potrebbe esserci un elemento di incertezza anche in ciò che definiamo assolutamente certo... Come delimita lei il campo della certezza?
Anzitutto, io  prendo in  esame e porto in trasmissione vicende che hanno almeno due gradi di giudizio, qualche volta tre. Cosa faccio? Mi studio gli atti del  processo anche meglio di come se             li può studiare un magistrato. Non essendo di parte, cerco di leggere tutti gli atti processuali della vicenda.  E non solo. Mi  studio l’ambiente in cui si è svolta la vicenda. Mi studio la psicologia del  personaggio. Senza sovrappormi allmagistratura, penso che si abbia il diritto sempre  di valutare e di discutere le sentenze. Ho fatto  riaprire non pochi casi.

Il caso più eclatante che è stato riaperto in seguito a una sua inchiesta?
Quella che viene ricordata come la storia degli amanti diabolici del Viminale,  definizione che non ho mai  amato ma  così sono passati alla storia. Silvana Agresta e Massimo Pisano. La vittima era la giovane moglie di lui,  Cinzia Bruno. Il suo cadavere era stato  trovato sulla riva del Tevere. Quando ho studiato gli  atti,  ho annotato tutte le lacune, gli errori di una indagine fatta male e mi  sono convinta di una cosa,  che lei certamente era colpevole, mentre lui era estraneo. Ho  ricostruito la storia. Conseguentemente, si è interessato alla vicenda  un giovane sconosciuto avvocato, lo ha portato in revisione e Pisano è stato non solo assolto, ma anche risarcito. Dopo il terzo grado di giudizio! Lui era stato condannato all’ergastolo e io lo avevo incontrato in carcere.  E stato un  motivo di  grande soddisfazione. Il nostro lavoro non solo serve a qualcosa, ma deve servire a qualcosa.

Come  si  cade  nella ”maledizione di una vita sbagliata?
Ci sono persone come me e come lei che ad un certo punto cadono nel  vuoto di una maledetta storia. Sono persone nella cui coscienza e nella cui mente si è spalancato un vuoto. E in quel vuoto sono cadute.

Ma ha sempre detto di no alle interviste con pedofili e serial killer...
Assolutamente no. Rifuggo dall’orrore. I crimini che io tratto non sono mai compiuti da professionisti del crimine. Con l’unica eccezione di Fabio Savi, quello della Uno Bianca. Ma quella è un’altra storia che merita un discorso a parte. Non do la possibilità a un  pedofilo di giustificarsi.

Non  potrebbe anche un pedofilo essere caduto in uno  di quei  buchi d’anima di cui lei prima  parlava? Ci sono  pagine (anche in Dostoevskij) che cercano di indagare l’abisso, il tormento di un uomo  vittima di se stesso fino ad abbracciare questo  punto  di caduta e d’orrore.
E una condizione della mente e del  fisico che  difficilmente si  risolve. No, la pedofilia non l’ho mai voluta trattare come non ho mai voluto trattare i serial killer. Ho parecchie lettere nel cassetto che mi ha scritto Bilancia che io invece non ho mai voluto intervistare. Anche perché Bilancia ha tentato di farsi  passare per  pazzo. E io non mi faccio usare da nessuno.

Quanti  anni  aveva quando intervistò Sciascia che solo a lei parlò del potere terrifico delle donne di mafia?
Avevo poco più di  vent’anni. Su quell’intervista sono state scritte undici terze pagine. Aveva fatto un tale scalpore che cominciai subito a collaborare per L’Espresso e poi  è venuto tutto il resto.... Sciascia è stato il mio padre spirituale. Gli devo moltissimo.

Lei ha ricevuto decine di premi tra cui uno molto singolare. L’anno scorso le hanno dato il Premio Mucca Assassina..
Sì, io con molto orgoglio sono un’icona gay.

Con Mina e Patti Pravo.
Se è per questo, anche con Madonna...

Cosa la lega a Napoli, la sua città d’origine?
Le mie figlie vivono lì, e mio marito fa avanti e indietro con Napoli. Ma vivo a Roma da tanti anni. Napoli è una città che amo. Ma uno dei buchi neri sono proprio i  napoletani. I napoletani non amano la città. Amare la città significa non offenderla, cosa che invece i napoletani fanno continuamente.

Perciò, non legge gialli, né thriller...
Se per gialli vogliamo considerare i libri di Simenon, se vogliamo dire che Umberto Eco ha scritto un libro giallo, d’accordo, allora leggo gialli. Diciamo che non leggo quei gialli che ti leggi assieme a Chi.

Quali  libri ci sono adesso sul suo comodino?
In questi giorni, sto leggendo il libro postumo di Terzani e rileggendo Lolita dNabokov. Mi sono segnata su un post-it una sua frase bellissima.  «Potete sempre  contare su un assassino per una prosa ornata».
 (intervista pubblicata sul "Garantista)

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